Comunismo - Scintilla Rossa

Fine dell'Impero Romano d'occidente. Rivoluzione degli schiavi e invasione dei barbari, S. I. Kovaliov

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view post Posted on 26/5/2020, 18:34
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addàrivenì baffone

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compagni, qui c'è una analisi marxista-leninista sulla caduta dell'impero romano del grande storico antichista sovietico Sergei I. Kovaliov, questo frammento fa parte del suo manuale "Storia di Roma" del 1948, è il capitolo conclusivo. Mi ripropongo, col tempo, di digitalizzare l'intera opera che è molto interessante, ottimo esempio di analisi storico-materialistica sulla storia di Roma e sull'età schiavistica che potrebbe tornare utile anche a molti giovani compagni. Poi metterò nella nostra biblioteca in cloud, qui, anche per possibili motivi di copyright, metterò solo il link.



FINE DELL'IMPERO ROMANO D'OCCIDENTE. RIVOLUZIONE DEGLI SCHIAVI E INVASIONE DEI BARBARI (1)



La società del IV -V sec.

Nel IV e V sec. lo sviluppo sociale dell'Impero mantenne la stessa direzione che già aveva preso molto tempo prima. Nella seconda metà del IV sec. si era venuto definitivamente formando un originale sistema di rapporti fondati sull'economia chiusa naturale e sul servaggio, caratteristico del tardo Impero. La decadenza del commercio (2) trovò la sua espressione perfino in tutte le forme di pagamento allo Stato o da parte di esso: tributi, stipendi, ecc. furono pagati in natura. Impiegati e soldati ricevevano lo stipendio o il soldo sotto forma di prodotti, vestiti, mobili. Si trattava di generi provenienti dai magazzini statali, i quali, a loro volta, erano riforniti con le merci portate dai contribuenti in conto tributi. Solo i militari e i funzionari di grado più elevato ricevevano parte del loro stipendio in denaro. Il commercio si contrasse fino al punto di non spingersi quasi più oltre i limiti del locale mercato urbano. Le città assunsero un aspetto del tutto diverso da quello precedente: divennero simili più a fortezze che a centri commerciali e industriali; l'area occupata si restrinse, il numero delle piazze diminuì, solide mura sorsero a loro difesa, ecc. Il centro di gravità della vita economica dell'Impero passò completamente al villaggio. Nel campo dei rapporti agrari trionfò definitivamente la colonia. Nel corso del IV e del V sec. quel legame fra coloni e terra, che di fatto esisteva già prima, prese forma giuridica con una serie di editti imperiali che gradualmente tolsero ai coloni la libertà di trasferirsi, trasformandoli in veri servi della gleba. Una delle cause più impor-tanti che indussero il governo romano a legare i coloni alla terra fu l'estrema mobilità della popolazione. La situazione degli strati medi e bassi delle città e dei villaggi era infatti così difficile che ognuno era pronto a fuggire in qualsiasi luogo pur di sottrarsi alle tasse, alle angherie dei funzionari e ai debiti. E i fuggiaschi affluivano preminentemente presso i barbari. Uno scrittore romano del V sec. ci ha lasciato un quadro vivace di tale fenomeno:

«E intanto i poveri, le vedove e gli orfani, spogliati e oppressi erano giunti a un punto di disperazione tale che molti, pur appartenendo a famiglie note e avendo ricevuto una buona educazione, erano costretti a cercare rifugio presso i nemici del popolo romano per non rimanere vittime di ingiuste persecuzioni. Essi si recavano presso i barbari in cerca dell'umanità romana, poiché non potevano sopportare presso i Romani l'inumanità barbara. Sebbene essi fossero estranei, per costumi, per lingua, ai barbari presso i quali fuggivano, sebbene fossero colpiti dal loro basso livello di vita, nonostante tutto risultava loro più facile abituarsi ai costumi barbari che sopportare l'ingiusta crudeltà dei Romani. Essi si mettevano al servizio dei Goti o dei Bagaudi e non se ne pentivano, preferendo vivere liberamente col nome di schiavi, piuttosto che essere schiavi mantenendo soltanto il nome di liberi». (3)

Ma non sempre era possibile fuggire presso i barbari. Molti si nascondevano presso ricchi proprietari terrieri. Perché ciò risulti comprensibile è necessario formarsi una chiara idea di che cosa fosse, nel IV sec., la grande proprietà. Essa era ormai affatto diversa dall'antico latifondo schiavista. Nel IV sec. la proprietà si era trasformata in qualche cosa di quasi indipendente, non solo dal lato economico, ma anche dal lato politico. Il proprietario era un piccolo sovrano che regnava sui suoi coloni e schiavi. Egli viveva in una villa recintata da mura fortificate, protetto da un intero esercito di servi armati, quasi incurante del potere centrale e, in modo particolare, incurante della sua politica fiscale. Comunque non era nei suoi interessi permettere che i funzionari imperiali mandassero in rovina i suoi coloni. Ecco perché raccogliere le imposte dalla popolazione delle grandi proprietà era un compito ben lontano dall'esser facile. È naturale quindi che i coloni abbandonassero volentieri i piccoli e i medi proprietari per trasferirsi sulle terre dei grandi, dove avevano la possibilità di trovare una certa difesa contro gli agenti del governo. La mobilità della popolazione sconvolgeva tutto il sistema fiscale dell'Impero. Dato il passaggio dell'economia al sistema degli scambi in natura, era necessario calcolare con accuratezza ogni unità contribuente. Ogni persona doveva rimanere inamovibile al suo posto e pittore quanto gli veniva imposto. Per questo motivo i coloni furono legati alla terra, gli artigiani, obbligati a pagare imposte sui prodotti del loro lavoro, furono vincolati alle loro corporazioni; le professioni divennero ereditarie, dovendo il figlio svolgere lo stesso lavoro che già era del padre. A causa dell'impoverimento della popolazione e della decadenza del commercio, anche l'artigianato andò sfiorendo. Il governo non era in condizioni di aver soddisfatta tutta la sua richiesta in prodotti dell'artigianato per il rifornimento dell'esercito e della burocrazia e fu pertanto costretto ad organizzare laboratori statali dove lavoravano artigiani e schiavi, vincolati ad essi, a condizioni pressoché uguali: catalogati e sottoposti a punizioni corporali. I rapporti di servaggio si diffusero in quasi tutti gli aspetti dell'attività: nel commercio, nel servizio militare (il mestiere di colono militare nelle zone di confine divenne ereditario), nel servizio municipale, ecc. Se Diocleziano e Costantino erano riusciti a rimandare di alcuni decenni la disgregazione definitiva dell'Impero, ciò era stato loro possibile solo soffocando il movimento rivoluzionario e tendendo ulteriormente tutte le forze della popolazione lavoratrice dell'Impero. Il servaggio del IV sec. era l'espressione di questo colossale sforzo provocato dalla reazione politica e dal completo disfacimento degli antichi legami economici della società schiavista. Si trattava però dell'ultimo sforzo. La situazione interna ed esterna dell'Impero era giunta, nel IV sec., a un grado di tensione tale che un nuovo scoppio era inevitabile. Engels ci dà una descrizione classica della società romana alla vigilia della sua fine:

«Su tutti i paesi del bacino mediterraneo era passata la pialla livellatrice del dominio mondiale romano e ciò per secoli. Là dove il greco non aveva opposto resistenza, tutte le lingue nazionali avevano dovuto cedere di fronte a un latino corrotto; non vi erano più differenze nazionali, non più Galli, Iberi, Liguri, Norici; tutti erano diventati Romani, L'amministrazione romana e il diritto romano avevano disciolto dappertutto le antiche unioni gentilizie e insieme gli ultimi residui di autonomia locale e nazionale. La cittadinanza romana, acquisita da fresca data, non offriva compenso di sorta: essa non era espressione di una nazionalità, ma solo della mancanza di nazionalità. Gli elementi di nuove nazioni esistevano dovunque... In nessun luogo però esisteva una forza capace di unificare questi elementi in nazioni nuove, in nessun luogo vi era ancora traccia di una capacità di sviluppo, di una forza di resistenza, e meno che mai di una capacità creativa. L'enorme massa di uomini di quell'enorme territorio era tenuta unita da un solo vincolo: lo Stato romano; e questo era diventato, col tempo, il suo peggior nemico ed oppressore. Le province avevano annientato Roma; Roma stessa era diventata una città di provincia come le altre, privilegiata, ma non più a lungo dominante, non più a lungo centro dell'Impero del mondo, non più sede degli imperatori e viceimperatori, che dimoravano a Costantinopoli, Treviri, Milano. Lo Stato romano era divenuto una macchina gigantesca e complicata, esclusivamente per lo sfruttamento dei sudditi. Imposte, tributi di Stato, prestazioni di ogni genere spingevano la massa della popolazione in una povertà sempre maggiore. Al di là dei limiti della sopportazione fu spinta l'oppressione con le estorsioni dei governatori, degli esattori delle imposte, dei soldati. A questo aveva portato il dominio dello Stato romano esteso su tutto il mondo: esso fondava il suo diritto all'esistenza sulla conservazione dell'ordine all'interno, sulla difesa contro i barbari all'esterno. Ma il suo ordine era peggiore del peggior disordine e i barbari, da cui lo Stato romano pretendeva di proteggere i cittadini, erano considerati da costoro come salvatori. La situazione sociale non era meno disperata. Già fin dagli ultimi tempi della Repubblica il dominio romano aveva mirato allo sfruttamento senza scrupoli delle province conquistate; l'Impero non aveva abolito questo sfruttamento, al contrario lo aveva regolato. Quanto più l'Impero declinava, tanto più aumentavano i tributi e le prestazioni, tanto più sfrontatamente i funzionari predavano ed estorcevano... Impoverimento generale, regresso del commercio, dell'artigianato, dell'arte, diminuzione della popolazione, decadenza delle città, ritorno dell'agricoltura a uno stadio inferiore: questo fu il risultato finale del dominio mondiale di Roma... L'economia dei latifondi, fondata sul lavoro degli schiavi, non fruttava più... La piccola coltivazione era ridiventata la sola forma redditizia. Tutte le ville, una dopo l'altra, vennero spezzettate in piccoli appezzamenti e assegnate a fittavoli ereditari che pagavano una determinata somma o a partiarii, più amministratori che fittavoli, i quali, in cambio del loro lavoro, ricevevano la sesta o la nona parte del raccolto annuale. Prevalentemente, però, questi piccoli appezza-menti venivano concessi a coloni che pagavano un certo canone annuo, che erano incatenati alla gleba e potevano essere venduti insieme al loro appezzamento; essi non erano certo schiavi, ma neppure liberi, non potevano sposarsi con donne libere, e i matrimoni tra loro erano considerati non pienamente validi ma, come quelli degli schiavi, semplici concubinati (contubernium). Essi erano i precursori dei servi della gleba medievali. L'antica schiavitù aveva fatto il suo tempo. Essa non dava più un profitto che valesse la pena, né in campagna, nella grande agricoltura, né nelle manifatture cittadine: il mercato per i suoi prodotti era scomparso. La piccola agricoltura, però, e il piccolo artigianato, in cui si era rattrappita la gigantesca produzione del periodo aureo dell'Impero, non avevano posto per schiavi numerosi. Nella società vi era ancora posto solo per gli schiavi domestici e di lusso dei ricchi... La schiavitù non rendeva più, ecco perché scomparve. Ma la schiavitù morente lasciò il suo pungiglione avvelenato nel dispregio in cui era tenuto il lavoro produttivo dei liberi. Questo era il vicolo cieco nel quale andò a cacciarsi il mondo romano: la schiavitù era economicamente impossibile, il lavoro degli uomini liberi era moralmente al bando. L'una non poteva più essere, l'altro non poteva ancora essere la forma fondamentale della produzione sociale. Solo una completa rivoluzione poteva portare un rimedio a questo stato di cose». (4)

Alla fine del IV sec. scoppiò una nuova crisi rivoluzionaria su una base più ampia di quelle precedenti. Al nuovo movimento rivoluzionario aderirono masse sempre più numerose di coloni, schiavi e artigiani. Crebbe la pressione dei barbari, i quali entrarono anche in stretto collegamento con gli strati dei lavoratori dell'Impero sollevatisi. I barbari si installarono saldamente sul territorio romano. Le rivolte dei soldati, che furono un fenomeno così frequente nel III sec., persero di importanza. Le riforme militari del IV sec. avevano quasi completamente cancellato le differenze fra truppe di confine e popolazione locale e la progressiva barbarizzazione dell'esercito aveva sempre più distrutto l'avversione fra coloro che difendevano l'Impero e coloro che lo attaccavano. Ciò aveva creato le premesse per la trasformazione del movimento rivoluzionario in rivoluzione e per il suo definitivo trionfo: «La rivoluzione degli schiavi liquidò i proprietari di schiavi e soppresse la forma schiavistica di sfruttamento dei lavoratori». (5)

Valentiniano, Valente, Graziano.

A Valentiniano, prima dell'elezione ad imperatore, fu posta come condizione che egli si nominasse un conregnante. La rovina dell'Impero e l'approfondirsi dell'opposizione fra le due metà, orientale e occidentale, avevano reso questa misura necessaria. Dopo essere giunto a Costantinopoli, Valentiniano, infatti, nominò Augusto il fratello Flavio Valente, dandogli il governo dell'Oriente, mentre egli stesso si dirigeva in Occidente, dove la situazione ai confini era andata di nuovo peggiorando. Valentiniano dovette combattere con gli Alemanni sul Reno, con i Quadi e i Sarmati sul Danubio, mentre il suo generale Teodosio respingeva in Britannia le incursioni dei Pitti, degli Scoti e dei Sassoni. In Africa settentrionale lo stesso Teodosio soffocò un movimento separatistico-rivoluzionario, diretto dal principe mauritano Firmo, movimento che riuniva sotto la sua bandiera gli elementi più disparati della popolazione locale, compresi anche gli agonisti. Nel 367, Valentiniano nominò conregnante il figlio Graziano. Inoltre l'esercito acclamò anche Valentiniano II, fratello di Graziano, dell'età di quattro anni. Così i cristiani dell'Occidente potevano dire di essere governati dalla trinità: il padre con i due figli! Nel 375 Valentiniano I morì sul Danubio. Suo successore fu Graziano, ardente cristiano seguace di Atanasio (Valentiniano I aveva cercato di mantenere una posizione neutrale). Graziano fu il primo imperatore romano che rinunziò al tradizionale titolo di sacerdote supremo. Egli pubblicò alcuni editti contro gli eretici e privò i collegi pagani dei sussidi statali. Molto peggio andavano le cose in Oriente. All'inizio Valente dovette lottare contro l'usurpatore Procopio, parente di Giuliano, il quale si era proclamato imperatore a Costantinopoli. Costui era sostenuto da strati abbastanza numerosi; ma quando Valente apparve in Asia Minore con un grosso esercito Procopio fu abbandonato dai suoi partigiani di Costantinopoli e consegnato a Valente (366). Strettamente collegata a questi avvenimenti fu la successiva guerra contro i Goti, i quali appoggiavano l'usurpatore. Nel 369 fu conclusa una pace, dopo la quale ebbe inizio la conversione forzata dei Goti al cristiane-simo di confessione ariana. L'imperatore orientale dovette altresì combattere i Persiani.

Trasmigrazione dei Goti.

Ma un altro più grave pericolo minacciava l'Impero. Verso il 375, numerose tribù barbare mossero dalle steppe caucasiche verso Occidente. Alla loro testa stavano gli Unni, popolo, sembra, di origine mongolica. Nel II sec. gli Unni conducevano una vita nomade a oriente del mar Caspio. Di là avevano cominciato gradualmente a spostarsi verso occidente sottomettendo e aggregandosi le tribù della regione settentrionale del Caucaso. Si era così venuta formando una federazione di Unni, Alani, Goti, ecc. La parte di Goti che viveva nella regione del Danubio inferiore aveva chiesto a Valente il permesso di fissar dimora in territorio romano. L'imperatore aveva acconsentito a condizione che i Goti si disarmassero. Numerosi barbari avevano così passato il Danubio (e molti segretamente avevano portato armi).

Rivolta del 378.

I Goti, stabilitisi nella Mesia, per un certo periodo rimasero tranquilli. Ma la corruzione e gli arbitrii dei funzionari romani li obbligarono a riprendere le armi. Valente, comprendendo che non avrebbe potuto aver ragione di loro con le sue sole forze, richiamò dalla Gallia Graziano, che aveva appena finito di respingere le scorrerie degli Alemanni. Graziano accorse in aiuto, ma ancor prima del suo arrivo Valente diede battaglia ai Goti sotto Adrianopoli (9 agosto del 378). L'esercito romano fu distrutto e lo stesso imperatore morì in combattimento. Vi sono motivi per pensare che parte delle sue truppe, composte essenzialmente da barbari, lo avesse abbandonato per passare ai Goti. In seguito i Goti, non incontrando più alcuna resistenza organizzata, si disseminarono per la penisola balcanica. Ammiano Marcellino, contemporaneo degli avvenimenti sopradescritti, ci ha lasciato una descrizione dell'invasione dei Goti:

«[I Goti] sparsisi per tutta la costa della Tracia avanzavano cautamente, mentre alcuni uomini o arresisi spontaneamente, o fatti prigionieri, mostravano loro le località più ricche, e quelle specialmente che avevano fama di essere ben fornite di vettovaglie. Il loro innato coraggio era poi grandemente accresciuto al vedere come di giorno in giorno si univano a loro numerose persone della loro stessa gente, persone vendute da tempo dai mercanti, ed anche altri che nei primi giorni del passaggio, spinti dalla fame, si erano dati in cambio di un sorso di vino o di un tozzo di pane. A costoro si unirono anche molti operai delle miniere d'oro che non erano più in grado di sopportare i gravi tributi loro imposti e che, accolti con grande benignità da tutti, rendevano un prezioso servigio a quelle genti che viaggiavano per paesi sconosciuti, mostrando loro i magazzini segreti di viveri e i nascondigli più riposti». (6)

Il valore di questa testimonianza è dato dalla chiarezza con la quale essa ci svela le forze in movimento nell'ultima fase della rivoluzione degli schiavi. La caratteristica di questa fase è appunto lo stretto legame fra schiavi, coloni, operai e barbari. Mai, in tutta la precedente storia di Roma, avevamo visto un fronte unico di lavoratori ed elementi oppressi. Le rivolte (quale che fosse la loro importanza) avevano un carattere locale e spesso non coincidevano nel tempo. Gli schiavi agivano indipendentemente dai contadini e dalla plebe cittadina; qualche loro eventuale coalizione aveva avuto carattere casuale e instabile. Solo allora la rivoluzione cominciò ad abbracciare tutto l'Impero, e solo da allora si venne formando un fronte unico rivoluzionario. Ciò era possibile perché i rapporti di servaggio univano in una sola massa compatta tutti gli strati lavoratori dell'Impero. Nell'oppressione e nel servaggio generale che caratterizzò gli ultimi secoli dell'Impero era scomparsa l'antica differenza fra schiavo e povero libero, fra schiavo e colono, fra contadino e artigiano della città. Tutti erano ugualmente oppressi, tutti ugualmente odiavano il comune oppressore e sfruttatore: lo Stato romano. Alla forza rivoluzionaria interna se ne aggiunse una esterna: i barbari. Prima della fine del IV sec. non abbiamo notato alcun contatto fra queste due forze, e prima del III sec. anche la pressione dei barbari non era forte. Solo da allora la pressione sui confini dell'Impero divenne effettivamente consistente, e ciò fu dovuto al progressivo indebolimento di Roma da una parte e al concentramento dei barbari in grosse formazioni e in vere e proprie federazioni dall'altra. La disgregazione dell'organizzazione di stirpe, la differenziazione di una classe dirigente e l'apparizione di milizie furono gli elementi che determinarono la concentrazione dei barbari. E siccome gli schiavi romani e considerevole parte di coloni appartenevano a quegli stessi barbari, e siccome avevano entrambi un nemico comune, Roma, vi erano le premesse per uno stretto contatto. Nel migliore dei casi (per Roma) gli schiavi e i coloni assumevano una posizione di amichevole neutralità, nel peggiore essi passavano apertamente dalla parte dei barbari. Questa volta lo Stato schiavista, disgregato economicamente e socialmente, non fu in grado di sostenere il duplice colpo della rivoluzione interna e della pressione dei barbari sui confini. Esso dovette perciò cadere.

Teodosio. Vittoria definitiva del cristianesimo.

Graziano, il quale dovette di nuovo tornare in Gallia per respingere gli Alemanni, nominò Augusto per l'Oriente Teodosio, figlio del generale Teodosio di Valentiniano, del quale abbiamo già parlato. Con grande difficoltà, Teodosio reclutò un esercito, al quale ammise anche una parte di Goti, e diede inizio a una lotta metodica contro i barbari, scacciandoli dalla Tracia. Tuttavia solo con l'aiuto di Graziano, tornato dalla Gallia, fu possibile pacificare i Goti. A questi ultimi, in qualità di « alleati » (federati) obbligati a prestare servizio militare fu nuova-mente permesso di fissare dimora nella Mesia (392). In Oriente sopravvenne una relativa calma che diede a Teodosio la possibilità di occuparsi degli affari della Chiesa. Con il suo energico aiuto la corrente ortodossa prese definitivamente il sopravvento in quella ariana. Contemporaneamente furono distrutti gli ultimi resti del culto pagano: i sacrifici proibiti e i templi distrutti. Il trionfo ufficiale del cristianesimo fu accompagnato da persecuzioni e dalla distruzione dei centri di antica civiltà che fino allora erano stati risparmiati, come l'incendio del tempio di Serapide da parte della plebaglia alessandrina, incendio nel quale andarono distrutti i resti della biblioteca alessandrina (391). Alquanto più tardi, in Alessandria, dagli stessi cristiani venne uccisa Ipazia, filosofa di grandissima fama. Intanto l'imperatore Graziano era caduto vittima della lotta fra i due partiti, romano e barbaro, che si erano venuti formando nell'ambiente aristocratico. Graziano simpatizzava apertamente per i barbari e aveva favorito la loro ascesa ai posti più importanti dell'esercito e dell'amministrazione. In reazione a tale politica si era avuta una rivolta di elementi romani dell'esercito, i quali avevano proclamato imperatore Magno Clemente Massimo, governatore della Britannia. Nella lotta che ne era seguita, Graziano aveva perso la vita (383). In seguito a ciò nella metà occidentale dell'Impero si ebbe un decennio di guerre civili e di usurpazioni, alle quali prese parte anche Teodosio. Uno dei momenti più interessanti fu la proclamazione ad imperatore d'Occidente del ricco e colto romano Eugenio, avvenuta nel 392. Questi cominciò a proteggere il paganesimo, determinando il deciso intervento di Teodosio. Sul confine fra l'Italia settentrionale e Illiria le truppe di Eugenio furono sconfitte e il loro capo trovò la morte (394). In seguito Teodosio riunì sotto il suo potere tutto l'Impero, ma solo per alcuni mesi. Proprio all'inizio del 395 egli moriva.

Divisione dell'Impero in due parti.

Da quel momento l'Impero non fu più riunito nemmeno una sola volta. Molto tempo prima di morire Teodosio aveva nominato Augusto dell'Oriente il figlio primogenito Flavio Arcadio. Durante la guerra contro Eugenio il secondo figlio di Teodosio, Flavio Onorio, era stato nominato sovrano dell'Occidente. Entrambi gli Augusti erano giovani. Perciò Teodosio li aveva affidati a consiglieri esperti, destinando al primo il gallo Rufino, prefetto del pretorio, e al secondo il vandalo Stilicone, capo dell'esercito. Dopo la morte di Teodosio sorsero dissensi fra Rufino e Stilicone, dissensi che portarono di fatto alla definitiva divisione dell'Impero.

Alarico e Stilicone.

Teodosio era riuscito a vivere in pace coi Goti, soprattutto perché li aveva attratti al suo servizio. Con Arcadio, in Oriente, presero il sopravvento elementi anti-gotici, mentre fra i Goti si distingueva un capo di talento, Alarico, che i suoi compatrioti proclamarono re. Sotto la sua guida cominciarono di nuovo le scorrerie sulla penisola balcanica, e Stilicone, accorso in aiuto, essendo osteggiato in ogni modo dal governo di Arcadio, lasciò che i Goti si ritirassero indisturbati in Epiro (397). Quattro anni dopo Alarico invase l'Italia, devastò le regioni settentrionali e pose l'assedio a Milano. Stilicone riuscì però a concludere con lui un trattato per la guerra comune contro l'Impero orientale. I Goti occuparono l'Illiria. Il concentramento di forze militari in Italia per far fronte ad Alarico aveva costretto Stilicone a lasciare i confini occidentali dell'Impero indifesi. Tribù di Vandali, Alani, Svevi, Burgundi erano così penetrati prima in Gallia e poi in Spagna, mentre Angli e Sassoni effettuavano le loro scorrerie dal mare sulla Britannia.

La presa di Roma.

Intanto anche fra le truppe occidentali e alla corte di Onorio aveva preso il sopravvento il partito romano. L'esercito si ribellò contro Stilicone che fu condannato a morte a Ravenna (408). Onorio si rifiutò di riconoscere il trattato stipulato con Alarico e i Goti invasero nuovamente l'Italia. L'imperatore, terrorizzato, si rinchiuse in Ravenna, mentre Alarico si spingeva fino a Roma ponendo l'assedio alla città. 40.000 schiavi provenienti da tutta l'Italia accorsero da Alarico, e schiavi romani, di notte, gli aprirono le porte della città. Roma fu spietatamente saccheggiata (24 agosto del 410). La presa di Roma, a quei tempi, non aveva più alcun significato strategico, ma l'impressione morale e politica di questo avvenimento fu enorme. Dal 390 a.C., per 800 anni, la città «eterna» era rimasta inviolata, il suo potere aveva lasciato una profonda orma su tutto il mondo civile del Mediterraneo; sembrava non vi fossero forze che potessero debellare la padrona dell'universo. Ed ecco che l'alleanza di quegli stessi schiavi e barbari che per molti secoli erano stati solo l'oggetto dello sfruttamento romano aveva fatto precipitare il superbo colosso. «È noto — ha detto il compagno Stalin al XVII Congresso del partito — che l'antica Roma considerava gli antenati dei tedeschi e dei francesi dei nostri giorni esattamente nello stesso modo in cui i rappresentanti della "razza superiore" considerano oggi le nazione slave. È noto che l'antica Roma li trattava come "razza inferiore", come "barbari", destinati ad essere eternamente sottoposti alla "razza superiore", alla "grande Roma", e — sia detto fra noi l'antica Roma aveva qualche ragione per farlo, il che non si può dire dei rappresentanti dell'attuale "razza superiore". Ma quale fu il risultato? Che i non Romani, cioè tutti i barbari, si unirono contro il nemico comune e come una tempesta abbatterono Roma» (7). Nella complessa e lunga catena di avvenimenti che determinarono la grandiosa catastrofe della caduta del mondo antico il giorno 24 agosto del 410 ha una grande importanza di principio. Determinare con precisione la data della fine del mondo schiavistico è, naturalmente, impossibile, poiché si trattò di un lungo processo: ma se una data bisogna scegliere, nessuna è più adatta di quella della presa di Roma da parte di Alarico.

I barbari sul territorio dell'Impero.

Dopo aver saccheggiato Roma, i barbari si avviarono verso sud con l'intenzione di occupare la Sicilia e l'Africa. Ma nell'Italia meridionale Alarico morì improvvisamente. Il suo genero e successore Ataulfo portò i barbari nella Gallia sud-occidentale e in Spagna, dove essi si sistemarono solidamente. I Vandali passarono dalla Spagna in Africa settentrionale, scacciandone, con l'aiuto dei coloni e degli schiavi, i Romani. Nel 455 i Vandali, al comando del re Genserico, sbarcarono in Italia e presero Roma. La città fu nuovamente saccheggiata e in misura ancor maggiore di quanto non avessero fatto i Goti. Alla metà del V sec. una parte considerevole dell'Impero occidentale era già occupata dai barbari. Oltre ai Goti ed ai Vandali, vi erano Anglo-sassoni in Britannia, Franchi nella Gallia settentrionale e Burgundi sul Rodano e sulla Saona. Nello stesso tempo si era formata in Pannonia una nuova federazione di tribù con a capo il condottiero unno Attila. All'inizio gli Unni avevano spietatamente devastato la penisola balcanica ed avevano costretto l'imperatore dell'Oriente, Teodosio II, a pagar loro un contributo. In seguito si erano diretti ad Occidente. Nel 451 Attila aveva invaso la Gallia. Sui Campi Catalaunici, nella Gallia orientale, si erano a lui opposti Franchi, Goti, Burgundi al comando del generale romano Ezio. La battaglia era stata condotta con grande accanimento da entrambe le parti, ma infine i barbari orientali decisero di ritornare sui propri passi e ripassarono il Reno. Nel 452 Attila invase l'Italia settentrionale, la devastò, ma non proseguì verso sud. La leggenda narra che egli avesse desistito dal marciare su Roma in seguito alle insistenze di una ambasceria della quale faceva parte anche il vescovo (papa) Leone. In realtà Attila sembra sia stato trattenuto invece dal timore della peste e della fame che allora infierivano in Italia. Nell'anno seguente Attila, che dagli scrittori cristiani è stato chiamato «castigo di Dio», morì e la federazione unna si disciolse rapidamente.

Deposizione di Romolo Augustolo.

L'Impero romano di Occidente, di fatto, non esisteva più. In Italia esisteva ancora formalmente un illusorio potere degli imperatori, ma si trattava di fantocci senza autorità nelle mani dei capi delle truppe mercenarie barbare. Nel periodo di tempo compreso fra il 455 ed il 476, si succedettero ben nove di questi «imperatori». (8) Nessuno di essi governò più di 5 anni e tutti furono deposti con la forza. Infine nel 476 uno dei capi barbari Odoacre, dopo aver deposto il giovane imperatore Romolo, soprannominato Augustolo, decise di por fine alla commedia. Mandò un'ambasciata all'imperatore d'Oriente Zenone chiedendogli di non nominare altri imperatori per l'Italia e di incaricare lui, Odoacre, del governo, col titolo di patrizio romano. A Zenone non rimase null'altro da fare che riconoscere il fatto compiuto...

La sorte dell'Impero romano d'Oriente.

Abbiamo già parlato delle cause che determinarono una maggior resistenza da parte della metà orientale dell'Impero, e cioè delle antiche tradizioni degli artigiani, del più sviluppato sistema di vie commerciali, del maggior sviluppo civile della popolazione nel complesso. Lo stesso sistema schiavistico non aveva mai raggiunto nell'Oriente ellenistico quel grado di sviluppo che aveva toccato l'Occidente romano. Nello schiavismo orientale (e anche in quello greco) si erano conservati molti elementi di forme di dipendenza più primitive e perciò più miti, forme che esteriormente ricordavano la servitù della gleba. Ecco perché le forze produttive dell'Oriente, meno minate dalla schiavitù, resistettero più a lungo alla terribile crisi che aveva investito l'Occidente. Ma la differenza esistente fra i due Imperi non era una differenza di principio, non era tanto una differenza qualitativa quanto quantitativa, e la sorte storica dell'antico Oriente non poteva differire da quella dell'Occidente. Alla metà del IV sec. l'Impero Orientale (o Bizantino) aveva fatto uno sforzo grandioso per restaurare l'antica potenza romana. L'imperatore Giustiniano aveva iniziato grandi guerre contro l'Occidente. I suoi generali Belisario e Narsete erano riusciti a riprendere ai Vandali l'Africa settentrionale, a strappare ai Goti l'Italia e la regione sud-orientale della Spagna. Bisanzio pretese anche di essere la depositaria della civiltà del mondo antico. Con Giustiniano fu portato a termine un grande lavoro per la riunione e la sistemazione del diritto romano, lavoro che ebbe come risultato il famoso Corpus iuris civilis. Il grandioso tempio di S. Sofia a Costantinopoli doveva essere la testimonianza della potenza dell'Impero e della devozione dell'imperatore. Tuttavia questi successi raggiunti a prezzo di colossale dispendio di denaro e di forze sono discutibili. Con i Persiani fu d'uopo accordarsi mediante il pagamento di un contributo annuale; sui confini settentrionali a malapena era trattenuta la pressione degli Slavi che erano penetrati in massa nella penisola balcanica; nella stessa Costantinopoli, nel 532, scoppiò una terribile rivolta popolare che durò 6 giorni e che per poco non costò il trono allo stesso Giustiniano. I rivoltosi furono alfine ricacciati nell'ippodromo, dove le truppe governative massacrarono circa 40.000 persone. Già alla fine del governo di Giustiniano apparvero i sintomi della crisi, determinata dalla sovrumana tensione di tutte le forze dell'Impero, e con i suoi successori giunse la catastrofe: il completo esaurimento del tesoro, la fame, le ribellioni e la perdita di quasi tutte le conquiste di Giustiniano Inoltre, all'inizio del VII sec., i Persiani scatenarono l'offensiva generale sui confini orientali, e in breve tempo l'Impero perdette l'Egitto, la Siria e la Palestina, mentre reparti di avanguardia nemici raggiungevano il Bosforo. Contemporaneamente gli Slavi e gli Avari assediavano Costantinopoli. È pur vero che l'imperatore Eraclio (610-641) riuscì a sconfiggere i Persiani e a riprendere le province orientali perdute, ma è altrettanto vero che non le mantenne per molto tempo. In quello stesso periodo in cui Eraclio combatteva con successo i Persiani, le tribù arabe si univano sotto il segno di una nuova religione, l'Islam. Attorno al 630 cominciarono i primi attacchi degli Arabi sulla Palestina e in Siria, e verso il 650, Palestina, Siria, Mesopotamia, parte dell'Asia Minore, Egitto e parte dell'Africa settentrionale si trovavano già sotto il dominio degli Arabi. Nei decenni successivi gli Arabi costruirono la flotta, occuparono le isole di Cipro e Rodi e attraverso il mar Egeo giunsero a Costantinopoli che cinsero d'assedio. Bisanzio riuscì per allora a respingere l'attacco alla capitale, ma aveva definitivamente perduto tutti i suoi possedimenti al di là del Bosforo. La rapidità delle conquiste arabe è dovuta alle stesse cause che resero facili le invasioni dei barbari: la popolazione indigena oppressa non solo non offriva alcuna resistenza, ma accoglieva gli Arabi con gioia considerandoli liberatori. Così verso sec. l'Impero orientale era limitato alla penisola balcanica, a parte dell'Asia Minore e alle isole del mare Egeo. D'altra parte anche i territori rimasti erano densamente popolati da barbari (ad esempio gli Slavi della penisola balcanica). In essi, così come nei primitivi Stati barbari dell'Occidente, dall'unione dei rapporti di servaggio del tardo Impero e dell'organizzazione comunale apportata dai barbari, cominciarono a svilupparsi i rapporti feudali del Medioevo. Il processo della caduta della società schiavistica e della formazione del feudalesimo fu così uguale sia nell'Occidente che nell'Oriente mediterraneo. L'antica schiavitù e la civiltà su di essa fondata erano scomparse, ma non senza lasciar traccia: sul terreno preparato da millenni di storia dell'antica civiltà era cresciuto un nuovo sistema sociale, più alto, più corrispondente allo sviluppo storico.

note:

(1) In questo capitolo diamo solo un rapido sguardo ai fatti principali. Per maggiori particolari si consulti il Corso di storia del Medioevo.
(2) Un certo risveglio del commercio, verificatosi alla metà del IV sec. e legato alle riforme di Diocleziano e Costantino, fu temporaneo.
(3) SALVIANO, De gubernatione Dei, V.
(4) F. ENGELS, Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato cit. pp. 147-150.
(5) STALIN, Discorso al primo congresso dei colcosiani-udarnik dell'URSS, in Questioni del leninismo, Edizioni Rinascita, Roma, 1952, p. 507.
(6) Storia, XXXI, 6, 5, 6.
(7) STALIN, Rapporto al XVII Congresso del partito sull'attività del Comitato centrale, in Questioni del leninismo, op. cit., p. 530.
(8) Massimo, Avito, Maioriano, Libio Severo, Antemio, Olibrio, Glicerio, Giulio Nepote e Romolo.

tratto da: S. I. KOVALIOV, Storia di Roma, vol. II, Ed. Rinascita, Roma, 1955 pp. 249-260
 
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view post Posted on 14/6/2020, 08:11
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prezioso lavoro per l'interpretazione materialista e classista della storia
grazie!
 
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view post Posted on 15/6/2020, 14:56
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compagno

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Grazie anche da parte mia.
 
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view post Posted on 15/6/2020, 18:01
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Davvero interessantissimo, grazie mille e non solo da parte mia stavolta!

Ho lasciato tutto per leggerlo!
 
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view post Posted on 15/6/2020, 20:25
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addàrivenì baffone

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prego, compagni, è veramente un gran manuale questo di Kovaliov, coinvolgente. Lo sto digitalizzando (sono due volumi: repubblica e impero) spero di finire in tempi ragionevoli.
 
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