Comunismo - Scintilla Rossa

L'atteggiamento del partito operaio verso la religione, Lenin

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Lepontico
view post Posted on 10/2/2009, 11:22




L'atteggiamento del partito operaio verso la religione

Di V. Lenin (1909)


Il discorso del deputato Surkov alla Duma di Stato, durante la discussione del bilancio preventivo del Sinodo, e i dibattiti in seno al nostro gruppo alla Duma sullo schema di questo discorso - da noi pubblicati qui di seguito - hanno sollevato una questione molto importante e attuale proprio oggi. L'interesse per tutto ciò che è legato alla religione ha, senza dubbio, investito oggi vasti strati della «società» ed è penetrato nelle file degli intellettuali più vicini al movimento operaio nonché in certi circoli operai. La socialdemocrazia è assolutamente obbligata a precisare il suo atteggiamento verso la religione.
La socialdemocrazia fonda tutta la sua concezione del mondo sul socialismo scientifico, cioè sul marxismo. Fondamento filosofico del marxismo, come hanno più volte affermato Marx e Engels, è il materialismo dialettico, che ha pienamente accolto le tradizioni storiche del materialismo del XVIII secolo in Francia e di Feuerbach (prima metà del XIX secolo) in Germania, materialismo assolutamente ateo, nettamente ostile a ogni religione. Ricordiamo che tutto l'Antidühring di Engels, letto da Marx in manoscritto, denuncia il materialista e ateo Dühring di scarsa fermezza nel suo materialismo, lo accusa di lasciare alcune scappatoie alla religione e alla filosofia religiosa. Ricordiamo che, nello scritto su Ludwig Feuerbach, Engels gli rimprovera di aver combattuto la religione non già per distruggerla, ma per innovarla, per creare una religione nuova, più «sublime», ecc. «La religione è l'oppio del popolo»: questo detto di Marx è la pietra angolare di tutta la concezione marxista in materia di religione.

Tutte le religioni e Chiese moderne, tutte le organizzazioni religiose d'ogni tipo sono sempre considerate dal marxismo quali organi della reazione borghese, quali mezzi di difesa dello sfruttamento e dell'abbrutimento della classe operaia, E tuttavia, nello stesso tempo, Engels ha più d'una volta condannato i tentativi di chi, nello sforzo di essere «più a sinistra» o «più rivoluzionario» della socialdemocrazia, ha cercato di introdurre nel programma del partito operaio un esplicito riconoscimento dell'ateismo nel senso di una dichiarazione di guerra alla religione. Nel 1874, parlando del celebre manifesto dei profughi della Comune, dei blanquisti emigrati a Londra, Engels considera stolta la loro clamorosa dichiarazione di guerra alla religione e afferma che una tale dichiarazione di guerra è il mezzo migliore per ravvivare l'interesse per la religione e ostacolarne la reale estinzione.

Engels rimprovera ai blanquisti di non comprendere che solo la lotta di classe delle masse operaie, impegnando in tutti i sensi i più vasti strati del proletariato nella prassi sociale cosciente e rivoluzionaria, può emancipare realmente le masse oppresse dal giogo della religione, mentre proclamare la guerra alla religione quale compito politico del partito operaio è ciarlataneria anarchica. E nel 1877, nell'Antidühring, sferzando implacabilmente le più piccole concessioni di Dühring- filosofo all'idealismo e alla religione, Engels condanna con non minore energia la presunta idea rivoluzionaria di Dühring circa l'interdizione della religione nella società socialista. Dichiarare questa guerra alla religione, dice Engels, significa «fare il Bismarck più di Bismarck», ripetere cioè la stoltezza della lotta bismarckiana contro i clericali (la famosa «lotta per la cultura», il kulturkampf, ossia la lotta che Bismarck combatté negli anni settanta contro il partito cattolico tedesco, partito di «centro», mediante persecuzioni poliziesche contro il cattolicesimo).

Con questa lotta Bismarck non fece che consolidare il clericalismo militante dei cattolici, non fece che nuocere alla causa della vera cultura, poiché pose in primo piano le distinzioni religiose in luogo di quelle politiche, distolse l'attenzione di alcuni strati della classe operaia e della democrazia dai compiti immediati della lotta rivoluzionaria e di classe concentrandola sull'anticlericalismo più superficiale e ipocritamente borghese. Nell'accusare Dühring, desideroso di fare l'ultrarivoluzionario, di ripetere sotto altra forma la stessa stoltezza di Bismarck, Engels esigeva che il partito operaio imparasse a lavorare con pazienza per organizzare ed educare il proletariato, a svolgere cioè un lavoro che conduce all'estinzione della religione, e non si gettasse nell'avventura di una guerra politica contro la religione. Quest'atteggiamento è entrato nelle carni e nel sangue della socialdemocrazia tedesca, che si è pronunciata, ad esempio, per la libertà ai gesuiti, per la loro ammissione in Germania, per l'abolizione di tutte le misure di polizia contro questa o quella religione. «Proclamare la religione un affare privato»: questo celebre punto del programma di Erfurt (1891) ha sancito la tattica politica della socialdemocrazia.

Questa tattica è divenuta ormai consuetudinaria e ha persino avuto il tempo di generare un nuovo travisamento del marxismo in senso opposto, nel senso dell'opportunismo. Si è cominciata a interpretare la tesi del programma di Erfurt nel senso che noi socialdemocratici, il nostro partito, consideriamo la religione come un affare privato; che per noi, in quanto socialdemocratici, per noi, in quanto partito, la religione è un affare prrvato. Senza entrare esplicitamente in polemica con questa posizione opportunistica, Engels ha ritenuto, negli anni novanta, di dover intervenire con energia contro di essa, non in forma polemica, ma in forma positiva. E l'ha fatto con una dichiarazione, da lui sottolineata di proposito, secondo la quale la socialdemocrazia considera la religione come un affare privato di fronte allo Stato, ma non di fronte a se stessa, al marxismo, al partito operaio.

È questa la storia degli interventi di Marx e di Engels sul problema della religione. Per chi assume un atteggiamento di noncuranza verso il marxismo, per chi non sa o non vuole riflettere, questa storia è un groviglio di assurde contraddizioni e oscillazioni del marxismo, una sorta di pasticcio fatto di ateismo «conseguente» e di «compiacenze» per la religione, una specie di oscillazione «senza princìpi» tra la guerra ultrarivoluzionaria contro Dio e il pavido desiderio di «accontentare» gli operai credenti, per timore di spaventarli, ecc. ecc. Nelle pubblicazioni dei frasai anarchici si possono trovare non poche sortite del genere contro il marxismo.

Ma chiunque sia in qualche modo capace di considerare seriamente il marxismo, di riflettere sui suoi princìpi filosofici e sull'esperienza della socialdemocrazia internazionale, vedrà facilmente come la tattica del marxismo verso la religione sia coerente e come sia stata profondamente meditata da Marx e da Engels; come ciò che i dilettanti o gli ignoranti scambiano per oscillazioni sia la conseguenza diretta e inevitabile del materialismo dialettico. Sarebbe un grave errore credere che l'apparente «moderazione» del marxismo verso la religione si spieghi con le cosiddette considerazioni «tattiche», come il desiderio di «non spaventare», ecc. Viceversa, la linea politica del marxismo è, anche in questa questione, indissolubilmente connessa con i suoi princìpi filosofici.

Il marxismo è materialismo. Come tale, esso è altrettanto implacabilmente ostile alla religione quanto il materialismo degli enciclopedisti del XVIII secolo o il materialismo di
Feuerbach. Su questo non c'è il minimo dubbio. Però, il materialismo dialettico di Marx e di Engels sorpassa gli enciclopedisti e Feuerbach, in quanto applica la filosofia materialistica alla storia, . alle scienze sociali. Noi dobbiamo batterci contro la religione. È questo l'abbiccì di tutto il materialismo e quindi, anche del marxismo. Ma il marxismo non è un materialismo che si arresti all'abbiccì. Il marxismo va oltre. E dice: bisogna saper lottare contro la religione e per questo bisogna spiegare materialisticamente l'origine della fede e della religione nelle masse. Non si può circoscrivere la lotta contro la religione all'astratta predicazione ideologica; non la si può ridurre a questa predicazione; bisogna collegare la lotta alla prassi concreta del movimento di classe che tende a liquidare le radici sociali della religione. Perché mai la religione resiste negli strati arretrati del proletariato urbano, in vasti strati del semiproletariato e nelle masse contadine? Per l'ignoranza del popolo, risponde il progressista borghese, il radicale, il materialista borghese.

E quindi abbasso la religione, viva l'ateismo; il nostro compito principale consiste nel diffondere le idee atee. Il marxista dice: questo è falso. Questa posizione è una specie di illuminismo superficiale, limitato in senso borghese. Quest'opinione è lungi dallo spiegare con sufficiente profondità, materialisticamente, e non idealisticamente, le
radici della religione. Nei paesi capitalistici moderni queste radici sono principalmente sociali. L'oppressione sociale delle masse lavoratrici, la loro apparente totale impotenza dinanzi alle forze cieche del capitalismo, che causano ogni giorno e ogni ora sofferenze mille volte più terribili, tormenti assai più selvaggi per i semplici operai di tutte le calamità come le guerre, i terremoti, ecc.: ecco dove sta oggi la radice più profonda della religione. «La paura ha creato gli dei». La paura di fronte alla forza cieca del capitale, che è cieca perché non può essere prevista dalle masse popolari e che in ogni momento della vita del proletario e del piccolo proprietario minaccia di condurlo e lo conduce alla catastrofe «improvvisa», «inaspettata», «accidentale», che lo rovina, lo trasforma in mendicante, in povero, in prostituta, che lo riduce a morire di fame: ecco la radice della religione moderna, che il materialista deve tener presente, prima di tutto e soprattutto, se non vuol restare un materialista da prima elementare.

Nessun libro di divulgazione potrà sradicare la religione dalle masse abbrutite dalla galera capitalistica, soggette alle cieche forze devastatrici del capitalismo, fino a che queste masse non avranno imparato esse stesse a lottare in modo unitario, organizzato, pianificato e cosciente contro questa radice della religione contro il potere del capitale in tutte le sue forme.
Deriva da ciò che un libro di divulgazione antireligiosa sia nocivo o inutile? No. La conclusione che ne deriva è tutt'altra. È che la propaganda atea della socialdemocrazia deve essere subordinata al suo compito fondamentale, ossia allo sviluppo della lotta di classe delle masse sfruttate contro gli sfruttatori.

Chi non ha riflettuto a fondo sui princìpi del materialismo dialettico, cioè della filosofia di Marx e di Engels, può non comprendere (o, quanto meno, non comprendere di colpo) questa tesi. Ma come? Subordinare la propaganda ideale, la predicazione di certe idee, la lotta contro il millenario nemico della cultura e del progresso (ossia contro la religione) alla lotta di classe, cioè alla lotta per determinati fini pratici in campo economico e politico?

Quest'obiezione rientra fra quelle mosse comunemente al marxismo e che attestano la totale incomprensione della dialettica marxista. La contraddizione che turba chi formula queste obiezioni è la viva contraddizione della vita reale, cioè una contraddizione dialettica, non verbale né inventata. Separare con una barriera rigida e insormontabile la propaganda teorica dell'ateismo, cioè la distruzione delle credenze religiose in determinati strati del proletariato, dall'esito, dall'andamento e dalle condizioni della lotta di classe di questi strati significa ragionare in modo non dialettico; significa trasformare in una rigida barriera quella che è invece una barriera mobile e relativa; significa scindere con la violenza ciò che è inscindibilmente connesso nella realtà della vita.
Facciamo un esempio. Il proletariato di una data regione e di un dato settore industriale si suddivide, poniamo, in uno strato progressivo di socialdemocratici abbastanza coscienti, che sono naturalmente atei, e in una massa di operai abbastanza arretrati, legati ancora alla campagna e ai contadini, che credono in Dio, vanno in chiesa o sono persino soggetti all'influenza diretta del prete locale, il quale sta fondando, poniamo, un sindacato operaio cristiano.
Supponiamo inoltre che la lotta economica sfoci, in questa località, in uno sciopero. Il marxista è tenuto a porre in primo piano il buon esito dello sciopero, deve reagire con energia alla divisione degli operai - durante questa lotta - in atei e cristiani, deve battersi con fermezza contro questa scissione. La propaganda atea può risultare in queste circostanze superflua e nociva, non per le considerazioni filistee del non spaventare gli strati arretrati, del perdere un mandato alle elezioni, ecc., ma sotto il profilo del progresso reale della lotta di classe, che, nella società capitalistica moderna, condurrà gli operai cristiani alla socialdemocrazia e all'ateismo cento volte meglio di quanto possa farlo la pura e semplice predicazione atea. In questa fase e in questa situazione il predicatore dell'ateismo farebbe soltanto il gioco del prete e di tutti i preti, i quali non desiderano altro che sostituire la divisione degli operai in base alla loro partecipazione allo sciopero con la loro scissione in base alla fede in Dio.
L'anarchico, predicando la guerra contro Dio ad ogni costo, aiuterebbe di fatto i preti e la borghesia (sempre, del resto, gli anarchici aiutano di fatto la borghesia). Il marxista deve essere materialista, ossia nemico della religione, ma materialista dialettico, che pone cioè la causa della lotta contro la religione non su un piano astratto, non sul piano puramente teorico di una predicazione sempre uguale a se stessa, ma in concreto, sul piano della lotta di classe, che conduce di fatto ed educa le masse più e meglio d'ogni altra cosa.

Il marxista deve saper tenere conto di tutta la situazione concreta, deve sempre scoprire il confine tra l'anarchia e l'opportunismo (questo confine è relativo, mobile, mutevole, ma esiste), non deve cadere nel «rivoluzionarismo» astratto, verbale e in effetti vuoto dello anarchico, ma nemmeno nel filisteismo e nell'opportunismo del piccolo-borghese o dell'intellettuale liberale, che ha paura di combattere la religione, dimentica questo suo compito, accetta la fede in Dio, si fa guidare non dagli interessi della lotta di classe, ma da un calcolo meschino e miserabile: non offendere, non respingere, non spaventare nessuno, seguire la saggia massima: «Vivi e lascia vivere», ecc. ecc.

Da questo punto di vista devono essere risolte tutte le questioni particolari relative ai rapporti tra la socialdemocrazia e la religione. Si pone spesso, ad esempio, la questione se un prete possa far parte del partito socialdemocratico, e, di solito, si risponde affermativamente, senza alcuna riserva, richiamandosi all'esperienza dei partiti socialdemocratici europei. Tuttavia, quest'esperienza non è nata soltanto dall'applicazione della dottrina marxista al movimento operaio, ma anche dalle particolari condizioni storiche dell'Occidente, condizioni che non esistono in Russia (ne parleremo in seguito), e quindi una risposta assolutamente affermativa è in questo caso sbagliata. Non si può dichiarare una volta per tutte, a prescindere dalle diverse condizioni, che i preti non possono essere iscritti al partito socialdemocratico, ma non si può nemmeno proclamare una volta per tutte la regola opposta. Se un prete viene da noi per svolgere un lavoro politico un comune ed esegue con coscienza il lavoro di partito, senza opporsi al programma del partito, noi possiamo accoglierlo nelle file della socialdemocrazia, perché la contraddizione tra lo spirito o i princìpi del nostro programma e i convincimenti religiosi del prete potrebbe restare, in queste condizioni, una contraddizione puramente personale, e un'organizzazione politica non deve sottoporre i suoi iscritti a un esame sull'assenza di contrasti tra le loro opinioni e il programma del partito.

Ma, ovviamente, un simile caso potrebbe essere una rara eccezione persino in Europa. In Russia poi è davvero improbabile. Se, per esempio, un prete aderisse al partito socialdemocratico e vi svolgesse come suo lavoro principale e quasi esclusivo la predicazione attiva delle concezioni religiose, il partito dovrebbe espellerlo senza meno dalle sue file. Noi dobbiamo non soltanto accogliere, ma mobilitare attivamente nel partito socialdemocratico tutti gli operai che conservano la fede in Dio; noi siamo assolutamente contrari a ledere in qualsiasi forma i loro convincimenti religiosi; ma noi li reclutiamo per educarli secondo lo spirito del nostro programma, e non per farli lottare attivamente contro di esso.

Noi ammettiamo all'interno del partito la libertà di opinione, ma entro i limiti precisi fissati dalla libertà di associazione: non siamo tenuti ad andare d'accordo con i predicatori attivi di concezioni respinte dalla maggioranza del partito.
Altro esempio: è lecito condannare ih tutte le condizioni i membri del partito socialdemocratico per aver dichiarato: «Il socialismo è la mia religione» e per aver diffuso opinioni consone a questa dichiarazione? No. Una deviazione dal marxismo (e quindi anche dal socialismo) è qui incontestabile, ma la portata di questa deviazione, il suo, per così dire, peso specifico possono differire a seconda della situazione. Se un agitatore o colui che parla davanti alle masse operaie si esprime in questo modo per essere meglio compreso, per iniziare la sua esposizione, per dare più rilievo alle proprie opinioni, servendosi dei termini più familiari per la massa incolta, è un conto. Ma, se uno scrittore comincia a predicare la «costruzione di Dio» o un socialismo costruttore di Dio (nello spirito, per esempio, dei nostri Lunaciarski e soci), è un altro conto. Di quanto la condanna potrebbe essere nel primo caso un cavillo o addirittura un'inopportuna restrizione della libertà dell'agitatore, della libertà dell'azione «pedagogica», di tanto la condanna del partito nel secondo caso si rende indispensabile e obbligatoria. La tesi che «il socialismo è una religione» è per i primi una forma di transizione dalla religione al socialismo, per i secondi dal socialismo alla religione.

Veniamo adesso alle circostanze che hanno generato in Occidente l'interpretazione opportunistica della tesi: «La religione è un affare privato». Naturalmente, si risente qui l'influenza delle cause generali che determinano l'opportunismo, inteso come sacrificio degli interessi fondamentali del movimento operaio ai vantaggi del momento. Il partito del proletariato esige che lo Stato dichiari la religione un affare privato, senza per questo considerare un «affare privato» la lotta contro l'oppio del popolo, contro le superstizioni religiose, ecc. Gli opportunisti travisano la questione così da far credere che il partito socialdemocratico consideri la religione un affare privato!

Ma, oltre al solito travisamento opportunistico (che non è stato affatto chiarito nei dibattiti del nostro gruppo alla Duma sulla questione religiosa), esistono particolari condizioni storiche che hanno generato, se così si può dire, l'eccessiva indifferenza attuale dei socialdemocratici europei per la questione religiosa. Queste condizioni sono di un duplice ordine. Da un canto, la lotta contro la religione è un compito storico della borghesia rivoluzionaria, e in Occidente questo compito è stato (o -veniva) in gran parte assolto dalla democrazia borghese nell'epoca delle sue rivoluzioni o dei suoi assalti contro il feudalesimo e il medioevo. Sia in Francia che in Germania esiste una tradizione di lotta borghese contro la religione, iniziata molto prima del socialismo (gli enciclopedisti, Feuerbach). In Russia, in rapporto alle condizioni della nostra rivoluzione democratica borghese, anche questo compito ricade quasi per intero sulle spalle della classe operaia. La democrazia piccolo-borghese (populistica) non ha fatto da noi troppo in questo campo (come credono invece i neofiti cadetti cadetti centoneri o centoneri cadetti dei Viekhi), e ha fatto troppo poco in confronto all'Europa.

D'altro canto, la tradizione della lotta borghese contro la religione è già riuscita a creare in Europa una deformazione specificamente borghese di questa lotta per mezzo dell'anarchismo, che, come i marxisti hanno già da tempo e più volte chiarito, accetta la concezione borghese del mondo, nonostante tutta la «foga» dei suoi attacchi alla borghesia. Gli anarchici e i blanquisti nei paesi latini, Most (che è stato, tra l'altro, discepolo di Dühring) e soci in Germania, gli anarchici degli anni ottanta in Austria sono giunti al nec plus ultra del verbalismo rivoluzionario nella lotta contro la religione.
Non meraviglia che i socialdemocratici europei curvino oggi il bastone in senso opposto a quello degli anarchici. È comprensibile e, in una certa misura, legittimo; ma non s'addice a noi, socialdemocratici russi, dimenticare le condizioni storiche specifiche dell'Occidente.

Inoltre, dopo la fine delle rivoluzioni borghesi nazionali, dopo l'introduzione di una libertà più o meno completa per le confessioni religiose, in Occidente la questione della lotta democratica contro la religione è stata storicamente respinta in secondo piano dalla lotta della democrazia borghese contro il socialismo a tal punto che i governi borghesi hanno tentato coscientemente di distogliere l'attenzione delle masse dal socialismo, organizzando un'«offensiva» pseudoliberale contro il clericalismo. Questo carattere hanno avuto il Kulturkampf in Germania e la lotta dei repubblicani borghesi contro il clericalismo in Francia. L'anticlericalismo borghese, come mezzo per distogliere l'attenzione delle masse operaie dal socialismo: ecco che cosa ha precorso in Occidente il diffondersi tra i socialdemocratici dell'odierna «indifferenza» per la lotta contro la religione. Anche questo è comprensibile e legittimo, perché all'anticlericalismo borghese e bismarckiano i socialdemocratici dovevano opporre proprio la subordinazione della lotta contro la religione alla lotta per il socialismo.

In Russia lo condizioni sono radicalmente diverse. Il proletariato è la guida della nostra rivoluzione democratica borghese. Il suo partito deve essere la guida ideale nella lotta contro ogni forma di medioevo, e quindi anche contro la vecchia religione ufficiale, contro tutti i tentativi di rinnovarla o di porla su basi nuove e diverse, ecc. Se quindi Engels criticava, con relativa moderazione, l'opportunismo dei socialdemocratici tedeschi, che sostituivano alla rivendicazione propugnata dal partito operaio - di una dichiarazione della religione come affare privato da parte dello Stato - la proclamazione della religione come affare privato per gli stessi socialdemocratici e per lo stesso partito socialdemocratico, si comprende che la ripresa di questo travisamento tedesco per opera degli opportunisti russi si sarebbe meritata da Engels una condanna cento volte più aspra.

Nel dichiarare dalla tribuna della Duma che la religione è l'oppio del popolo, il nostro gruppo si è comportato molto giustamente e ha creato così un precedente, che deve servire di fondamento a tutti gli interventi dei socialdemocratici russi sulla questione religiosa. Bisognava forse andare oltre, sviluppare in modo più minuzioso le tesi dell'ateismo? Non lo crediamo. Si sarebbe corso il rischio di indurre il partito politico del proletariato a esagerare la lotta contro la religione; si sarebbe giunti a cancellare la linea di demarcazione tra la lotta borghese e quella socialista contro la religione. Il primo compito che il gruppo socialdemocratico alla Duma centonera doveva assolvere è stato assolto on onore.

Il secondo compito - che è forse più importante per i socialdemocratici - consisteva nel chiarire la funzione di classe della Chiesa e del clero come sostegno del governo centonero e della borghesia nella lotta contro la classe operaia: anche questo compito è stato assolto con onore. Senza dubbio, c'è ancora molto da dire su questo tema, e nei successivi interventi della socialdemocrazia si troverà il modo di integrare il discorso del compagno Surkov, ma ciò non toglie che il suo discorso sia stato eccellente e che la sua diffusione per mezzo di tutte le nostre organizzazioni sia un preciso dovere del partito.

Il terzo compito consisteva nel chiarire con la massima precisione l'esatto significato della tesi tanto spesso travisata dagli opportunisti tedeschi: «Proclamare la religione un affare privato». Purtroppo, il compagno Surkov non l'ha fatto. E ciò è anche più grave perché nella precedente attività del gruppo è stato tollerato l'errore commesso al riguardo dal compagno Bielousov e tempestivamente denunciato dal «Proletari». I dibattiti in seno al gruppo dimostrano che la polemica sull'ateismo ha impedito di formulare esattamente la famigerata proclamazione della religione quale affare privato. Non faremo ricadere quest'errore di tutto il gruppo sul solo compagno Surkov.
Di più. Riconosciamo francamente che qui la colpa ricade su tutto il partito, in quanto non ha chiarito in maniera adeguata la questione e non è riuscito a portare adeguatamente alla coscienza della socialdemocrazia il significato dell'osservazione engelsiana sugli opportunisti tedeschi. I dibattiti svoltisi in seno al gruppo dimostrano che si è trattato di una confusa impostazione del problema, non certo della riluttanza a tener conto della dottrina di Marx, e noi siamo persuasi che l'errore sarà corretto nei futuri interventi del gruppo. In linea di massima - lo ripetiamo - il discorso del compagno Surkov è eccellente e deve essere divulgato da tutte le organizzazioni.

Nel discutere questo discorso il gruppo ha dimostrato di adempiere con piena coscienza il suo dovere di gruppo socialdemocratico. C'è da augurarsi che le corrispondenze sui dibattiti del gruppo compaiano con maggiore frequenza sulla stampa del partito per avvicinare il gruppo al partito, per far conoscere a quest'ultimo il difficile lavoro svolto dal gruppo, per creare una unità ideale nell'azione del partito e del gruppo.

13 (26) maggio 1909.

Proletari, n. 45, V. Lenin,

Opere,

V ed. russa, vol. 17. pp. 415-426.
 
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