Comunismo - Scintilla Rossa

L'imperialismo si organizza in Libia

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view post Posted on 24/11/2018, 13:15
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https://www.gazzettadiparma.it/news/italia...ca-5-morti.html

Lo Stato Islamico mi pare l'unica forza coerente in Libia nella lotta contro entrambe le fazioni di predoni locali e i loro padroni imperialisti
 
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view post Posted on 8/12/2018, 17:16

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Ecco la libia liberata
Nella libia dei signori della guerra, e dei campi di sterminio dei migranti, i crimini dell’imperialismo...

(da proletari comunisti)

https://pennatagliente.wordpress.com/2018/...letari-comunis/
 
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view post Posted on 20/4/2019, 17:21
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Le e-mail scoperte di Hillary Clinton continuano a regalarci le prove dei crimini compiuti dell’Occidente.

La NATO ha ucciso Gheddafi per fermare la creazione libica della valuta africana con riserva aurifera

L’email identifica il presidente francese Nicholas Sarkozy a guidare l’attacco alla Libia con cinque obiettivi specifici in mente: ottenere petrolio libico, assicurare l’influenza francese nella regione, aumentare la reputazione di Sarkozy a livello nazionale, affermare il potere militare francese e impedire l’influenza di Gheddafi in ciò che è considerato “Africa francofona”.

Sorprendente è la lunga sezione che delinea l’enorme minaccia che le riserve di oro e argento di Gheddafi, stimate in “143 tonnellate di oro e una quantità simile di argento”, ponevano al franco francese (CFA) che circola come valuta africana principale.

qui tutto l'articolo: https://www.politicamentescorretto.info/20...6xnmPG_Q0nnZyg8
 
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Yenan
view post Posted on 19/5/2019, 14:03




Il pantano libico inghiotte i governi imperialisti (dall'ultimo numero del giornale dei proletari comunisti)

La propaganda imperialista della cosiddetta “pacificazione”, della “normalizzazione” della Libia, ha portato al fallimento delle varie “Conferenze “, risultato dei forti contrasti tra i vari governi della borghesia imperialista. E stavano preparando l’ennesimo fallimento per metà aprile a Ghadames quando un nuovo conflitto “per procura” è esploso a cielo aperto.

Dal 4 aprile questa guerra permanente a bassa intensità ha subito una accelerazione con la decisione di attaccare Tripoli, sede del governo-fantoccio di Accordo nazionale (General National Accord) guidato da Fayez al Sarraj, appoggiato dall’ONU, da parte del generale Khalifa Haftar che controlla la Libia orientale, alla testa dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) ma composto, in realtà, da milizie formalmente sotto il controllo del Ministero dell’Interno o della Difesa, in sostanza appartenenti alla comunità locale che le aveva costituite e alla leadership politica, al signore della guerra o al leader tribale di riferimento.

Il generale Haftar ha posto sotto il suo controllo gran parte dell’industria petrolifera libica: nelle scorse settimane l’Lna ha preso il controllo non solo delle cittadine strategiche del Fezzan, la grande regione desertica centro meridionale, ma anche dei suoi pozzi petroliferi. Si tratta di Sharara, il giacimento più grande di tutta la Libia, gestito dalla Noc in collaborazione con la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Equinor che produce 315 mila barili al giorno; e di el-Feel, il giacimento Elephant dove opera invece l’Eni che estrae 80mila barili al giorno. Insieme, i due siti raggiungono quasi la metà della produzione nazionale. Sotto il governo della Cirenaica anche il bacino della Sirte con i due grandi terminal petroliferi di Ras Lanuf e El-Sider.

L’avanzata di Haftar, lanciata mentre il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, visitava la capitale libica, è iniziata a Jufra, è poi passata dal Sud, dal Fezzan, e, in parte, dal Centro della Libia, partendo dal punto più ad ovest dell’area di influenza già guadagnata da lui stesso nelle scorse avanzate per il controllo dei giacimenti di petrolio. Le sue colonne di pick up armati hanno puntato verso Nord fino a una 20ina di chilometri da Tripoli. Le unità della LNA hanno preso il controllo di alcune località nelle vicinanze della capitale libica.

In questi giorni c’è una situazione di stallo, e Tripoli, già pesantemente bombardata nei suoi quartieri residenziali, è posta sotto assedio. Ma la situazione potrebbe peggiorare da un momento all’altro allargando gli scontri armati a macchia d’olio.

Tutte le milizie che controllano Tripoli e la costa orientale hanno abbandonato le loro posizioni critiche nei confronti di Serraj, si sono compattate e si sono schierate all’offensiva contro Haftar.

Quella che sarebbe dovuta essere un guerra lampo sta ancora, mentre scriviamo, portando morte e distruzione tra la popolazione. Ad oggi i morti tra la popolazione civile sono centinaia, la maggior parte bambini, migliaia i feriti e 26 mila gli sfollati, migliaia di rifugiati e migranti bloccati nei lager libici, la popolazione è senza acqua, cibo, elettricità e medicinali.

Migliaia di persone hanno manifestato nella capitale contro il capataz della Cirenaica, in un’occasione indossando i gilet gialli in funzione anti-Macron.

Dal punto di vista militare ha contato moltissimo la decisione di schierarsi con il governo-fantoccio di Tripoli delle brigate di Misurata, addestrate da USA e GB, per contenere l’avanzata di Haftar.

Ma anche i due miliardi di dinari sborsati dalla Banca centrale per la difesa di Tripoli destinati a gruppi/milizie si rivelano utili.

Sono la contesa tra tutti i paesi imperialisti - e nella Libia piena di petrolio agiscono proprio tutti, dagli USA all’UE, alla Russia, alla Cina - i profitti del petrolio e delle altre risorse naturali della Libia (oltre petrolio, gas, uranio e falde acquifere fossili) e l’appoggio e la fornitura di armi dei governi imperialisti ai vari signori della guerra e delle milizie ad avere portato all’escalation di questi giorni.

Come riporta il sito nenanews; “Secondo quanto descritto dal rapporto di ricerca della Arab Petroleum Investments Corporation (APICORP), la Libia potrebbe svolgere sempre più un ruolo centrale nelle transazioni petrolifere verso l’Europa. L’attività del servizio petrolifero libico è ripresa ed è stato registrato un significativo aumento delle perforazioni, con la ripresa delle attività da parte di tutte le principali compagnie internazionali come BP, ENI e Gazprom. Tra luglio e ottobre la produzione è passata da 670.000, a 1,28 milioni BPD, con una crescita che non si vedeva dall’inizio del conflitto quando la produzione era di circa 1,6 milioni di BPD. Da allora, la produzione ha oscillato all’interno di una vasta banda, scendendo a 200 mila BDP e arrivando ad un massimo di 1,4 milioni BDP tra la fine del 2011 e il 2012 per poi attestarsi su valori inferiori al milione. Le previsioni sembrano, inoltre, confermare che la produzione potrebbe aumentare ulteriormente date le caratteristiche favorevoli della struttura libica.”

“Molto interessanti, da questo punto di vista, gli aspetti sottolineati in una breve analisi di “Oil Review Africa”. In primo luogo le riserve, le più vaste del territorio africano, mantengono una consistenza significativa: 48 miliardi di barili, circa il 3% del valore complessivo mondiale con un rapporto produzione/riserve stimato a 153 anni. In secondo luogo, il petrolio libico è relativamente facile da estrarre e l’installazione delle infrastrutture di estrazione ed esportazione da parte di compagnie internazionali è stata relativamente poco complessa. In terzo luogo, i flussi petroliferi della Libia offrono principalmente petrolio greggio dolce e di alta qualità facilmente vendibile nel mercato internazionale. Infine, il petrolio della Libia è vicino ai maggiori centri di consumo con tempi di navigazione verso i porti europei che vanno da due giorni per raggiungere la Sardegna agli undici giorni necessari per raggiungere Rotterdam. Tempi infinitamente minori rispetto ad altri Paesi esportatori. Sotto il controllo di Tobruk e dell’esercito di Haftar ricade, infatti, l’intera Mezzaluna petrolifera che, con i suoi quattro porti rappresenta la principale area di esportazione libica nonché la principale fonte di entrate della Libia, mentre l’area di Mellitah e dei giacimenti ENI, in Tripolitania, è formalmente sotto giurisdizione GDA.”

I generali a guardia della Mezzaluna petrolifera erano da tempo in fermento; l’ONU aveva deciso per l’ennesima conferenza di pacificazione a Ghadames per metà di aprile; i membri dell’OPEC, Arabia Saudita in testa, avevano programmano ulteriori tagli alla produzione petrolifera per l’inizio del 2019 per evitare un nuovo abbassamento dei prezzi a causa di un possibile eccesso di offerta mentre l’attività del servizio petrolifero libico era in ripresa.

Oggi ci troviamo davanti alla stessa situazione che ha portato alla guerra Usa/Nato del 2011. Il generale Gaiani: “Nel 2011 ci fu una responsabilità francese, britannica e americana: ognuno aveva i propri interessi. Non a caso quello di togliere all’Italia una fetta di business”.

Il bombardamento NATO ha consegnato la Libia ai signori della guerra. Dal 2014 i governi imperialisti hanno imposto un dualismo di potere. Il governo di unità nazionale con sede a Tripoli di Al Serraj - un oscuro burocrate del vecchio regime - è appoggiato da ONU/USA/Italia/Turchia/Quatar/Tunisia, mentre il parlamento nella città libica orientale di Tobruk è sostenuto da Francia, Russia, Egitto, Sauditi e Emirati Arabi Uniti. Il generale Haftar è un ex braccio destro di Gheddafi, poi finito nel libro paga della CIA, ha lavorato per costruire legami con l’Egitto di Al Sisi, ha ricevuto finanziamenti dagli Emirati arabi Uniti, ma sono i suoi padrini imperialisti, Russia e soprattutto Francia che hanno dato il via libera a questa avventura militare. Ma anche l’Italia del governo fascio-razzista ha messo in campo la politica del doppio binario aprendo canali d’intesa con il generale di Tobruk.

La Francia, secondo il sito formiche.net legato al min. degli Esteri e a quello della Difesa, vuole che Haftar chiuda “lo spazio magrebino alle influenze altrui, soprattutto italiane, per costruire un grande spazio della Françafrique dal centro-Africa a tutte le coste africane del Mediterraneo, salvo l’Egitto che è un boccone troppo grosso per quelle forze (Francia e Gran Bretagna) che dovettero perfino fermarsi, per mancanza di munizioni, durante la prima fase della “conquista” della Libia gheddafiana, e chiamarono gli Usa”.


Imperialismo italiano e Libia

L’imperialismo italiano, e il suo governo, ormai è chiaro, hanno scelto il “cavallo sbagliato” e mai come adesso rischia la cacciata e il ridimensionamento manu militare, manu diplomatica, e infine manu politica dalla Libia.

L’Eni, l’economia imperialista italiana hanno bisogno davvero di un riposizionamento, ma questi ultimi due governi sono stati una sciagura. Accecati dal razzismo e dalla tracotanza da imperialismo straccione hanno pensato che legandosi e incentivando il sottobosco di Tripoli, delle tribù ad esso legate - vedi gestori del business schiavistico dell’immigrazione - se la sarebbero cavata. Al resto avrebbe provveduto la pelosa coperta Onu.
Le cose non sono andate così. L’offensiva di Haftar e l’azione seria dell’imperialismo francese, la ben decisa intenzione dell’imperialismo Usa e della Russia di partecipare ai nuovi assetti di un paese straordinariamente importante, non solo per il petrolio e gli idrocarburi ma per la posizione geostrategica nel Mediterraneo, nel Maghreb e nell’Africa, hanno messo a nudo che l’imperialismo italiano è “nudo”, e dietro le roboanti dichiarazioni di Salvini e le grottesche cerimonie di Conte non c’è niente. L’Italia avrà insieme un ridimensionamento della sua presenza e una nuova ondata di migranti da gestire. Tutto questo è un male per la borghesia imperialista italiana. E’ un bene per chi è contro l’imperialismo italiano, e vuole che non i migranti ma i padroni e i governanti italiani affondino e periscano.

L’avanzata di Haftar non è irresistibile e la presa di Tripoli ci sarà se gli imperialisti che ci sono dietro lo vogliono. Ma quel che è certo è che è stato dato l’avviso di sfratto all’Italia imperialista e alle sue truppe coperte. Mussolini lo ha mostrato che gli imperialisti straccioni sono specialisti in sconfitte. Ora assisteremo al tentativo della borghesia imperialista di correggere la rotta e di dire ai suoi servi attuali di riposizionarsi, ma la frittata è fatta.

Dal punto di vista del proletariato e degli antimperialisti prepariamoci ad un estate e ad un autunno caldo, tra intervento militare coperto in Libia e ondata di migranti scoperta che questa volta non sarà un Salvini di m... che potrà contenere.

Via le truppe imperialiste dalla Libia!
Abbasso i signori della guerra al loro servizio!
Solidarietà e vicinanza alle masse povere della Libia che pagano un alto costo in vite umane e distruzione di questa oscena guerra per bande.
Liberare i migranti dai campi di concentramento!
Aprire i porti, solidarietà, accoglienza!
Liberiamoci del governo fascio-populista dell’imperialismo straccione.

proletari comunisti/PCm Italia - 1°Maggio 2019
 
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view post Posted on 3/7/2019, 15:54
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addàrivenì baffone

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In Libia c'è stato un bombardamento in un centro di detenzione per migranti con oltre 40 vittime. I media internazionali e gli yankee hanno immediatamente dato la colpa ad Haftar ma c'è chi esprime perplessità circa questa attribuzione. Io non sono molto aggiornato sulla situazione ma chi metteva in dubbio la versione dei media mainstream (che di solito ci hanno abituato alle menzogne più spudorate) ritiene che dal punto di vista di Haftar sarebbe stato controproducente un'azione di questo tipo. Potrebbe forse anche trattarsi di un errore.

Qua la notizia di RaiNews24 della quale riporto solo il titolo:

Tajoura, vicino a Tripoli Libia, bombardamento su centro detenzione per migranti: oltre 40 morti Il governo appoggiato dagli Usa accusa il sedicente Esercito nazionale libico per il raid aereo, ma Haftar nega. Unsmil: è crimine di guerra http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/...9428522563.html


e l'articolo dell'antidiplomatico:

Libia: perché l'aviazione del generale Haftar avrebbe dovuto bombardare un centro migranti?

Ma qualcuno può spiegare perché mai l’aviazione del generale Khalifa Haftar avrebbe dovuto bombardare un Centro detenzione migranti nell'area di Tajoura, alla periferia di Tripoli? Il Centro – così come ci informa Repubblica – si trova accanto alla base militare di Dhaman dove le (famigerate) milizie di Misurata e quelle fedeli al governo del presidente Fayez al-Serraj hanno concentrato le loro riserve di munizioni e di veicoli. Non sarebbe, quindi, da escludere il “danno collaterale” di un bombardamento (finalizzato a colpire, un obiettivo militare) o l’esplosione accidentale di un deposito di munizioni. Ma la stessa Repubblica, come la quasi totalità dei media, della strage (pare, 80 morti) riporta solo la dichiarazione di al-Serraj: “un attacco premeditato e ‘preciso’.

Si, ma perché un “Centro di detenzione migranti” è stato messo a ridosso di una postazione delle Milizie di Misurata (alle quali, due anni fa, Minniti affidava la “gestione” dei richiedenti asilo)? Una sorta di scudo umano? Di certo quel Centro non era gestito dall’UNHCR e da ONLUS italiane, come i tanti centri finanziati dal Trattato con la Libia (in questi giorni respinto in Parlamento da una parte del PD); centri ben diversi dalle tante “prigioni private” nelle quali migranti e profughi vengono detenuti e torturati per estorcere denaro alle loro famiglie.


Una strage pianificata quella di Tajoura, per evidenziare l’inaffidabilità di Fayez al-Serraj e dei suoi sgherri, facendo così saltare il Trattato in discussione in Parlamento?

Si direbbe non chiederselo nessuno.

Francesco Santoianni
 
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view post Posted on 4/7/2019, 21:12
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CITAZIONE
Si, ma perché un “Centro di detenzione migranti” è stato messo a ridosso di una postazione delle Milizie di Misurata (alle quali, due anni fa, Minniti affidava la “gestione” dei richiedenti asilo)? Una sorta di scudo umano?

i sionisti (e non solo loro) dicono esattamente la stessa cosa quando bombardano scuole e ospedali.

CITAZIONE
Una strage pianificata quella di Tajoura, per evidenziare l’inaffidabilità di Fayez al-Serraj e dei suoi sgherri, facendo così saltare il Trattato in discussione in Parlamento?

eh?

comunque trovo molto divertente che Haftar, cittadino USA, dove ha vissuto gli ultimi 30 anni facendo da cagnolino degli yankee nei loro tentativi di cambio di regime in Libia, che è stato prontamente mandato in Libia durante il finalmente riuscito cambio di regime nel 2011, che è appoggiato Francia, Arabia Saudita etc, venga dipinto come eroe dell'anti-imperialismo contemporaneo.
 
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view post Posted on 5/7/2019, 07:10
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addàrivenì baffone

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CITAZIONE
i sionisti (e non solo loro) dicono esattamente la stessa cosa quando bombardano scuole e ospedali.

ma infatti credo che la cosa più attendibile in questo caso sia quella dell'errore.

CITAZIONE
venga dipinto come eroe dell'anti-imperialismo contemporaneo.

certo che no, Haftar se non mi sbaglio ha l'appoggio anche della Russia e ad ogni modo in Libia del dopo Gheddafi il più pulito c'ha la peste bubbonica. L'articolo di rainews più che altro mette in luce la bancarotta totale dell'imperialismo straccione della nostra cara patria.
 
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view post Posted on 2/1/2020, 16:17
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Libia, il Parlamento della Turchia dà il via libera al dispiegamento di truppe al fianco di al-Sarraj
Il Parlamento di Ankara ha dato il via libera, con 325 voti a favore e 184 contrari, al dispiegamento di militari turchi in Libia per un anno a sostegno del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. La proposta, discussa in mattinata dopo la disponibilità offerta dal presidente Recep Tayyip Erdoğan e la successiva richiesta di aiuti militari da Tripoli, ha trovato l’appoggio del partito di governo.....
Il fatto quotidiano
 
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view post Posted on 11/5/2020, 23:15
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compagno

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Pubblicato il 10/05/2020 di pennatagliente
Da quando è scoppiata la pandemia, gli analisti legati ai governi imperialisti spingono per un incremento di risorse finanziarie per la Difesa, per il rilancio di un settore “strategico” dal punto di vista imperialista e contrastare il movimento che sta chiedendo invece di tagliare i budget pubblici nel settore armamenti a favore della sanità, dello stato sociale, dei salari.
Intanto in lockdown non ci sono andati esercitazioni (Defender Europe 2020 è stata ridotta) e missioni internazionali.
In Italia, nel settore industriale, Leonardo ha avuto un finanziamento da banche internazionali per 2 miliardi di euro.



Movimenti navali tra i mari europei. L’esercitazione congiunta Usa e UK in funzione antirussa.
Tre navi da guerra USA saranno nel Mare di Barents per esercitazioni congiunte insieme ad una fregata britannica. Le navi fanno parte del “Phased, Adaptive Approach for Missile Defence in Europe”, strategia “per proteggere il continente europeo dalle minacce dei missili balistici russi”- come scrivono gli analisti al servizio dell’imperialismo italiano. Che continuano: “È la prima volta dalla fine degli anni Ottanta che il Pentagono pianifica esercitazioni del genere.
Nelle scorse settimane unità americane hanno lavorato in integrazione con i mezzi militari degli stati nel Mediterraneo orientale, nel Mar Nero e nel Baltico (si chiama Trimarium, l’iniziativa geopolitica-infrastrutturale diretta dall’imperialismo USA, che ha come obiettivo quello di sottrarre alla Russia le sfere d’influenza dell’Europa di mezzo, fascia geografica orientale del continente composta da Paesi un tempo sotto l’ombrello sovietico). L’operazione non ha lasciato immobile la Russia che ha mosso i comandi regionali per compiere attività di interferenza, disturbo e contro-presenza.
Nel piano di deterrenza (o contro-deterrenza in risposta alla Russia) sono integrate la basi missilistiche Aegis di Polonia e Romania, due Paesi a loro volta inclusi nel progetto Trimarium.
Progetto che per ragioni differenti integra anche Germania e Turchia, a loro volta chiavi (non facili da gestire) del contenimento russo nel pensiero strategico americano. La prima è interessata alla geo-economia della sfera europea nord-orientale (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria sono legate nella catena del valore tedesco); la seconda con occhio a Balcani e al Caucaso compete con la Russia per le sfere di influenza romene e bulgare affacciate sul Mar Nero. Washington sta cercando di intensificare i rapporti con entrambe, anche perché tutti e due paesi sono esposti non solo (o non tanto) sul fronte russo (ostilità gerarchica ereditata, non del tutto evoluta dopo la vittoria della Guerra Fredda). Ankara e Berlino sono in effetti partner della Cina: nuovo, grande nemico globale contro cui gli Stati Uniti combattano per il ruolo di super potenza di riferimento da prima dell’epidemia, sull’epidemia e nel futuro dopo l’epidemia”.



Sul fronte libico, è partita a missione Ue a guida italiana “Irini”, ufficialmente per far rispettare l’embargo sulle armi, nei fatti ad alimentare il caos, difendere la rotta del petrolio e rafforzare gli aguzzini libici contro le partenze dei migranti. E a rafforzare Haftar che, intanto, con raid aereo sfiora l’ambasciata italiana e turca.
Una missione che è espressione dei contrasti tra gli Stati imperialisti UE.

Parte in Libia l’operazione Ue a guida italiana “Irini”, ma l’unica nave in mare è francese

Roma, 08 mag 12:35 – (Agenzia Nova) – Dopo un lungo e travagliato percorso, la missione dell’Unione Europea EuNavFor Med “Irini” ha finalmente iniziato le proprie attività in mare, ma l’unica nave a disposizione dell’ammiraglio italiano Fabio Agostini è francese. Si tratta della Jean Bart, fregata antiaerea classe Cassard (tipo F70) varata nel 1985 e che andrà in pensione nel 2021. In attesa che vengano sbloccati altri asseti navali, è singolare che sia proprio la Francia ad aver fatto salpare l’unica nave da guerra attualmente incaricata di far rispettare l’embargo sulle armi verso la Libia previsto dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Da tempo ormai la Francia gioca in Libia una doppia partita: ufficialmente, infatti, Parigi riconosce il Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale (Gna) sostenuto dalle Nazione Unite, ma allo stesso tempo sta avallando il tentativo dell’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, di conquistare Tripoli con la forza.

Le autorità di Tripoli hanno più volte espresso riserve e insoddisfazione per la “mancanza di completezza” della missione dell’Unione europea che, a loro dire, non sarà in grado di controllare lo spazio aereo e terrestre della Libia, ma solo quello navale. Un fatto, quest’ultimo, che finirebbe per penalizzare il Gna e per favorire l’Lna che riceve rifornimenti via area e via terra dall’Egitto, dagli Emirati Arabi Uniti, dalla Giordania e recentemente anche dalla Siria. Il Governo di accordo nazionale, da parte sua, riceve sostegno e uomini dalla Turchia via nave e attraverso voli provenienti in gran parte da Istanbul.

Intanto si registra già una prima defezione sul fronte europeo. Malta notificherà oggi all’esecutivo comunitario il proprio ritiro da “Irini”. Fonti governative hanno riferito al quotidiano “Times of Malta” che nelle prossime ore a Bruxelles verrà comunicato che Malta non impegnerà più alcun assetto militare nell’Operazione “Irini” (dal nome greco della dea “pace”). Una fonte governativa di alto livello ha affermato che La Valletta potrebbe anche porre il veto per bloccare l’invio di altre navi militari.

La decisione deriverebbe dal fatto che “Malta sta cercando di riallineare la sua posizione sul conflitto in corso in Libia”. Le fonti di “Times of Malta” spiegano che il governo di La Valletta ritiene che che la missione sia “irregolare” e possa influenzare una delle parti in conflitto. Proprio oggi il premier libico Fayez al Sarraj in un’intervista al “Corriere della Sera” ha detto che la nuova missione europea ha “come obiettivo primario quello di fare rispettare l’embargo Onu contro l’invio di aiuti militari stranieri in Libia. La sua area d’operazioni è il mare Mediterraneo”. “Ma ai nostri nemici – ha aggiunto – le armi e munizioni arrivano principalmente via terra e aria. Questa è, in breve, la nostra obiezione: i nostri porti saranno controllati, le nostre truppe penalizzate, mentre gli scali di (Khalifa) Haftar saranno liberi di ricevere ogni aiuto e le sue milizie di utilizzare qualsiasi tipo di rinforzo militare”.
 
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view post Posted on 23/5/2020, 08:53
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ALTRI 500 SOLDATI ITALIANI NELLA GUERRA DI SPARTIZIONE LIBICA



Guerra Libia
L’attacco delle truppe del generale Haftar con lancio di razzi nei pressi delle Ambasciate di Italia e Turchia nel quartiere di Zawiat al-Dahmani a Tripoli[1] ha riacceso i riflettori su una guerra che continua inesorabilmente con l’irrisolta disputa interimperialista per la redistribuzione del controllo delle risorse energetiche e delle aree strategiche della Libia, a cui abbiamo dedicato un approfondimento qui e qui agli inizi di aprile. Da allora, la situazione sul campo di battaglia e a livello politico-diplomatico è in rapida evoluzione, soggetta a continui mutamenti. In questo articolo raggruppiamo una serie di eventi delle ultime settimane che aiutano a comprendere il complesso puzzle di contraddizioni e conflitti d’interessi alla base dell’ulteriore escalation del conflitto.

Generale Haftar

Escalation militare
A fine aprile Haftar si è autoproclamato capo di tutto il paese, dichiarando di avere “il mandato popolare per governare la Libia”[2], decretando l’accordo di Skhirat del 2015, che creava il Governo di Accordo Nazionale guidato da Al-Serraj, “morto e sepolto”. Una dichiarazione che non ha ricevuto il sostegno dei suoi alleati, la Russia ed Egitto, definita dal governo di Tripoli come una “farsa” e un “colpo di stato”.

AL SARRAJLa mossa del leader dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) è arrivata dopo che, grazie al sostegno militare turco, il Governo di Tripoli (GNA) aveva riconquistato diverse città strategiche della costa occidentale, circondando Tarhuna, la base più avanzata delle truppe di Haftar, a circa 50Km a sud-est di Tripoli. Negli stessi giorni Haftar dichiara un cessate il fuoco “per rispettare la tregua chiesta dalla comunità internazionale”[3] che viene respinto da Al-Serraj. Forte dei mutati rapporti di forza sul campo di battaglia[4], il GNA dichiara come “legittima” la sua offensiva militare, iniziata il 25 marzo, che ha portato all’attacco dello scorso 5 maggio alla base di Al Watya, 140km a sud-ovest della capitale[5], in precedenza occupata dai combattenti dell’LNA di Haftar, per poi invitare a un nuovo “dialogo politico” sotto l’egida dell’ONU[6], per una tregua e una “tabella di marcia” per tenere elezioni.

Apparentemente indebolito sul piano politico e militare, l’LNA di Haftar ha risposto il 7 maggio con l’avvio di un’operazione militare denominata “Ababil Birds” (“uccelli miracolosi”), che “mira a liberare l’ultima parte rimanente della patria dai gruppi armati sostenuti dalla Turchia”.[7]
Ad esser presi di mira sono stati un carico d’armi turco e il comando degli ufficiali turchi a Misurata, con testimoni che parlano della deflagrazione di depositi di armi che si trovano a poche centinaia di metri dall’ospedale da campo installato dall’Italia nel 2016, dove sono tuttora presenti circa 300 militari italiani nell’ambito della Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (Miasit). Un’altra forte serie di attacchi è stata lanciata su Tripoli, tra le giornate del 9 e 14 maggio, intorno all’aeroporto Mitiga e in altre aree residenziali della capitale, causando gravi e significativi danni.

soldati turchi in libia

Nuovo intervento imperialista italiano dietro la missione europea IRINI
L’attacco dell’LNA a Misurata è arrivato contestualmente alla chiamata intercorsa tra il ministro degli esteri italiano Di Maio e Al-Sarraj, relativa alla missione imperialista dell’UE (“IRINI”), avviata lo scorso 1° aprile ed entrata in operatività proprio in questi giorni. Alcuni media vicini al generale della Cirenaica hanno lasciato intendere che non si è trattato di una coincidenza.

soldati italiani in libiaAl-Sarraj ha manifestato al governo italiano l’insoddisfazione di Tripoli, che considera la missione IRINI sbilanciata a vantaggio di Haftar, utilizzando come leva di pressione la questione della partenza verso le coste italiane degli emigranti e rifugiati imprigionati in Libia per ottenere un sostegno più deciso del governo italiano che ha nell’area della Tripolitania la salvaguardia gli interessi dell’ENI tra i suoi primari obiettivi. A questo proposito lo stato capitalista italiano e il governo Conte, per bocca del ministro Di Maio, hanno annunciato l’intenzione di inviare 500 soldati nel quadro della missione IRINI, che dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni con il “decreto missioni”, assicurando che sarà “equilibrata”.

Dopo un mese, infatti, la missione IRINI è stata definita e, come detto, resa esecutiva sotto il comando italiano, sia quello operativo, sia quello delle forze in mare (quest’ultimo sarà alternato con la Grecia per un periodo di sei mesi ciascuno). La nave anfibia italiana San Giorgio sarà l’ammiraglia della missione, mentre la Francia ha schierato la fregata Jean Bart e la Grecia la fregata YDRA. Tre aerei da pattugliamento sono schierati da Polonia, Lussemburgo e Germania. L’Italia partecipa anche con un elicottero per il pattugliamento marittimo, un Aeromobile a Pilotaggio Remoto e un aereo da pattugliamento P-72. Come avevamo già fatto notare nel precedente articolo, la partecipazione di Italia, Francia e Grecia è indicativa della natura imperialistica della missione e degli interessi e dei processi contrapposti sullo sfondo: le prime due impegnate nella contesa tra ENI e Total per la ridistribuzione delle ricche risorse di idrocarburi libiche, mentre la Grecia in chiave anti-turca nella disputa nel Mar Egeo. È previsto che saranno resi disponibili altri mezzi speciali necessari ad assolvere i compiti della missione, quali sommergibili, droni e Aerei AEW.

In totale, sono 21 i paesi europei che contribuiranno alla missione con il proprio personale, mentre Malta all’ultimo si è tirata indietro per motivi legati alla questione della gestione dei flussi migratori.
Questo avviene mentre è sempre più realistico il rischio di una ulteriore escalation del conflitto, come afferma lo stesso Di Maio: “Prosegue l’escalation sul terreno, c’è il rischio di uno scontro sempre più violento, resta valida l’analisi secondo cui nessuna delle due parti sia in grado di prevalere militarmente, ma il perseguimento della fragile tregua e del cessate il fuoco appare come un obiettivo ancora difficile da raggiungere“. [8]

Luigi Di Maio

L’esperienza dimostra come, seppur mascherata da “operazioni di sostegno alla pace”, sia sotto forma di missioni delle Nazioni Unite, sia nel quadro della Politica di sicurezza comune dell’UE, come appunto la IRINI, queste missioni sono state sempre il pretesto e il veicolo per brutali interventi imperialistici.
Non si può escludere che questo contingente sia il preludio di un ulteriore successivo intervento diretto nel campo di battaglia, se gli interessi dei monopoli italiani lo richiederanno, in un contesto in cui la crisi economica accelera le competizioni e i conflitti. Non a caso il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha parlato di necessità di una “ripresa tempestiva delle attività operative all’estero, dal momento che l’attuale scenario di sicurezza internazionale non presenta prospettive positive ed è al contrario a rischio di ulteriori aggravamenti”. Contemporaneamente, si discute dell’ampliamento dell’ospedale “civile” di Misurata dove già hanno base 300 soldati italiani.

Processi in rapido e intenso sviluppo
In questo contesto, gli USA hanno preso pubblicamente posizione contro l’offensiva militare lanciata da Haftar, per la prima volta da quando è stata avviata nell’aprile 2019, con il dipartimento di Stato che ha dichiarato di “non sostenerla”, accusando contestualmente la Russia e il governo siriano di inviare uomini e materiale militare in Libia a sostegno di Haftar. “Il ruolo della Russia in Libia ha portato a una significativa escalation della guerra: Mosca sta usando la guerra in Libia per ampliare la sua influenza in Nord Africa“, ha dichiarato Henry Wooster, Vice segretario aggiunto per il Maghreb e l’Egitto,[9] sottolineando che “nessuno deve illudersi che la Russia faccia i bagagli e se ne vada ora che si è inserita nel conflitto libico“. Contemporaneamente l’ONU ha reso pubblica la presenza di 800-1200 mercenari del gruppo russo Wagner che combattono al fianco di Haftar, mentre sono presenti sul suolo libico 8.500 mercenari jihadisti del FSA alleati di Ankara che, trasferiti dal fronte nella Siria settentrionale, combattono adesso con il GNA di Al-Sarraj.

Domenica 3 maggio, Agulah Saleh, presidente del parlamento libico eletto, con sede a Tobruk, nella Libia orientale del generale Haftar, ha tenuto una conversazione telefonica con l’ambasciatore degli Stati Uniti a Tripoli, Richard Norland. Secondo le notizie, Saleh avrebbe accolto “l’importanza di un approccio costruttivo congiunto tra la Libia e gli Stati Uniti“. Secondo quanto riferito, hanno anche convenuto che il conflitto dovrebbe concludersi al fine di riprendere i colloqui di pace volti a risolverlo politicamente.

Questo avviene mentre si aprono delle crepe all’interno della Cirenaica tra Haftar e Saleh, che gode anche di ottimi rapporti con l’intelligence saudita e con l’Egitto. Anche la Russia, dal canto suo, ha criticato le mosse di Haftar: “Non approviamo le dichiarazioni con cui il Maresciallo Haftar sembra voler decidere da solo la vita del popolo libico” ha dichiarato il ministro degli esteri Lavrov, non gradendo nemmeno il tentativo di allontanare Saleh dopo l’annuncio, lo scorso 28 aprile, di un suo “piano per una soluzione politica”, redatto, per sua stessa ammissione, insieme alla Russia, secondo quanto riportato dal The Libia Observer[10].

Anche sul lato di Tripoli, nonostante gli avanzamenti sul piano militare, la situazione politica è tutt’altro che stabile, approfondendosi lo strappo tra il premier Al-Sarraj e il governatore della Banca Centrale, Al Sadiq al Kabiir, dopo una serie di dichiarazioni e scambi di accuse tra i due sulla politica monetaria durante lo scorso aprile e l’inizio di maggio, il che rende molto difficile la crisi finanziaria del GNA.

Erdogan

A rafforzarsi è sicuramente il ruolo della Turchia, con Erdogan che si dichiara pronto ad intervenire con maggiore forza e a compiere “nuovi passi” se Haftar non si ritirerà. “Se le nostre missioni e interessi in Libia sono presi di mira, considereremo le forze di Haftar obiettivi legittimi“, ha affermato il Ministero degli Esteri turco in risposta agli attacchi subiti. La borghesia turca è tra i maggiori investitori in Libia, con accordi per realizzare progetti d’intervento, in particolare nel settore delle infrastrutture, che superano i venti miliardi di dollari attraverso la Turkey Contractors’ Association. Da rilevare anche come il recente volo di un aereo turco sull’isola di Gerba, in Tunisia con il cosiddetto “aiuto umanitario contro la pandemia”, abbia reso evidente la crescente relazione della Turchia e del Qatar, che sostengono Tripoli, con la Tunisia, con i suoi riflessi sul confinante scenario libico. Una situazione che sta creando tensioni interne alla Tunisia, con i partiti di opposizione che hanno accusato il premier Said di essere sottomesso alle ambizioni turche denunciando anche “l’attività turca sul suolo tunisino in cerca del sostegno di militanti e terroristi e l’invio di mercenari nella vicina Libia”.

L’obiettivo del governo borghese turco è quello di accrescere la sua influenza nella più ampia regione per promuovere gli interessi dei monopoli turchi dal Medio Oriente all’Africa settentrionale fino al Corno d’Africa[11] e, naturalmente, inserire un cuneo negli interessi energetici competitivi dal Mediterraneo orientale fino a quello meridionale e dunque alla Libia.
L’11 maggio, i ministri degli esteri di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Grecia, Francia e Cipro hanno rilasciato una dichiarazione congiunta di condanna delle azioni del governo turco in Libia e nel mediterraneo orientale[12], suscitando la dura reazione del ministro degli esteri tripolino che ha lamentato le ingerenze negli affari libici e puntato il dito principalmente contro gli EAU, così come a stretto giro ha fatto anche il ministro degli esteri turco che ha parlato di “asse del male” e accusato gli Emirati Arabi Uniti, schierati con il generale Haftar, di “portare il caos” in Libia e Yemen attraverso i loro interventi in quei paesi. Sulla stessa scia, anche le “autorità” del sedicente “stato turco-cipriota” (che occupa illegalmente la parte settentrionale di Cipro) hanno lamentato le ingerenze negli affari relativi alla spartizione del Mediterraneo orientale e sfruttamento delle risorse, rivendicando che ”la Turchia e la TRNC sono determinate a proteggere i loro interessi nel Mediterraneo orientale e nella “Patria blu”. Non si può tornare indietro da questo“. In questo contesto, la sospensione – ufficialmente a causa del Covid-19 – delle piattaforme di perforazione, pianificate nel Mediterraneo sud-orientale da giganti dell’energia come ExxonMobil, Eni, Total[13], ha alimentato le discussioni sulla “rivalutazione” dei progetti energetici, con la Turchia che ha chiamato ad un “dialogo autentico e realistico“, osservando che le “difficoltà economiche incontrate da vari paesi e società hanno dimostrato che l’apertura alla comunità internazionale del gas naturale nel Mediterraneo orientale attraverso la Turchia è l’opzione più economica e logica“.

Gasdotto EASTMEDNegli stessi giorni il parlamento greco ha votato (con l’opposizione del KKE) la ratifica dell’accordo per la costruzione del gasdotto EastMed (sostenuto da Grecia, Israele, Cipro, USA e UE) che collegherà i giacimenti Leviatano israeliano e Afrodite cipriota dal Mediterraneo orientale alla Grecia, trasportando il gas verso l’Europa attraverso l’Italia, progetto sostenuto dall’UE come ulteriore mezzo per diversificare l’approvvigionamento energetico e ridurre la dipendenza dalla Russia, tagliando fuori anche la Turchia. Da notare come il ministro dell’energia greco, riferendosi all’Italia, abbia affermato di “aspettarsi risposte positive” per l’adesione al progetto.

In reazione, la Turchia ha confermato che continueranno le attività di esplorazione nel Mediterraneo orientale alla luce del memorandum d’intesa siglato lo scorso 27 novembre a Istanbul tra la Turchia e il GNA di Al-Sarraj per la delimitazione dei confini marittimi.[14] Il ministro dell’energia turco ha provocatoriamente risposto che questo accordo “ha rafforzato la presenza della Turchia nel Mediterraneo” e ha aggiunto che “coloro che volevano tenere la Turchia fuori dall’equazione nel Mediterraneo adesso sono fuori gioco“.

Contemporaneamente il segretario generale della NATO, Stoltenberg, rilascia una intervista al quotidiano Repubblica (particolare di non poco conto) in cui dichiara che “la NATO è pronta a sostenere il governo di Tripoli”, precisando che “siamo 30 paesi della NATO e possiamo avere posizioni diverse su questioni diverse, ma Ankara è un alleato importante”.[15] Una dichiarazione accolta con grande soddisfazione da Tripoli e Ankara, che ha particolarmente spiazzato il governo greco che si è affrettato a dichiarare di “aver ricevuto assicurazioni che le dichiarazioni del segretario generale non sono state riportate correttamente”, a testimonianza delle contraddizioni interne alla NATO.

Possiamo così notare come la guerra in Libia sia sempre più intrecciata con quella in Siria e con le dispute nel Mediterraneo orientale e nello Stretto di Bab El Mandab, che si inseriscono in un parziale rimescolamento delle alleanze sulla scena mediorientale con l’emergere di potenze regionali con propri interessi sempre più forti.
Prendiamo come esempio caratteristico quello degli Emirati Arabi Uniti (EAU) che, tra i principali sostenitori di Haftar[16], stanno compiendo mosse diplomatiche alla ricerca di un’intesa con la Siria in chiave antiturca, contro la quale, fino a poco tempo fa, sostenevano le milizie jihadiste. L’obiettivo è quello di spingere il governo di Damasco a riprendere il controllo di parte del suo territorio settentrionale per deviare l’attenzione della Turchia dal teatro libico e concentrarsi maggiormente nel conflitto che si svolge a ridosso dei suoi confini e di indebolire le aspirazioni egemoniche turche sul Mediterraneo orientale, ricco di giacimenti di gas, rivendicati anche da Cipro e da Israele[17] con relativi progetti di pipeline verso l’Europa in competizione tra loro. Significativo a riguardo è l’accordo firmato tra gli EAU e Israele (che formalmente non riconoscono ma con cui sono sempre più strette le relazioni con conseguenze sulla questione palestinese) per la fornitura di un sofisticato sistema di difesa aerea destinato all’LNA di Haftar. Negli ultimi due anni gli EAU hanno mostrato un attivismo regionale molto intenso, fatto di scelte audaci per far avanzare i propri interessi, a volte in collusione e a volte in collisione con l’Arabia Saudita, il loro partner più forte. Oltre a sostenere e rifornire Haftar in Libia, gli EAU sono impegnati nel conflitto in Yemen, puntando il loro mirino in particolare contro un’altra forte potenza regionale nell’area del Golfo, l’Iran, e con l’obiettivo di promuovere le loro ambizioni strategiche sul Mediterraneo, visto come proprio prolungamento geopolitico, creando continuità per una serie di scali portuali che risalgono dalla Penisola Arabica al Corno d’Africa fino a Suez e proseguono verso la Libia. Sistema che gli emiratini vorrebbero sovrapporre alla “Nuova Via della Seta” cinese, che fa rivivere le vecchie rotte commerciali della seta in competizione con gli interessi degli Stati Uniti e dell’UE.

La Libia stessa fa parte del puzzle dell’iniziativa della Cina che non è di certo indifferente al conflitto in corso, mantenendo apparentemente contatti con entrambe le parti in guerra.Gli sviluppi si stanno accelerando pericolosamente nel groviglio di competizioni interimperialiste
Il ruolo delle potenze imperialiste nella regione è molto complesso, in un groviglio di interessi di potentissimi monopoli che si scontrano per la ripartizione di zone d’influenza, mercati, rotte commerciali, risorse energetiche, gasdotti e punti geostrategici cruciali. Il conflitto libico è una delle arene della contesa interimperialista nell’ampia regione collegata a tutti gli altri fronti aperti dalla Siria allo sfruttamento dei giacimenti del Mediterraneo orientale, al controllo dei crocevia commerciali del Canale di Suez, dello stretti di Bab el-Mandeb e Hormuz, del golfo Persico e di quello di Aden in Yemen, a loro volta tasselli di una competizione globale che si va acuendo sempre di più con la pandemia di coronavirus e la crisi capitalistica, con il rimescolamento di alleanze e posizioni di forza nel sistema imperialista internazionale.

Dopo aver distrutto la Libia con gli attacchi USA e NATO nel 2011, i centri imperialisti tornano pesantemente per spartirsi la “torta” con i preparativi di un nuovo saccheggio a danno del popolo libico, cercando di massimizzare la loro parte della vasta ricchezza naturale e minerale della Libia e di assicurarsi le loro posizioni, nel contesto del più ampio confronto interimperialista. L’importanza geostrategica della Libia, che non si limita solo allo sfruttamento delle sue ricche risorse energetiche si estende alla presenza nel Mediterraneo e ai riassestamenti nell’Africa settentrionale, costituisce una “porta” di penetrazione nel continente africano, dal Sahel al Corno d’Africa[18] – Etiopia, Somalia, Eritrea, Sudan, Gibuti – dove avanza la penetrazione di potenze come Turchia, Russia, Cina, EAU, Arabia Saudita, Israele.

Caratteristica la situazione di Gibuti che ospita la prima base militare cinese nel continente, ma anche basi e contingenti militari di USA, Francia, Giappone, Arabia Saudita, Germania, Spagna e Italia.
Dalla Libia al Sahel (Niger), al Corno d’Africa (Gibuti), l’Italia ha una propria presenza militare ed è tra i primi paesi per esportazioni di capitali nel continente africano in cui il monopolio energetico ENI conserva il primato di principale attore energetico, con una presenza in 13 paesi in cui produce oltre la metà della produzione totale di greggio e gas naturale del gruppo. In questi scenari pericolosi, le brame della borghesia italiana e di monopoli come l’ENI sono sostenute dalla politica del governo dietro il paravento degli “interessi nazionali”, coinvolgendoci sempre di più nella complessa situazione sul terreno libico, nel groviglio di potenze imperialiste globali e regionali con i loro rispettivi interessi geopolitici dietro le due parti in guerra.

Il crescente accumulo di “materiale infiammabile” nella regione accelera questi pericolosi sviluppi con la concorrenza, sempre più intensa, tra potenti centri imperialisti e con il coinvolgimento di potenze regionali con i loro interessi particolari, che giocano un ruolo sempre più decisivo, sul piano delle alleanze strategiche, per il successo dei piani delle grandi potenze imperialiste, cosa che avvicina il rischio di una guerra generalizzata. In ogni caso, è chiaro che i “desideri” di promuovere una “soluzione politica” in Libia sono collegati con i piani militari e di spartizione che hanno gli interessi dei monopoli e degli stati capitalisti come base.

L’Ordine Nuovo continuerà a tenere alta l’attenzione e l’informazione su questi sviluppi. La lotta contro i pericolosi piani di guerra e di spartizione imperialista, proiezione militare e diplomatica dello sfruttamento di classe per i profitti dei monopoli, contro la partecipazione e il coinvolgimento del nostro paese, contro gli interessi della borghesia e dei monopoli italiani, al cui servizio operano lo Stato e il governo, e le loro alleanze internazionali come UE e NATO, deve essere tempestivamente posta al centro della mobilitazione dei lavoratori del nostro paese.



[1] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/afr...28afb00f75.html

[2] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-27/...-libia-8456233/

[3] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-30/...ripoli-8479662/

[4] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-30/...haftar-8487041/

[5] Dopo giorni di aspri combattimenti le forze regolari del GNA hanno conquistato la base il 18 maggio https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/afr...de499635df.html

[6] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2...alogo-politico/

[7] https://www.agenzianova.com/a/5eb52e92bd8d...bia-occidentale

[8] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/...html?refresh_ce

[9] https://www.repubblica.it/esteri/2020/05/0...tar_-256000761/

[10] https://www.libyaobserver.ly/news/hor-spea...t-south-tripoli

[11] http://nena-news.it/petrolio-aiuti-umanita...-corno-dafrica/

[12] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2...io-diplomatico/

[13] Monopoli che possiedono le concessioni da parte della Repubblica di Cipro per l’esplorazione delle aree assegnate nella ZEE cipriota che non viene riconosciuta dalla Turchia che rivendica parte di quest’area inviando proprie navi perforanti e militari in contrasto.

[14] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/eur...a680167314.html

[15] https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2...nte_-256546000/

[16] Alcuni giorni fa, gli aerei da combattimento UAE Mirage 2000-9, presumibilmente decollati da una base militare in Egitto, hanno distrutto depositi di armi turche e aerei telecomandati UAV Bayraktar TB2 all’aeroporto di Misrata, che viene utilizzato dal governo di Al-Sarraj.

[17] http://www.senzatregua.it/2019/12/22/sui-p...aneo-orientale/

[18] Che si affaccia sullo stretto di Bab el-Mandeb, Mar Rosso verso il Canale di Suez e golfo di Aden.
 
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view post Posted on 24/5/2020, 11:16
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addàrivenì baffone

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L’inarrestabile escalation del conflitto libico



Mentre continua l’avanzata delle forze fedeli al Governo di accordo nazionale libico (GNA) sostenute dai turchi a ovest di Tripoli aumentano le voci di un forte incremento di rinforzi e aiuti militari in arrivo in Cirenaica da Russia e Siria a sostegno dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. Uno sviluppo che, con il rapido rafforzamento delle truppe turche e dei mercenari siriani filo-Ankara, sembra accentuare l’internazionalizzazione del conflitto e la sua conseguente escalation.

Il comando dell’operazione “Vulcano di Rabbia” del GNA nelle ultime ore ha annunciato la presa delle cittadine di al-Asaba e Jandouba e che le sue forze si trovano 180 chilometri a sud di Tripoli occupando una zona strategica per tagliare le linee di rifornimento dalla base di al-Jufra e dalla Cirenaica alle forze di Haftar schierate a sud della capitale.

La situazione sul campo di battaglia

La situazione nell’area ancora confusa e l’LNA ha annunciato una controffensiva aerea sulle zone di al-Watya (nella foto sopra) e di al-Asaba esortando la popolazione di questa cittadina sulla strada tra Tarhuna e Zawiya di non uscire dalle proprie case.

Si tratta degli sviluppi che hanno fatto seguito la caduta della base aerea di al-Watya evacuata dopo un lungo assedio da circa 1.500 militari dell’LNA lasciando nelle mani del nemico alcuni mezzi e veicoli danneggiati, un sistema antiaereo Pantsir danneggiato e una decina di aerei da combattiment che fecero parte dell’aeronautica libica all’epoca di Muammar Gheddafi ma da tempo fuori servizio.

Il ritiro delle forze di Haftar dalla base aerea di al-Watya era da un mese oggetto di trattative tra GNA e LNA, alternate a fitte incursioni aeree tese a incoraggiare gli assediati a cedere.

L’obiettivo del GNA e dei turchi era prendere possesso della grande base aerea riducendo al minimo i danni alle infrastrutture a conferma delle voci provenienti da tripoli che riferiscono la volontà di Ankara di farne una grande base per la propria aeronautica schierandovi caccia F-16, droni Anka e Bayraktar, cargo A-400M e C-130 e probabilmente anche elicotteri da trasporto e attacco T-129.

Secondo l’emittente “Libya 24″, vicina all’LNA, esisterebbe un “patto” tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per garantire alla Turchia la base aerea di al-Watya che diventerebbe una “base in comune con il Comando statunitense in Africa (Africom)”. In cambio, la Russia “otterrebbe la base aerea di Qardabiyah a Sirte” e una base navale nel porto della città costiera libica, al fine di garantire a Mosca uno sbocco sul Mediterraneo centrale. Secondo “Libya 24”, Erdogan avrebbe intimato al generale Haftar tramite “un mediatore russo” di fermare la guerra e di ritirarsi dalle sue attuali posizioni a sud della capitale.

Indiscrezioni che spiegherebbero le dichiarazioni del portavoce dell’LNA, colonnello Ahmed al- Mismari, che ha annunciato il “riposizionamento tattico” delle truppe a 2-3 chilometri più a sud di quelle tenute alla periferia di Tripoli. Valutazioni almeno in parte da non escludere, specie in tema di intesa strategica tra Russia e Turchia già emersa da anni in Siria e manifesta in Libia dall’autunno scorso.

Appare evidente che il governo turco punti a stabilire in Libia una base aerea ma anche una navale che gli consentirebbe di aumentare il proprio peso nell’area e di appoggiare e ricostituire la Marina Libica. La base ideale è quella di Abu Sitta. Dove oggi è presente una nave italiana con circa 70 militari che appoggiano e coordinano l’attività antri immigrazione illegale della Guardia Costiera libica. Una ulteriore conferma che la penetrazione turca in Libia è contrapposta agli interessi italiani e rientra nella strategia di Erdogan che negli ultimi due anni ha aperto basi militari in Somalia, Qatar, Siria e Sudan.

Il ripiegamento dell’LNA dagli avamposti alla periferia di Tripoli sembra essere imposto dalla necessità di accorciare il fronte per difendere meglio i reparti esposti soprattutto a martellanti attacchi aerei effettuati dai droni Bayrackar TB2 turchi, almeno due dei quali abbattuti dalle forze di Haftar nelle ultime ore (circa 35 quelli probabilmente perduti da Ankara dal novembre scorso).

Al-Mismari ha parlato di riposizionamento tattico negando le notizie su “un ritiro totale da Tripoli”, sottolineando che l’obiettivo è “una ridistribuzione delle forze e il loro riposizionamento negli hub di combattimento in punti specifici nell’ambito delle operazioni. Il comando generale ha confermato che questa iniziativa viene attuata per risparmiare ai quartieri civili di Tripoli i bombardamenti del nemico durante i giorni di fine Ramadan, in modo che i civili non siano presi di mira da milizie terroristiche ed estremiste”, ha aggiunto al-Misnari.

Più probabile invece che l’LNA cerchi di sganciarsi dal contatto diretto col nemico (ipotesi che verrebbe confermata dalla posa di molte mine nei settori abbandonati, come denuncia il GNA) per riorganizzarsi in una fase molto critica del conflitto in cui le forze schierate sul fronte di Tripoli rischiano di vedersi tagliate le vie di rifornimento a sud e vedono sotto attacco la roccaforte di Tarhuna, sede del comando dell’LNA sul fronte di Tripoli dove operano anche molti consiglieri militari russi, emiratini e giordani.

Proprio in questi settori si stanno intensificando gli attacchi del GNA con l’obiettivo di investire Tarhuna da ovest dopo aver sfondato le linee nemiche ad Ain Zara, nella periferia sud di Tripoli.

Un piano il cui successo dipende molto dalla superiorità aerea imposta dai droni turchi che begli ultimi giorni avrebbero distrutto a Tarhuna e Washka (sul fronte orientale tra Misurata e Sirte) 6 sistemi di difesa aerea Pantsir forniti all’LNA dagli Emirati Arabi Uniti ma anche da almeno un altro paese che, a differenza degli emiratini, monta il sistema d’arma su autocarri russi KAMAZ invece dei tedeschi MAN.

Il cedimento sui fronti di Tripoli sembra poter pregiudicare ad Haftar (già molto criticato nella “sua” Cirenaica) il supporto dei nostalgici di Gheddafi, fino a ieri al suo fianco. La tv pro-Gheddafi al-Jamahiriya ha diramato un comunicato delle forze leali al rais in cui si accusa il generale Khalifa Haftar di essere un “traditore” legato agli interessi di Paesi stranieri, “un agente che riceve ordini da oltremare”.

Lo scrive il Libya Observer. Le forze leali al regime di Gheddafi sostengono che Haftar non è un vero comandante che “combatte sul campo di battaglia” ma “da residenze lussuose e a migliaia di chilometri dalla linea del fronte” che fa “accordi commerciali e politici a spese del sangue della gente comune”. “Non saremo parte di un comando virtuale che non ha mai visitato la linea del fronte per un anno e mezzo”, recita la nota delle forze leali a Gheddafi. Il comunicato è stato diffuso in risposta all’annuncio del ripiegamento dell’LNA da sud di Tripoli.

La guerra siriana di Libia

L’offensiva condotta dalle forze del GNA non è stata indolore per i turchi e per i mercenari siriani arruolati da Ankara. Le forze di Ankara hanno perduto diversi droni e blindati mentre secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), Ong con sede a Londra che afferma di disporre di una fitta rete di informatori in tutte le regioni siriane, nei combattimenti in Libia erano stati uccisi al 17 marzo 304 mercenari siriani filo-turchi.

Negli ultimi mesi la Turchia ha portato in Libia 9.600 mercenari e altri 3.300 si stanno addestrando nei campi siriani, pronti a partire. Tra le reclute, segnala l’Osservatorio che monitora funerali e rimpatri nel nord della Siria delle salme dei caduti, vi sono circa 180 minori di età’ compresa tra 16 e 18 anni. Finora le vittime tra i minori sono state 17.

Aumentano anche i flussi di miliziani siriani arruolati tra i filo-governativi dai russi (probabilmente con fondi emiratini che già pagano il conto dei mercenari ciadiani e sudanesi che affiancano l’LNA). Sempre l’Ondus il numero di reclute ha raggiunto 215 persone provenienti da Raqqah, Homs, Latakia e al-Hasakah e trasferite nella base militare russa di Hmeymim, a Latakia, per poi essere trasferite in Libia.

“Ogni recluta riceve uno stipendio mensile di 1.000 dollari per combattere dalla parte delle forze di Haftar contro il Governo di accordo nazionale sostenuto dalla Turchia, che anch’essa recluta mercenari in Siria”, spiegano le fonti dell’Ondus.

Alcune centinaia di mercenari reclutati tra le milizie fedeli a Damasco nelle province del sud della Siria sarebbero già in Cirenaica insieme ad armi ed equipaggiamento trasportati da aerei cargo russi e della compagnia siriana Cham Wings, a cui appartengono anche i due voli arrivati il 20 maggio a Bengasi. Uno di questi, proveniente da Teheran ma che ha fatto scalo a Damasco, ha aperto l’ipotesi che milizie scite filo-iraniane ed Hezbollah possano affiancare le forze dell’LNA.

Il dibattito sull’ipotetico ruolo dell’Iran in Libia è forse utile a sostenere il riposizionamento degli USA al fianco del GNA ma appare francamente impensabile sul piano politico, non fosse altro perché gli sponsor più importanti di Haftar sono sauditi, emiratini ed egiziani, i cui governi non sono certo sospettabili di simpatie per l’Iran.

Più plausibile invece che il conflitto quasi concluso in Siria e la crisi finanziaria che sta portando l’Iran a smobilitare parte delle milizie arruolate in tutto il mondo islamico scita e schierate in Siria stia lasciando senza lavoro qualche migliaio di combattenti difficilmente ricollocabili nella vita civile. Veterani che potrebbero essere allettati dalla paga offerta per combattere in Libia nei ranghi dell’LNA.

Non sembra essere poi così remota l’ipotesi che sui campi di battaglia libici si ritrovino faccia a faccia gli stessi combattenti che si sono duramente affrontati sui fronti siriani.

Arrivano i jet russi

Dopo il massiccio intervento turco, la notizia che sembra imprimere maggiore spinta all’internazionalizzazione del conflitto libico è quella diffusasi ieri circa l’arrivo a Bengasi di 6 cacciabombardieri Mig 29 e 2 aerei da interdizione e attacco al suolo Sukhoi Su-24S provenienti dalla base aerea russa di Hmeymim.

L’arrivo dei velivoli russi era stato reso noto dal ministro dell’interno del GNA, Fathi Bashagha e sulla vicenda starebbero già indagando esperti Onu impegnati a segnalare le ormai quotidiane violazioni dell’embargo sulle armi alla Libia.

Haftar, preannunciando enfaticamente “la più grande campagna aerea della storia libica”, ha implicitamente confermato il 21 maggio la presenza dei jet russi, già trasferiti almeno in parte nella base aerea di al-Jufra (350 chilometri a sud di Misurata e 460 chilometri a sud-ovest di Tripoli) per appoggiare le operazioni intorno a Tripoli.

“Nelle prossime vedrete ore la più vasta campagna aerea nella storia della Libia, per colpire interessi turchi e forze del governo di Tripoli in tutte le città libiche”, ha annunciato il generale Saqr al-Jaroushi, capo dell’Aeronautica dell’LNA.

Ankara ha risposto che riterrà le forze del generale Khalifa Haftar come un “obiettivo legittimo” se attaccheranno gli interessi di turchi in Libia, come ha dichiarato Hami Aksoy, portavoce del ministero degli Esteri.

Il giorno successivo il portavoce dell’LNA, colonnello al-Mismari, ha annunciato che sono stati ripristinati dai tecnici dell’aeronautica e rimessi in attività quattro caccia da combattimento (di tipo non specificato) dopo un lungo periodo di inattività. Gli aerei verranno usati nella battaglia contro il governo di Tripoli e si affiancheranno probabilmente ai velivoli inviati dai russi circa i quali molti aspetti non sono stati chiariti.

Difficile dire in base agli elementi noti se si tratti di velivoli in forza all’Aeronautica Russa o se abbiano le insegne dell’LNA. Potrebbe infatti trattarsi dei Sukhoi Su-24 già in dotazione all’LNA ed ereditati dalle forze aeree di Gheddafi ma inviati in Russia per essere messi in condizioni di volare a cui si sono aggiunti Mig 29 acquisiti nuovi o di seconda mano in Russia o ceduti dalla Siria dopo che Damasco ha stretto relazioni diplomatiche ufficiali con Haftar.

Roma, 13 gen. (askanews) - Il generale libico Khalifah Belqasim Haftar "ha firmato un accordo" con Mosca per l'installazione di una base militare in Libia. A scriverlo oggi è al Quds al Arabi, quotidiano panarabo di proprietà del Qatar, Paese che sostiene l'ex governo islamista di Salvezza nazionale di Tripoli. Non solo ma la stessa testata, in un editoriale pubblicato oggi sul suo sito on-line, parla di "prossime manovre della marina militare russa" nelle acque del mediterraneo davanti alle coste libiche che avrebbe l'obbiettivo di "testare eventuali reazioni dei Paesi occidentali, troppo preoccupati di non impantanarsi" nel caos del Paese Nordafricano. Mercoledì scorso, il generale Haftar ha visitato l'incrociatore russo Kuznetsov. Il comandante del sedicente esercito nazionale libico è stato accolto a bordo dal Vice Ammiraglio V. N. Sokolov e una volta sul vascello si è collegato in videoconferenza con il Ministro della Difesa della Federazione Russa Sergei Shoigu, come ha fatto sapere in un comunicato il ministero della Difesa russo. (segue)

Mosca ha un accordo di cooperazione militare con l’LNA firmato nel gennaio 2017 dal generale Haftar a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov (nella foto a lato) in navigazione nel largo di Tobruk, che potrebbe includere anche i contractors della società militare privata Wagner stimati da alcuni tra i 1.200 e i 1.400 effettivi, numeri che potrebbero rivelarsi sovrastimati.

Il ruolo russo nella fornitura sembra del resto confermato non solo dal fatto che gli aerei provenissero dalla base siriana utilizzata da Mosca (forse utilizzata come scalo intermedio per il trasferimento dei velivoli?) ma dal fatto che Mig 29 e Sukhoi 24 fossero scortati da due caccia Sukhoi Su-35 delle forze aeree russe.

Gli stessi piloti e tecnici destinati a operare con questi velivoli potrebbero essere libici addestrati in Russia oppure contractors russi o ancora siriani, che impiegano da anni questi due tipi di velivoli. In ogni caso la deterrenza espressa dai velivoli russi potrebbe influire sugli sviluppi a btreve termine della situazione.

Fonti militari russe citate dall’Agenzia Nova hanno riferito che difficilmente avrebbe dato il via libera ad un dislocamento di velivoli delle forze aeree russe in territorio libico evidenziando come l’aeronautica siriana abbia da tempo in dotazione sia i Mig-29 che gli Su-24 in varie versioni e valutando che tali velivoli sono probabilmente giunti in Libia con personale militare siriano.



Una guerra sempre più “internazionale”

Da un lato tutti i protagonisti internazionali della crisi libica si dichiarano a favo-re del cessate il fuoco e della pace salvo poi sostenere le due fazioni con armi e combattenti.

A giorni è attesa la firma di un nuovo accordo di cooperazione militare tra Tripoli e uno Stato finora non precisato, ma che necessariamente sarà in gradi di aiutare militarmente il GNA senza fare troppa “ombra” alla Turchia e ai suoi interessi in Libia.

Ieri i ministri degli Esteri di Russia e Turchia, Serghiei Lavrov e Mevlut Cavusoglu, hanno ribadito la necessità di un cessate il fuoco immediato e della ripresa “di un processo politico sotto l’egida dell’Onu”.

Difficile però credere che dopo le diverse intese raggiunte in Siria, russi e turchi siano pronti a combattersi oggi in Libia. Più probabile che il reciproco rafforzamento militare possa favorire, dopo la sconfitta dell’LNA in Tripolitania, una sorta di spartizione della Libia tra una Tripolitania a influenza turco-qatarina garantita dalle basi militari turche e una Cirenaica sotto l’influenza russo-egiziana-emiratina.

Un’ipotesi che può apparire lontana dal momento che anche ieri il GNA ha reso noto di non accontentarsi di liberare Tripoli dall0’assedio ma di mirare a conquistare “tutto il territorio libico” a partire dalla cosiddetta “Mezzaluna petrolifera” del Golfo della Sirte indicata come obiettivo a medio termine del GNA.

Il comandante delle forze del GNA, generale Ahmed al Haddad, ha infatti affermato che il prossimo obiettivo è “liberare la regione della Mezzaluna petrolifera con l’assistenza degli alleati turchi”. In una dichiarazione ripresa dalla testata online “Al Ain”, Al Haddad ha aggiunto che “è giunto il momento di riprendere a produrre ed esportare petrolio libico” (dopo che il blocco imposto da Haftar ha già provocato danni all’export di greggio per oltre 4 miliardi di dollari) osservando che “i paesi che hanno sostenuto le forze del GNA avranno la priorità nel beneficiare delle risorse economiche libiche”.

Minacce a cui l‘LNA ha risposto annunciando che “continuerà la sua battaglia contro l’invasione turca” precisando che ci sono “1.500 soldati turchi attualmente in Libia” e “altri 2.500 sono in arrivo”. Un numero che non include i già citati mercenari siriani ma potrebbe includere i contractors turchi della compagnia privata Sadat, ex militari presenti a Tripoli già da molti anni.

I proclami bellicosi dei protagonisti libici devono però fare i conti con la orai totale dipendenza di entrambe le formazioni militari dal supporto che ricevono dall’estero. Per questo la crescente influenza militare di Mosca e Ankara potrebbe costituire la migliore garanzia per giungere a un accordo il più possibile stabile che quanto meno “congeli” il conflitto.

A conferma di quanto un’intesa russo -turca in Libia venga temuta in dalle potenze Occidentali, ieri all’Onu Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto alla Russia di smetterla di inviare mercenari in Libia, dopo che un rapporto Onu ha confermato la presenza di combattenti russi e siriani nel paese.

“Siamo particolarmente preoccupati da ulteriori notizie secondo le quali parti esterni continuano a fornire materiali, equipaggiamenti, mercenari”, ha detto l’ambasciatore britannico Jonathan Allen. “Le attività del Wagner Group continuano a esacerbare il conflitto e a prolungare la sofferenza del popolo libico”. Gli ha fatto eco l’ambasciatrice statunitense Kelly Craft. “Tutte le parti coinvolte nel conflitto in Libia devono immediatamente sospendere le operazioni militari”, ha affermato.

“Devono fermare il trasferimento in corso di equipaggiamento e personale militare verso la Libia, compresi quelli, come menzionato dal Regno Unito, dei mercenari del Wagner Group”.

L’ambasciatore russo Vasily Nebenzia ha parlato di “speculazioni” e ha attaccato il rapporto Onu “per la gran parte basato su dati non verificati o chiaramente falsificati con l’obiettivo di screditare la politica russa in Libia.Molti dei dati in particolare riguardanti cittadini russi menzionati nel rapporto sono semplicemente infondati. Non ci sono soldati russi in servizio in Libia”.

Da tempo Mosca gioca sul fatto che i contractors non sono soldati e on seno neppure pagati dalla Russia ma il fatto che all’ONU gli ambasciatori anglo-americani citino esplicitamente il migliaio di contractors russi e omettano di citare i quasi 10 mila mercenari jihadisti arruolati da Ankara in Siria offre la piena misura del tentativo di riavvicinare la Turchia alle potenze della NATO puntando sul confronto russo-turco in atto in Libia.

Basti pensare che è stato lo stesso ministro turco della Difesa turco, Hulusi Akar, a dichiarare il 20 maggio all’agenzia ufficiale Anadolu che gli equilibri in LIBIA sono “cambiati in modo considerevole dopo che la Turchia ha iniziato a sostenere il governo di Tripoli con la formazione, la cooperazione e l’assistenza in campo militare”.
 
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view post Posted on 8/8/2020, 18:38
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“La NATO ha distrutto la Libia”: le parole del cugino di Gheddafi riaprono il dibattito

Le parole del cugino di Gheddafi riaprono il dibattito, forse mai chiuso, sulla primavera araba e sulle ferite ancora aperte in Libia.



Ahmed Gaddaf Al-Dam, ora funzionario politico del “Fronte di lotta nazionale” libico, sostiene che le divisioni sociali e politiche in Libia siano diretta conseguenza delle volontà di NATO e Consiglio di Sicurezza ONU, che avrebbero mentito per agevolare i loro interessi.

Infatti, Gaddaf ha duramente criticato la legittimità delle azioni NATO nel paese sostenendo che ciò che è accaduto in Libia si basa su una falsità e «ciò che è costruito sulla falsità è nullo».

Il cugino del defunto presidente libico rincara la dose contro l’organizzazione internazionale: «ha distrutto un paese che era una valvola di sicurezza nel Mar Mediterraneo del Nord Africa, i governanti “instaurati” dai loro missili non sono legittimi, perché i missili non danno legittimità a nessuno».

https://www.crisiswatch.it/la-nato-ha-dist...A60nDFTUFbkBT9E
 
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view post Posted on 6/1/2022, 12:39
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L’Italia galleggia nel Mediterraneo come un vascello fantasma
di Alberto Negri *
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6 Gennaio 2022 - © CONTROPIANO
 
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