Comunismo - Scintilla Rossa

Capitolo 21 Stalin grande artefice della vittoria sul nazifascismo, Stalin, La vita e le opere, Capitoli: 21-22-23-24

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Kovski21
view post Posted on 23/10/2007, 20:44




Capitolo 21
Stalin grande artefice della vittoria sul nazifascismo


La disgregazione del blocco aggressivo nazifascista

L'impegno e la tenacia con cui negli anni del conflitto il governo e la diplomazia dell'URSS lavorarono alla creazione dell'alleanza antihitleriana, rispondevano essenzialmente a due, fondamentali, esigenze. In primo luogo, concludere nel tempo più breve possibile la sanguinosa e tragica guerra che infiammava il mondo sradicando alle radici il nazifascismo e liberando tutti i popoli schiacciati dallo spietato tallone di ferro degli aggressori. In secondo luogo, creare le condizioni per assicurare al mondo una pace durevole basata sull'effettiva uguaglianza fra i popoli, sul loro diritto ad essere liberi artefici del proprio destino, sulla cooperazione fra tutti gli Stati anche a diverso regime economico e sociale.
Nella realizzazione di questi obiettivi l'Unione Sovietica ottenne alcuni indubitabili successi. Ma la difficile costruzione dell'alleanza antifascista anglo-sovietico-americana, evidenziò anche come le potenze capitalistiche alleate fossero all'inizio convinte dell'incapacità sovietica a resistere vittoriosamente all'aggressione nazista e puntassero quindi, rispolverando i loro propositi d'anteguerra, a protrarre quanto più possibile nel tempo un aspro conflitto di logoramento tra Germania e URSS a tutto vantaggio del consolidamento delle proprie difese, delle difese, cioè, anglo-americane. Poi gli sviluppi del conflitto fecero emergere il completo fallimento del "piano Barbarossa" e, con esso, la prospettiva di una capitolazione dell'URSS.
Immediatamente dopo l'entrata in guerra dell'America si svolse a Washington, tra la fine di dicembre 1941 e il gennaio 1942, un importante vertice tra USA e Gran Bretagna. In esso si decisero e si prepararono i piani delle operazioni militari anglo-americane per il 1942-1943. I dirigenti di Londra e Washington decisero di concentrare il loro sforzo bellico soprattutto nella guerra aerea e marittima, limitando l'azione delle loro truppe di terra al nord-Africa, alla zona fra la Tunisia e l'Egitto. Era l'applicazione della cosiddetta "strategia delle azioni indirette" proposta dall'Inghilterra e accettata dagli USA, che puntava essenzialmente ad "assediare" la Germania, favorire attraverso la fornitura di armi e materiale bellico la lotta dei movimenti di resistenza operanti negli Stati europei da essa occupati e, dopo il suo logoramento, assestarle il colpo finale. Questa strategia era anche la concreta attuazione della volontà politica anglo-americana di lasciare sulle spalle dell'URSS il peso maggiore della guerra nel "vecchio continente". Da questa volontà politica scaturiva l'ostinato rifiuto di Stati Uniti e Gran Bretagna di aderire alle proposte sovietiche che sollecitavano gli alleati ad aprire un secondo fronte di guerra in Europa per accelerare la disfatta nazifascista, e non certo dalle pretestuose argomentazioni di Churchill circa l'impraticabilità di una tale scelta.
Nel 1943 la situazione sul campo di battaglia aveva subito decisivi cambiamenti rispetto all'anno precedente. In particolare la forza militare dell'esercito hitleriano, a seguito dei successi dell'Armata Rossa, si era notevolmente indebolita. Sul fronte nordafricano poi, le truppe italo-tedesche si arresero, il 13 maggio 1943, alle forze anglo-americane che conclusero così con pieno successo la campagna d'Africa. Inoltre il blocco aggressivo nazifascista mostrava già chiari i segni della sua disgregazione e, per contro, nei diversi paesi cresceva l'influenza, l'organizzazione e la capacità di lotta dei movimenti antifascisti e dei comunisti in particolare.
In Finlandia dopo le elezioni presidenziali del febbraio 1943 s'insediò un nuovo governo privo di ministri appartenenti al partito fascista che iniziò, seppur timidamente, a sviluppare una politica tesa a far uscire il paese dal conflitto, mentre i partiti contrari alla guerra - socialdemocratici, progressisti e unione agraria - costituirono nel luglio un comitato unitario d'azione.
In Romania nell'estate del 1943 i comunisti riuscirono a unificare tutta l'opposizione al regime fascista di Antonescu nel "Fronte patriottico antihitleriano".
In Ungheria, nello stesso periodo, si svolsero forti manifestazioni antifasciste e scioperi operai diretti unitariamente da comunisti e sinistra socialdemocratica. La cricca del fantoccio hitleriano Horty fu abbandonata anche dalla borghesia e dagli agrari che cominciarono a cercare e sviluppare contatti con gli anglo-americani. Per evitare l'uscita dell'Ungheria dal blocco nazifascista, la Germania, nel marzo 1944, occupò il paese.
In Bulgaria nel 1942 si formò il "Fronte patriottico" al quale parteciparono tutti i partiti antifascisti aderendo all'iniziativa lanciata da Dimitrov. Nel 1943 il partito comunista bulgaro creò anche un forte movimento partigiano che iniziò la lotta armata di liberazione del paese.
Il 1943 vide anche una forte riorganizzazione della opposizione antinazista in Germania. Riorganizzazione che portò alla formazione di un centro operativo unificato che cominciò a dirigere e coordinare la lotta tesa all'abbattimento del regime hitleriano. Particolarmente attiva ed efficace fu l'azione dei comunisti soprattutto fra la classe operaia. Cellule comuniste cominciarono ad operare in molte fabbriche, alcune delle quali di produzione bellica.
Anche in Italia divampava la lotta contro il putrido regime di Mussolini ormai in disfacimento. Nella notte del 10 luglio 1943 le truppe anglo-americane sbarcarono in Sicilia. Il 25 luglio vi fu il crollo istituzionale del regime fascista. Mussolini venne arrestato e Badoglio fu nominato nuovo presidente del consiglio. Il 3 settembre a Cassibile, comune del siracusano, venne firmato l'armistizio, ufficializzato l'8 settembre. Le truppe hitleriane di stanza in Italia comandate da Rommel proclamarono lo stato d'emergenza e misero il paese sotto un feroce regime d'occupazione, mentre la V armata americana sbarcava a Salerno. Mussolini liberato dai nazisti il 12 settembre, si insediò a Salò dove, il 23 dello stesso mese, proclamò la nascita della cosiddetta "repubblica sociale italiana". Il glorioso movimento partigiano italiano, unificato e organizzato nei Comitati di Liberazione Nazionali, condusse e sviluppò l'eroica lotta di liberazione nazionale contro il regime d'occupazione nazifascista.


La questione del "secondo fronte" di guerra in Europa

All'interno dell'alleanza anglo-sovietico-americana il governo di Mosca continuava a lavorare con leale spirito unitario, ma anche con estrema decisione e fermezza per la piena realizzazione di una politica in grado di ridurre i tempi della guerra e le sue nefaste conseguenze sui popoli e di cominciare ad affrontare le varie e complesse questioni che la fine del conflitto avrebbe portato con sé, prima fra tutte la questione tedesca. Il 24 giugno a seguito dell'ennesimo rifiuto anglo-americano alla proposta sovietica di apertura di un secondo fronte in Europa, il governo di Mosca fece loro sapere che tale ostinato atteggiamento metteva a dura prova la fiducia dei sovietici nei confronti degli alleati. L'evoluzione della situazione bellica, i successi nell'avanzata liberatrice dell'Armata Rossa, la crescita dell'influenza e del prestigio internazionale dell'URSS e lo sviluppo dei movimenti comunisti nei paesi occupati dell'Europa, fecero emergere non poca tensione nei circoli dirigenti imperialisti di USA e Gran Bretagna che vedevano come fumo negli occhi la possibile affermazione del socialismo nei paesi d'Europa. Ciò li spinse a decidersi per un loro più deciso intervento in Europa, anche se le soluzioni prospettate da Washington e da Londra furono, almeno inizialmente, diverse tra loro.
Mentre gli inglesi dopo lo sbarco in Italia erano propensi a sviluppare un'offensiva nei Balcani e nell'Europa sud-orientale per evitare che quei territori e quei popoli fossero liberati dall'Armata Rossa, gli americani ritenevano più sicuro dal punto di vista del successo operativo e più importante sul piano politico uno sbarco sulle coste francesi, la conseguente liberazione di Francia, Belgio e Olanda da parte delle truppe anglo-americane e la successiva loro entrata in Germania.


Teheran e Jalta

A definire una strategia unitaria della coalizione alleata fu la Conferenza di Teheran svoltasi dal 28 novembre al 1 dicembre 1943, nella quale, per la prima volta, si incontrarono Stalin, Roosevelt e Churchill. Nel corso della conferenza, i tre capi di governo delle potenze alleate decisero i piani delle operazioni militari da attuare per porre fine al conflitto. In particolare fu definita la questione dell'apertura del secondo fronte in Europa, da attuarsi attraverso lo sbarco anglo-americano in Francia nel maggio del 1944. L'URSS in concomitanza con lo sbarco avrebbe iniziato una forte offensiva per impedire che la Wermacht potesse rafforzare il suo fronte occidentale, spostandovi truppe dislocate sul fronte orientale. A Teheran Stalin, Roosevelt e Churchill discussero anche la questione tedesca, in particolare il futuro assetto della Germania. Su questo aspetto si registrarono opinioni diverse. Stati Uniti e Gran Bretagna volevano uno smembramento della Germania. Roosevelt propose la formazione di cinque Stati indipendenti e l'amministrazione sotto controllo internazionale della Ruhr, della Saar, del canale di Kiel e di Amburgo. Stalin respinse questa ipotesi perché contraria ai diritti e agli interessi legittimi del popolo e della nazione tedesca, che non potevano essere assolutamente identificati con il criminale regime hitleriano. Su questa questione la conferenza decise di approfondire la discussione in sede di "commissione consultiva interalleata per l'Europa".
Questa commissione era stata costituita nel corso della conferenza dei ministri degli esteri alleati svoltasi a Mosca nell'ottobre 1943 ed aveva come scopo quello di stabilire le condizioni di resa da imporre ai nemici e l'analisi di tutte le problematiche derivanti dalla fine della guerra in Europa.
La Conferenza di Teheran ebbe una notevole importanza anche sul piano politico. Rinsaldò infatti la coesione della coalizione alleata, dando un duro colpo alle manovre della diplomazia e della propaganda del nemico nazista che, in seria difficoltà sul piano militare, provava ora a minare l'unità del campo alleato nel tentativo di creare le condizioni per giungere a una pace separata con gli anglo-americani.
All'inizio del 1944 gli eserciti della Germania e dei suoi alleati occupavano ancora il suolo sovietico. 236 divisioni e 18 brigate nemiche (di cui 198 divisioni e 6 brigate della Wermacht) erano dislocate su un territorio di 906 mila kmq. Le forze nazifasciste - 5 milioni di soldati, oltre 54.500 cannoni e mortai, circa 5.400 carri armati e più di 3 mila aerei - stringevano ancora in una ferrea morsa distruttrice Leningrado, che resisteva assediata praticamente dall'inizio del conflitto, la repubblica Carelo-Finnica, le repubbliche del Baltico, la Bielorussia, gran parte dell'Ucraina, la Moldavia e la Crimea.
Stalin alla testa del Quartier Generale del Comando Supremo, predispose i piani generali dell'offensiva decisiva che doveva portare alla liberazione totale e definitiva della Patria sovietica. Su tutti i fronti di guerra l'Armata Rossa dislocò ingenti forze per sostenere vittoriosamente lo scontro con il nemico. Un totale di 6 milioni 165 mila soldati rossi suddivisi in 461 divisioni di fanteria, reparti motorizzati, cavalleria e paracadutisti, 23 corpi corazzati, 124 divisioni aeree ed altre unità ancora.
Primo obiettivo dell'offensiva sovietica fu la liberazione di Leningrado. L'attacco sul fronte nord fu sferrato il 14 gennaio e già il 27 di quello stesso mese, la città simbolo della Rivoluzione d'Ottobre fu liberata. Dopo 900 giorni d'assedio segnati da distruzioni, lutti e sofferenze, gli abitanti di Leningrado iniziarono immediatamente l'opera di ricostruzione sostenuti dall'aiuto fraterno di tutta la nazione. Nel primo anniversario della sua liberazione, alla città di Leningrado venne conferita la massima onorificenza dello Stato sovietico, l'Ordine di Lenin.
Via via, nel 1944, tutto il territorio dell'URSS fu liberato. Il 23 marzo nel corso delle operazioni per la liberazione dell'Ucraina, le truppe sovietiche raggiunsero lungo una linea di 85 km il confine di stato con la Romania. I reparti dell'Armata Rossa continuarono l'inseguimento delle truppe nemiche in ritirata nel territorio romeno, mentre il governo sovietico dichiarava che tale azione non aveva nessuno scopo di conquista e che solo al popolo di Romania spettava il diritto di decidere del suo futuro. Il 10 aprile venne riconquistata Odessa e in maggio fu completata la liberazione di tutta la Crimea. Il 20 luglio le truppe sovietiche giunsero ai confini della Polonia iniziando a liberare anche quel paese con il sostegno attivo della I armata polacca, costituitasi in URSS, e dei partigiani polacchi. Nell'autunno 1944 tutto il territorio dell'Unione sovietica era stato definitivamente liberato dagli invasori nazifascisti e l'Armata Rossa costringeva alla resa uno dopo l'altro i regimi fantoccio asserviti a Hitler.
Per i suoi meriti eccezionali nell'organizzazione e nell'esecuzione delle operazioni offensive dell'Esercito rosso, il Presidium del Soviet Supremo dell'URSS il 29 luglio 1944 decorò Stalin con l'Ordine della Vittoria.
Stalin il 6 novembre in occasione del 27° anniversario della Rivoluzione, esortò l'Armata Rossa ad assolvere completamente la sua missione storica liberatrice annientando la belva nazista.
Dal 4 all'11 febbraio 1945 si svolse in Crimea la Conferenza di Jalta dove, per la seconda volta, s'incontrarono Stalin, Roosevelt e Churchill. In questa Conferenza i massimi dirigenti della coalizione alleata decisero che dopo la totale disfatta del regime nazista il controllo e l'amministrazione del territorio tedesco fosse temporaneamente affidato ad URSS, USA, Gran Bretagna e Francia. Questo in attesa del consolidamento della pace, della sicurezza, del definitivo futuro assetto del paese e della definizione della questione inerente le riparazioni di guerra. La Conferenza decise inoltre l'istituzione di una commissione composta dai tre ministri degli esteri per l'avvio di un'inchiesta sui grandi criminali di guerra. Fu anche avviata la discussione relativa a specifiche questioni inerenti l'assetto territoriale e istituzionale di alcuni paesi tra i quali Jugoslavia e Polonia. L'URSS si impegnò entro tre mesi dalla resa della Germania ad entrare in guerra a fianco degli alleati contro il Giappone.
A Jalta si decise inoltre la convocazione, per il 25 aprile 1945 negli USA, della Conferenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite alla quale saranno invitati tutti gli Stati membri dell'Alleanza alla data dell'8 febbraio 1945 e quelli che entro il 1° marzo 1945 avranno dichiarato guerra al comune nemico.
Infine la Conferenza di Jalta approvò una "dichiarazione sull'Europa liberata" nella quale, fra l'altro, si affermava: "Il Primo Ministro delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, il Primo Ministro del Regno Unito e il Presidente degli Stati Uniti d'America si sono consultati nell'interesse comune dei popoli dei loro rispettivi paesi e di quelli dell'Europa liberata. Essi affermano congiuntamente il loro accordo in vista di promuovere una politica comune dei loro tre governi durante il periodo temporaneo di instabilità dell'Europa liberata, e ciò al fine di aiutare i popoli d'Europa liberi dalla dominazione della Germania nazista, e i popoli degli stati satelliti dell'Asse, a risolvere con mezzi democratici i loro problemi politici ed economici più importanti. Lo stabilimento dell'ordine in Europa e la ricostruzione delle economie nazionali devono essere realizzati con procedimenti che permettano ai popoli liberati di distruggere le ultime vestigia del nazismo e del fascismo, e di stabilire delle istituzioni democratiche da loro stessi scelte".


La bandiera rossa sul Reichstag

Come previsto da Stalin la Germania nazista stretta nella morsa degli attacchi ad est dell'Armata Rossa e ad ovest delle truppe anglo-americane sbarcate sulle coste della Normandia il 6 giugno 1944, andava incontro alla sua inevitabile sconfitta.
Nell'offensiva lanciata agli inizi del 1945 l'Esercito rosso liberò definitivamente tutta la Polonia e gran parte della Cecoslovacchia - Praga sarà liberata dall'Armata Rossa il 9 maggio - costringendo anche l'Ungheria, ultimo alleato europeo del III Reich, ad uscire dal conflitto. Continuando nella sua inarrestabile avanzata l'Armata Rossa liberò Vienna e penetrò in territorio tedesco puntando con decisione su Berlino.
Il 1° maggio 1945 la bandiera rossa issata sul Reichstag sventolava su Berlino: testimonianza e simbolo incancellabile del valore, della forza e dell'unità che hanno legato in un saldo vincolo sotto la guida riconosciuta di Stalin, l'Esercito rosso, il Popolo sovietico, lo Stato sovietico e il Partito bolscevico.
Fu la radio sovietica, il 2 maggio, ad annunciare al mondo il crollo della Germania nazista, diffondendo l'ordine del giorno del maresciallo Stalin, Comandante supremo delle Forze armate sovietiche, ordine del giorno che annunciava che le truppe dell'Armata Rossa "hanno condotto a termine l'annientamento delle truppe tedesche accentrate a Berlino ed oggi, 2 maggio, si sono completamente impadronite della capitale della Germania, Berlino, centro dell'imperialismo tedesco e focolaio dell'aggressione tedesca".146
L'8 maggio 1945 nella capitale tedesca i capi militari nazisti firmarono l'atto di resa incondizionata della Germania alle Forze armate Alleate.
Per festeggiare la conquistata vittoria il 24 giugno a Mosca fu organizzata la "parata della vittoria". Sulla Piazza Rossa sfilarono i gloriosi reparti dell'Armata Rossa che gettarono ai piedi del popolo russo le bandiere e le insegne strappate al nemico nei duri anni di guerra.
Per gli eccezionali meriti nell'organizzazione di tutte le forze armate e per il coraggio e la risolutezza dimostrati nella direzione della guerra di liberazione, il Presidium del Soviet Supremo insignì il compagno Stalin del titolo di Eroe dell'URSS, gli conferì l'Ordine di Lenin e lo promosse al supremo grado militare di Generalissimo dell'Unione Sovietica.

Capitolo 22
Dalla vittoria sul nazifascismo alla "guerra fredda"


La Conferenza di Potsdam

I capi di governo della coalizione anglo-sovietico-americana vincitrice del conflitto mondiale si riunirono nella Conferenza di Potsdam, una località nei pressi di Berlino, dal 17 al 25 luglio 1945 e, successivamente, dal 28 luglio al 2 agosto. La breve interruzione fu necessaria per la concomitanza nei giorni del vertice delle elezioni inglesi che sancirono l'affermazione dei laburisti e la sconfitta di Churchill.
In conseguenza di ciò nella prima fase parteciparono alla Conferenza Stalin, Truman - diventato presidente degli Stati Uniti dopo la morte di Roosevelt - e Churchill che dopo la sconfitta elettorale venne sostituito da Attlee.
A Potsdam venne sottoscritto un documento comune sulla Germania che prevedeva la messa al bando definitiva del partito nazionalsocialista, lo smantellamento dell'organizzazione statale nazista e del suo esercito, la ristrutturazione dell'apparato produttivo tedesco e la liquidazione della sua industria bellica, le problematiche inerenti le riparazioni di guerra e la possibilità per il popolo tedesco di ricostruire l'economia e il nuovo ordinamento politico del paese in una prospettiva di pace. Per quanto riguardava l'assetto territoriale della Germania la Conferenza di Potsdam decise la restituzione alla Polonia delle sue terre annesse al Reich, compresa la città di Danzica, fissandone i confini occidentali lungo l'Oder-Neisse fino alla frontiera con la Cecoslovacchia, mentre all'URSS andò la regione di Konisberg.
Al consiglio dei ministri degli esteri alleati venne demandata la preparazione dei trattati di pace con l'Italia, la Finlandia, la Bulgaria, la Romania, l'Ungheria e con la stessa Germania. L'URSS inoltre confermò il suo impegno ad entrare in guerra contro il Giappone. Il 9 agosto 1945 l'Armata Rossa e la Flotta rossa del Pacifico iniziarono le azioni belliche in estremo oriente contro il Giappone.
In sostanza la Conferenza di Potsdam riconfermò, nelle sue linee essenziali, quanto pochi mesi prima era stato deciso a Jalta. Ma a Potsdam emersero anche seri e preoccupanti atteggiamenti di ostilità anglo-americani verso l'URSS. Soprattutto Washington e Londra mal digerivano lo sviluppo dei sentimenti di amicizia, gratitudine e rispetto che nei popoli e nei nuovi governi degli Stati orientali d'Europa, e non solo, andavano crescendo nei confronti dell'Unione Sovietica. Per questo USA e Gran Bretagna tentarono in tutti i modi di imporre una "riorganizzazione" all'interno dei governi di quei paesi, Bulgaria e Romania in primo luogo, cercando di dare più forza e peso politico nelle coalizioni governative ai "vecchi" esponenti politici rispetto a quelli emersi nel vivo della lotta contro il nazifascismo.


L'URSS esce rafforzata. Il campo socialista

Dal conflitto mondiale l'URSS uscì assai più forte sia sul piano interno che su quello internazionale. Attaccando l'URSS i circoli imperialistici nazifascisti pensavano di fare in breve tempo un solo boccone di uno Stato debole sul piano sociale, economico e militare. La guerra dimostrò tutt'altro. La guerra dimostrò la saldezza e la forza dell'Unione Sovietica. Dimostrò il forte vincolo di fratellanza che accomunava i popoli delle diverse nazionalità nell'Unione delle Repubbliche; dimostrò la stretta unità esistente tra la classe operaia e i lavoratori sovietici, il governo sovietico e il partito bolscevico; dimostrò che il potere della dittatura del proletariato aveva un libero e convinto sostegno di massa ed era la diretta espressione della volontà popolare nel governo del paese; dimostrò la potenza militare dell'Armata Rossa, il suo stretto legame con il popolo, la sua natura di esercito rosso del popolo. Dimostrò, infine, la grande forza e la superiorità del sistema economico socialista che permise all'URSS di dare solide basi alla costruzione dello Stato socialista, di sostenere vittoriosamente lo sforzo bellico e, successivamente, portare a compimento in un periodo relativamente breve l'opera di ricostruzione.
Sul piano internazionale l'URSS ha visto accresciute in maniera considerevole la sua importanza e la sua autorità. Ciò è stato determinato principalmente dal decisivo apporto dato dall'Armata Rossa alla liberazione di molti dei paesi occupati dalle truppe nazifasciste e giapponesi, dalla politica estera del governo sovietico volta ad instaurare strette relazioni d'amicizia con i dirigenti democratici e i movimenti di resistenza antifascisti di questi stessi paesi, nonché dall'azione della diplomazia sovietica capace di costruire un vasto fronte unito che ha isolato l'asse imperialista degli aggressori durante la guerra e, nello stesso tempo, ha cercato di sviluppare le condizioni necessarie per assicurare un futuro di pace all'umanità, il riscatto e la concreta emancipazione dei popoli succubi del dominio imperialista e neocoloniale, pari dignità, reciprocità, ed effettiva eguaglianza nei rapporti fra tutti gli Stati.
L'Unione Sovietica, dunque, non ebbe soltanto un ruolo decisivo nella vittoria militare, ma fu l'artefice fondamentale della vittoria sul nazifascismo riuscendo a raccogliere attorno a sé, in questa lotta, i popoli e le forze progressive del mondo. Anche i partiti comunisti di tutti i paesi dell'Europa che avevano dovuto subire l'occupazione e l'oppressione nazifascista uscirono notevolmente rafforzati dalla prova imposta dalla guerra. Nella maggior parte dei casi, essi furono capaci di mettersi alla testa dei rispettivi popoli e promuovere profonde trasformazioni nei diversi settori della società. In particolare ciò avvenne nei paesi dell'Europa orientale. Non appiattendosi semplicemente sul parlamentarismo e l'elettoralismo democratico-borghese, come fecero ad esempio Togliatti e gli altri revisionisti italiani, ma sviluppando una decisa azione di radicamento nella classe operaia, nei ceti contadini medio-poveri e negli strati progressisti della società, i movimenti comunisti di questi paesi riuscirono a sviluppare un'azione tesa ad unificare politicamente ed organizzativamente il movimento operaio. Forti dell'appoggio delle masse popolari ed alla guida dei Fronti democratici antifascisti, i partiti comunisti e operai iniziarono a promuovere, nei rispettivi paesi, incisive trasformazioni economiche e sociali. Innanzi tutto la riforma agraria, la liquidazione dei grandi proprietari fondiari, principali sostenitori dei regimi d'occupazione, e la distribuzione delle terre ai contadini. Poi la confisca di tutti i beni e delle proprietà di quanti avevano sostenuto e collaborato con il nazismo e la nazionalizzazione delle grandi industrie e delle banche. Ciò permise di indebolire notevolmente il capitale monopolistico e di assestare un colpo mortale alle vecchie forze reazionarie e monarchiche. Nei paesi dell'Europa orientale si affermarono così, anche a livello elettorale, nuovi governi in grado di affrancarsi dall'imperialismo, impegnarsi nel costruire le condizioni di uno sviluppo socialista e creare un nuovo ordinamento statale: la Repubblica Popolare.


Le mire egemoniche dell'imperialismo americano

La fine del conflitto, per contro, segnò la disfatta delle potenze imperialistiche più aggressive: l'Italia, il Giappone e, soprattutto, la Germania nazista. Il mondo capitalistico appariva mutato e, sostanzialmente, indebolito. Italia, Giappone e Germania erano annientate non solo militarmente, ma anche economicamente. La Francia usciva dal conflitto assai ridimensionata come grande potenza. Tra le potenze imperialistiche così come si erano delineate prima dell'inizio del conflitto, solo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna rimasero tali alla fine della guerra. Anche se la Gran Bretagna, indebolita militarmente ed economicamente, venne a trovarsi in una situazione di dipendenza nei confronti degli Stati Uniti. Con la guerra, invece, i capitalisti americani si arricchirono notevolmente. Gli Stati Uniti rispetto a tutti gli altri paesi subirono un numero minore di vittime. Il popolo americano non aveva dovuto sopportare la fame e le dure condizioni di vita imposte da un esercito invasore e da un'occupazione militare, né il territorio e l'apparato produttivo degli USA avevano subito le pesanti distruzioni della guerra.
Ora che la guerra finiva e che il mondo con l'aiuto insostituibile, determinante e decisivo di Stalin e dell'URSS si era liberato della belva nazifascista, l'imperialismo anglo-americano si preparava a risfoderare gli artigli contro il socialismo e l'Unione Sovietica, tornando alla vecchia politica di minaccia e di isolamento contro il paese dei Soviet già ampiamente praticata prima del conflitto. Ma ora l'URSS non era più sola. L'avanzata rivoluzionaria in molti paesi, infatti, stava segnando un consistente mutamento dei rapporti di forza internazionali in favore del socialismo con la nascita e lo sviluppo del campo socialista.
Gli accordi di Teheran, Jalta e Potsdam rappresentarono il tentativo di stabilire le condizioni per assicurare nel dopoguerra lo sviluppo di una prospettiva durevole di pace; di instaurare rapporti di convivenza e di cooperazione internazionale tra Stati a diverso regime economico e sociale; di garantire ai popoli del mondo la possibilità di decidere liberamente il proprio futuro e il proprio ordinamento politico-economico. Il raggiungimento di questi obiettivi era tra i principali scopi della politica estera sovietica. Nel mondo ormai vi erano due sistemi: il capitalismo e il socialismo. La loro esistenza era destinata a durare ancora per un lungo periodo. Il rafforzamento del prestigio internazionale dell'URSS; la formazione negli Stati dell'Europa orientale degli ordinamenti di democrazia popolare e il loro distacco dal sistema capitalistico; lo sviluppo della lotta di liberazione nei paesi coloniali e dipendenti; la grande e storica vittoria che di lì a poco sarà conquistata dal popolo cinese guidato da Mao e dal PCC e la formazione della Repubblica Popolare Cinese che, assieme alle Repubbliche popolari di Vietnam e Corea rafforzerà ulteriormente il campo socialista; modificheranno profondamente i rapporti di forza tra il sistema socialista e il sistema capitalista a vantaggio proprio del socialismo.
La conclusione della seconda guerra mondiale già delineava i tratti caratteristici e i sostanziali cambiamenti della situazione internazionale, così come il minaccioso dispiegarsi delle mire egemoniche del rafforzato imperialismo americano. Truman fin dal suo insediamento alla Casa Bianca, non aveva fatto mistero della volontà americana di "dirigere il mondo", di assoggettare ed imporre a tutti gli altri paesi la supremazia mondiale degli Stati Uniti d'America.
Iniziò così una subdola e mistificante campagna propagandistica volta a far credere che Stalin, a partire dalla Conferenza di Jalta, avrebbe preteso una spartizione dell'Europa di tipo imperialista tra le potenze vincitrici. In realtà furono proprio le potenze capitalistiche, Stati Uniti in testa e la Gran Bretagna con essi, che, per soddisfare le loro ambizioni imperialistiche e le loro brame di dominio sul mondo, violarono e denunciarono gli accordi da loro liberamente sottoscritti volti ad assicurare un'effettiva uguaglianza tra i popoli e il loro diritto ad essere liberi artefici del proprio destino. Così essi stracciarono anche ogni loro impegno volto a sradicare il fascismo, assicurare al mondo una pace durevole e promuovere una politica di cooperazione tra tutti gli Stati, anche a diverso regime economico e sociale.


Churchill a Fulton, prove di "guerra fredda"

Fu Churchill libero ormai da ogni "remora diplomatica" che, nel corso di una sua visita negli Stati Uniti, lanciò l'attacco all'URSS e al campo socialista con un intervento universalmente riconosciuto come l'inizio della "guerra fredda". Una guerra imperialista cruenta, combattuta con l'aggressione militare ed economica, per la conquista dell'egemonia nel mondo. Nel discorso pronunciato nel marzo 1946 al Westminster College di Fulton, nel Missouri, davanti al presidente americano Truman, Churchill accusò l'URSS di voler erigere una "cortina di ferro" fra l'est e l'ovest d'Europa ed esortò a sviluppare una più stretta alleanza tra Gran Bretagna e USA contro l'Unione Sovietica. Disse, tra l'altro, Churchill: "Un'ombra è calata sulla scena di recente così vivamente illuminata dalla vittoria degli Alleati. Nessuno sa che cosa intendano fare nell'immediato futuro la Russia e la sua organizzazione comunista internazionale, né quali siano i limiti, ammesso che esistano, delle loro tendenze espansionistiche e del loro proselitismo... Da Stettino, nel Baltico, a Trieste, nell'Adriatico, un sipario di ferro è calato sul continente. Dietro ad esso si trovano tutte le capitali degli antichi Stati dell'Europa centrale ed orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia, tutte queste famose città e le popolazioni intorno ad esse si trovano in quella che debbo chiamare la sfera sovietica, e tutte sono soggette, in una forma o nell'altra, non solo all'influenza sovietica ma ad un'altissima e in molti casi crescente misura di controllo da Mosca. La sola Atene - la Grecia con le sue glorie immortali - è libera di decidere il proprio avvenire mediante elezioni, con osservatori britannici, americani e francesi. Il Governo polacco dominato dai russi è stato incoraggiato ad avanzare enormi ed ingiuste pretese sulla Germania, e sta avendo luogo in questo momento un'espulsione in massa di milioni di tedeschi, su una scala atroce e mai sognata prima d'oggi. I partiti comunisti, ch'erano assai piccoli in tutti quegli Stati orientali d'Europa, sono stati innalzati ad un predominio e ad un potere di gran lunga sproporzionati al numero dei loro aderenti e stanno ora tentando dovunque di conquistare il dominio totalitario. Governi polizieschi prevalgono quasi in ogni caso e fino a questo momento, tranne che in Cecoslovacchia, non esiste una democrazia autentica".147
In un'intervista alla "Pravda" rilasciata il 13 marzo 1946, Stalin, alla domanda del giornalista su come giudicasse il discorso di Churchill, rispose in questi termini: "Lo giudico un atto pericoloso, diretto a seminare i germi della discordia tra gli Stati alleati e a rendere difficile la loro collaborazione...
Di fatto il sig. Churchill si trova ora nella posizione dei provocatori di guerra. E il sig. Churchill non è solo in questo; egli ha degli amici non soltanto in Inghilterra, ma anche negli Stati Uniti d'America.
...Non c'è dubbio che la posizione del sig. Churchill è una posizione che porta alla guerra, è un appello alla guerra contro l'URSS... Il sig. Churchill afferma che 'Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest, Sofia, tutte queste famose città, e la popolazione di queste regioni, si trovano nella sfera sovietica e sono tutte soggette, in una forma o nell'altra, non solo alla influenza sovietica, ma anche in notevole misura al controllo crescente di Mosca'. Il sig. Churchill qualifica tutto ciò come illimitate 'tendenze espansionistiche' dell'Unione Sovietica.
Non ci vuole molta fatica a dimostrare che qui il sig. Churchill calunnia in modo grossolano e imperdonabile sia Mosca che i suddetti Stati vicini dell'URSS.
In primo luogo, è completamente assurdo parlare di un controllo esclusivo dell'URSS a Vienna e a Berlino, dove esistono dei Consigli di controllo alleati formati dai rappresentanti dei quattro Stati e dove l'URSS ha solo un quarto dei voti. Capita che taluni non possono fare a meno di calunniare, ma non bisogna oltrepassare la misura.
In secondo luogo, non bisogna dimenticare la circostanza seguente. I tedeschi hanno invaso l'URSS attraverso la Finlandia, la Polonia, la Romania, la Bulgaria, l'Ungheria. I tedeschi poterono effettuare l'invasione attraverso questi paesi, perché in questi paesi esistevano allora governi ostili all'Unione Sovietica. In seguito all'invasione tedesca l'Unione Sovietica ha perduto irrimediabilmente nelle battaglie contro i tedeschi, e anche per l'effetto dell'occupazione tedesca e della deportazione di cittadini sovietici nelle galere tedesche, circa sette milioni di uomini. In altre parole, l'Unione Sovietica ha subito perdite in uomini di alcune volte superiori a quelle dell'Inghilterra e degli Stati Uniti d'America presi insieme. È possibile che in qualche luogo si sia propensi a relegare nel dimenticatoio queste colossali perdite del popolo sovietico, che hanno assicurato la liberazione dell'Europa dal giogo hitleriano. Ma l'Unione Sovietica non può dimenticarle. Si domanda che cosa ci sia di strano nel fatto che l'Unione Sovietica, volendo premunirsi per l'avvenire, cerca di ottenere che in questi paesi esistano governi che si comportino lealmente verso l'Unione Sovietica? Com'è possibile, se non si è pazzi, qualificare queste aspirazioni pacifiche dell'Unione Sovietica come tendenze espansionistiche del nostro Stato?
Il sig. Churchill afferma più oltre che 'il governo polacco, che si trova sotto il dominio dei russi, è istigato a commettere enormi e ingiusti attentati alla Germania'.
Qui ogni parola è una grossolana e oltraggiosa menzogna. La moderna Polonia democratica è governata da uomini insigni. Essi hanno dimostrato con i fatti di saper difendere gli interessi e la dignità della loro patria così come non seppero fare i loro predecessori. Con quale fondatezza il sig. Churchill afferma che i governanti della Polonia di oggi possono tollerare nel proprio paese il 'dominio' dei rappresentanti di un qualsiasi Stato straniero? Se a questo punto il sig. Churchill calunnia i 'russi' non è forse perché egli ha intenzione di seminare i germi della discordia nei rapporti tra la Polonia e l'Unione Sovietica?
Al sig. Churchill dispiace che la Polonia abbia compiuto una svolta nella sua politica in favore dell'amicizia e dell'alleanza con l'URSS. Ci fu un tempo in cui nei rapporti tra Polonia e Unione Sovietica predominavano gli elementi di conflitto e di contrasto. Questa circostanza dava la possibilità a uomini di Stato come Churchill di sfruttare questi contrasti, di mettere le mani sulla Polonia con il pretesto di difenderla dai russi, di spaventare la Russia agitando lo spettro di una guerra tra essa e la Polonia e di conservare per loro la posizione di arbitri. Ma questo tempo è passato, poiché l'inimicizia tra Polonia e Russia ha ceduto il posto all'amicizia fra di loro, e la Polonia, l'attuale Polonia democratica, non vuole più essere un giocattolo nelle mani degli stranieri...
Per quanto riguarda gli attacchi del sig. Churchill all'Unione Sovietica, in relazione all'estensione dei confini occidentali della Polonia grazie al recupero dei territori polacchi conquistati in passato dai tedeschi, qui, mi sembra, egli cambia apertamente le carte in tavola. Come è noto, la decisione relativa ai confini occidentali della Polonia fu presa alla Conferenza di Berlino delle tre Potenze, sulla base delle richieste della Polonia. L'Unione Sovietica ha dichiarato più volte di considerare giuste e legittime le richieste della Polonia. È molto probabile che al sig. Churchill questa decisione dispiaccia. Ma perché il sig. Churchill, che non risparmia i colpi alle posizioni russe in questa questione, nasconde ai suoi lettori il fatto che la decisione alla conferenza di Berlino fu presa all'unanimità, che a favore di questa decisione votarono non soltanto i russi, ma anche gli inglesi e gli americani? Perché il sig. Churchill ha bisogno di indurre in errore la gente?
Il sig. Churchill asserisce più oltre che 'i partiti comunisti, che erano insignificanti in tutti questi Stati dell'Europa orientale, hanno acquistato una forza eccezionale, che supera di molto la loro importanza numerica, e tendono ovunque a instaurare un controllo totalitario; i governi polizieschi prevalgono in quasi tutti questi paesi e al momento attuale non c'è, ad eccezione della Cecoslovacchia, nessuna vera democrazia'...
Il sig. Churchill vorrebbe che la Polonia fosse governata da Sosnkowski e Anders, la Jugoslavia da Mikhailovic e Pavelic, la Romania dal principe Stirbey e da Radescu, l'Ungheria e l'Austria da un qualche re della casa degli Asburgo e così via. Il sig. Churchill vuole convincerci che questi signori della greppia fascista possono assicurare 'una vera democrazia'. Questa è la 'democrazia' del sig. Churchill.
Il sig. Churchill sfiora la verità, quando parla dell'aumentata influenza dei partiti comunisti nell'Europa orientale. Bisogna però osservare che egli non è del tutto preciso. L'influenza dei partiti comunisti è cresciuta non soltanto nei paesi dell'Europa orientale, ma in quasi tutti i paesi dell'Europa, in cui prima dominava il fascismo (Italia, Germania, Ungheria, Bulgaria, Romania, Finlandia), o vi fu l'occupazione tedesca, italiana o ungherese (Francia, Belgio, Olanda, Norvegia, Danimarca, Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Grecia, Unione Sovietica, ecc.).
L'aumentata influenza dei comunisti non può essere considerata un fatto casuale. È un fenomeno completamente razionale. L'influenza dei comunisti è aumentata, perché nei duri anni del dominio fascista in Europa i comunisti si sono rivelati combattenti risoluti, audaci e pieni di abnegazione contro il regime fascista e per la libertà dei popoli. Il sig. Churchill ricorda talvolta nei suoi discorsi 'gli uomini semplici che vivono in case modeste', dando loro, da gran signore, delle manate sulle spalle e fingendosi loro amico. Ma questi uomini non sono così semplici come può sembrare a prima vista. Essi, questi 'uomini semplici', hanno le loro opinioni, la loro politica, sanno difendersi. Essi, questi milioni di 'uomini semplici', hanno battuto in Inghilterra Churchill e il suo partito, dando il loro voto ai laburisti. Essi, questi milioni di 'uomini semplici', hanno isolato in Europa i reazionari, fautori della collaborazione con il fascismo, e hanno dato la loro preferenza ai partiti democratici di sinistra. Essi, questi milioni di 'uomini semplici', avendo provato i comunisti nel fuoco della lotta e della resistenza al fascismo, hanno deciso che i comunisti meritano pienamente la fiducia del popolo. In questo modo è aumentata l'influenza dei comunisti in Europa. Tale è la legge dello sviluppo storico.
Certo, al sig. Churchill non piace un tale sviluppo degli avvenimenti, ed egli lancia l'allarme, facendo appello alla forza. Ma a Churchill non piacque nemmeno l'apparizione del regime sovietico in Russia dopo la prima guerra mondiale. Anche allora egli lanciò l'allarme e organizzò la campagna militare dei '14 Stati' contro la Russia, con il proposito di far girare all'indietro la ruota della storia. Ma la storia si rivelò più forte dell'intervento di Churchill, e le contorsioni donchisciottesche del sig. Churchill lo portarono allora a subire una completa sconfitta. Io non so se il sig. Churchill e i suoi amici riusciranno, dopo la seconda guerra mondiale, a organizzare una nuova campagna militare contro 'l'Europa orientale'. Ma se vi riusciranno, il che è poco verosimile, perché milioni di 'uomini semplici' montano la guardia alla causa della pace, ebbene si può dire con sicurezza che essi saranno battuti così come furono battuti in passato, ventisei anni or sono". 148


La divisione della Germania

Il maturare di questa nuova politica aggressiva dell'imperialismo americano e del suo principale alleato, la Gran Bretagna, si manifestò con preoccupante chiarezza attorno al problema tedesco. Si è visto come nella Conferenza di Teheran del 1943 USA e Gran Bretagna erano orientati verso un deciso smembramento della Germania. In particolare, prevedevano la suddivisione politica di quel paese in cinque piccoli Stati, il ridimensionamento del suo potenziale industriale, e uno sviluppo economico centrato essenzialmente sull'agricoltura. Fautore di questa politica era l'allora ministro delle finanze del governo Roosevelt, Henry Morgenthau. Ben presto, però, questo piano trovò una decisa opposizione nei potentati economici americani che avevano interesse a sviluppare stretti legami economici con il capitale monopolistico tedesco. Tutto questo, nel quadro di una Germania economicamente, politicamente e militarmente sottomessa e subordinata agli Stati Uniti d'America.
All'interno della coalizione alleata antinazista, l'Unione Sovietica era decisamente impegnata da un lato a distruggere alla radice il sistema hitleriano e la sua base economica, sociale ed ideologica; ma, anche, a non identificare i legittimi interessi del popolo e della nazione tedesca con il nazismo. Gli antifascisti e i democratici tedeschi trovarono proprio nell'URSS l'alleato più sincero. Col suo netto rifiuto nella Conferenza di Teheran ad acconsentire a qualsiasi ipotesi di smembramento della Germania, Stalin volle affermare appunto il diritto del popolo tedesco, una volta liberatosi definitivamente dal nazismo, a decidere della sua rinascita e del suo sviluppo economico in una prospettiva democratica e di pace. Così anche a Jalta, pur ribadendo i loro convincimenti circa lo smembramento della Germania, Roosevelt e Churchill ben consapevoli della posizione sovietica non esposero piani concreti sul problema tedesco. Stalin il 9 maggio 1945, all'indomani della capitolazione hitleriana, nel suo messaggio al popolo sovietico ribadì che: "L'Unione Sovietica celebra la sua vittoria, pur non proponendosi né di smembrare, né di annientare la Germania".149
Con ben altro metodo e volontà politica, i governi di Washington e Londra attuarono la "loro" soluzione del problema tedesco in totale spregio e violazione dello spirito di Jalta e degli accordi di Potsdam. In quella conferenza si era infatti raggiunto un accordo in merito al ruolo e alla funzione che dovevano guidare la temporanea occupazione e gestione alleata della Germania, divisa in quattro zone controllate e amministrate da USA, URSS, Gran Bretagna e Francia. Scopo principale era attuare la demilitarizzazione del paese, la sua denazificazione e democratizzazione.
Il 5 giugno 1945 i quattro comandanti militari, con l'autorizzazione dei rispettivi governi, firmarono la dichiarazione che sanciva regole e scopi delle amministrazioni d'occupazione e l'istituzione del Comitato di Controllo che rappresentava il massimo organo di potere della Germania per il periodo d'occupazione. Non era prevista dunque la formazione di un governo tedesco, ma si convenne che, principalmente sul piano economico, si doveva agire guardando alla Germania come ad un'entità unita e, infatti, per specifici e importanti settori come ad esempio finanze, industria, commercio con l'estero, comunicazioni e trasporti si crearono dipartimenti statali tedeschi sotto la supervisione del Comitato di Controllo.
Nel luglio 1945 il Comitato di Controllo iniziò la sua attività. Ma soprattutto a partire dal 1946 con il dispiegarsi del vento aggressivo e antisovietico della "guerra fredda", cominciò col perdere progressivamente ogni sua funzione propulsiva e di controllo stabilita dagli accordi internazionali, ormai considerati dall'imperialismo americano vuoti pezzi di carta.
Nella zona orientale della Germania, sotto il controllo sovietico, già dal giugno 1945 fu riammessa la formazione dei partiti antifascisti che dovevano contribuire alla totale eliminazione del nazismo e alla ricostituzione dell'iniziativa e dell'attività democratica. Furono istituiti nuovi organi di amministrazione locale costituiti da rappresentanti dei partiti democratici appartenenti al blocco antifascista. Fu avviata inoltre con discreto successo la ricostruzione economica, soprattutto in campo agricolo con l'attuazione della riforma agraria e, con più difficoltà, in campo industriale. Questo sia perché la zona orientale della Germania era quella che aveva subito i danni materiali più gravi dalla guerra, sia perché la maggior parte dell'apparato produttivo industriale tedesco si trovava nella zona occidentale del paese. In concomitanza con la ripresa dell'attività di ricostituzione economica, l'amministrazione militare sovietica operò anche per la riattivazione dell'attività sindacale e delle stesse organizzazioni sindacali. In base alle direttive sulla demilitarizzazione e la denazificazione che prevedevano lo smantellamento totale delle forze armate aeree, marittime e terrestri della Germania, delle formazioni e delle organizzazioni naziste, delle SS, delle SA, della Gestapo, ecc., il comando sovietico ne impose lo scioglimento, nonché il sequestro e la confisca di tutti i beni.
Il Comitato di Controllo alleato emanò i decreti sulla denazificazione: scioglimento e messa fuorilegge del partito nazista; divieto di diffusione di opere a carattere nazista e della propaganda nazista; allontanamento dei nazisti, dei collaborazionisti e degli esponenti collusi col vecchio regime da tutti gli incarichi istituzionali e di rilevante responsabilità in campo economico e sociale; punizione dei criminali di guerra nazisti. Il 20 novembre 1945 ebbe inizio il processo di Norimberga conclusosi con la condanna a morte di dodici tra i maggiori esponenti del regime hitleriano tra cui Goring, Ribbentrop e Frank, tre condanne all'ergastolo e, altre quattro, a pene detentive di diversa entità.
Il comando sovietico nella zona orientale di propria competenza pose particolare attenzione nell'epurazione dei nazisti, così come alla possibilità di libero reinserimento sociale per quanti avevano appartenuto al partito nazista in modo passivo, o costretti dalla situazione, e che seppero coerentemente rompere con il loro passato e con l'ideologia fascista.
Nelle zone occidentali della Germania i capi delle forze armate di occupazione americana, britannica e francese, in base alle indicazioni provenienti dai rispettivi governi dimostrarono, con il loro operato, il progressivo distacco dagli accordi scaturiti dalle conferenze alleate, incrinando l'attività e il funzionamento stesso del Comitato di Controllo. Sul piano della demilitarizzazione furono violate le principali decisioni del Comitato di Controllo. In particolare inglesi e americani mantennero le basi militari e le fortificazioni esistenti nei loro settori. I reparti dell'esercito furono mantenuti sottoforma di "battaglioni di lavoro", né furono smantellati gli arsenali bellici e altre installazioni militari. La denazificazione venne "attuata" tramite la distribuzione capillare di questionari zeppi di decine di domande. Una montagna di carta che nessuno controllò, ma che permise a molti attivisti e militanti nazisti di sfuggire alle proprie responsabilità ed alla giusta punizione. Oltre a ciò per determinate categorie di persone quali industriali, scienziati, specialisti dei vari settori economici ed anche alcuni militari, furono promulgate leggi "ad hoc" che li mantennero attivi in cariche e ruoli dirigenti, mentre dalle commissioni di denazificazione venivano estromessi gli antifascisti tedeschi e, soprattutto, i comunisti.
Sul piano economico i più importanti monopoli industriali quali Siemens, Krupp, ecc., rimasero sotto il diretto controllo dei capitalisti tedeschi che avevano dato il loro incondizionato appoggio a Hitler. Di fatto vennero solo attuati cambiamenti azionari e create nuove società fittizie che mantennero inalterato il controllo della proprietà ai vecchi padroni, così come praticamente intatta rimase la grande proprietà terriera. Con decisioni unilaterali ed arbitrarie dal punto di vista degli accordi internazionali gli inglesi assunsero il controllo diretto delle miniere e delle industrie della Ruhr, i francesi quello degli stabilimenti industriali nella regione della Saar, mentre gli Stati Uniti attraverso il "piano Marshall" puntarono al controllo economico e politico del paese.
Nella riunione dei ministri degli esteri delle quattro potenze svoltasi a Mosca nel 1947, ancora una volta Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia proposero lo smembramento della Germania. Molotov ribadì la totale contrarietà dell'Unione Sovietica a questa proposta e la volontà di Mosca di arrivare ad uno Stato autonomo ed unitario della Germania come unica soluzione in grado di soddisfare le legittime aspettative e le aspirazioni del popolo tedesco e creare le condizioni di una pace durevole. Molotov propose di far esprimere direttamente il popolo tedesco attraverso un plebiscito sulla forma istituzionale da dare alla Germania, ricevendo un netto rifiuto dai suoi interlocutori.
L'atteggiamento delle potenze capitalistiche era ormai chiaro. Nel dicembre 1946 USA e Gran Bretagna costituirono la cosiddetta "Bizona". Si procedette in pratica all'unificazione dei settori anglo-americano, sottraendoli al controllo del Comitato alleato. La "Bizona" assunse di fatto sotto il profilo economico, politico e istituzionale l'assetto di uno Stato autonomo, ormai isolato dal resto del paese.
L'URSS tentò ancora una volta di bloccare il piano di divisione della Germania. Alla fine del 1947 si svolse a Londra la riunione dei ministri degli esteri alleati, anche se questo termine alla luce degli atti e degli atteggiamenti concreti appariva ormai un termine assai improprio. In questa riunione l'Unione Sovietica propose nuovamente l'adozione di un programma concordato per la smilitarizzazione, la democratizzazione e la ricostruzione economica di tutta la Germania. Propose l'elezione di un governo tedesco democratico e unitario col quale giungere alla stipulazione del trattato di pace. Ma tutto fu inutile. Nel 1948 anche la zona tedesca controllata dalla Francia venne unita alla "Bizona". Nel giugno 1948 venne istituito il cosiddetto "Consiglio parlamentare" con la presidenza di Adenauer. I governi di Washington, Londra e Parigi lavorarono alacremente alla formazione del nuovo Stato. Nell'aprile 1949 approvarono lo "Statuto d'occupazione" della zona occidentale del paese col quale vennero "superati" gli accordi interalleati di Jalta, Potsdam, nonché quelli scaturiti dall'attività del Comitato di Controllo. Lo "Statuto d'occupazione" fu anche lo strumento attraverso il quale Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia esercitarono il loro diretto controllo sul governo tedesco della Repubblica Federale Tedesca, nata ufficialmente nel settembre 1949 e che sancì la separazione della Germania e del suo popolo.
Un mese dopo, nell'ottobre 1949, si costituì la Repubblica Democratica Tedesca il cui primo atto ufficiale fu l'invio a tutti i governi di una dichiarazione di fedeltà del governo di questo Stato agli accordi di Potsdam.


Capitolo 23
Il revisionismo moderno nemico giurato del socialismo


Divampa la "guerra fredda"

Subito dopo la fine della guerra, gli anglo-americani violarono dunque le decisioni unanimemente concordate dalle potenze alleate, svuotando d'ogni valore gli impegni e gli accordi scaturiti dalle Conferenze di Teheran, Jalta e Potsdam. Stracciare gli accordi internazionali era necessario all'imperialismo americano per imporre al mondo la propria volontà egemonica. Rendere concreta l'ambizione degli Stati Uniti al predominio mondiale significava subordinare agli interessi del capitale monopolistico americano il futuro sviluppo degli altri Stati capitalistici, diretti concorrenti degli USA nell'aspirazione al dominio imperialistico sul mondo.
Occorreva sfruttare appieno quindi, la situazione postbellica, l'estremo indebolimento della Germania, del Giappone e dell'Italia, il ridimensionamento del ruolo di grandi potenze subito da Francia e Inghilterra, la più o meno accentuata precarietà economica di tutti questi paesi che creava le condizioni necessarie per la penetrazione in essi del capitale americano, dell'influenza e del controllo politico americano.
Occorreva, inoltre, sferrare l'attacco contro il socialismo, contro cioè, la sola, vera alternativa in grado di arrestare e sconfiggere tutti i piani imperialistici di dominio internazionale. Questo significava innanzi tutto scagliarsi contro l'Unione Sovietica e bloccare la formazione e la crescita del socialismo negli altri paesi. Occorreva, infine, mettere un argine allo sviluppo dei movimenti di liberazione nazionale dei paesi coloniali.
La "guerra fredda" fu la strategia politica adottata dagli Stati Uniti d'America per imporre al mondo la propria egemonia imperialista. Una guerra combattuta con crescente aggressività sul piano militare, economico e ideologico. Alla stessa stregua di Hitler e dei suoi accoliti fascisti che dietro la maschera dell'anticomunismo calpestarono la dignità e la libertà di popoli e nazioni gettando, in modo ignobile e criminale, il mondo nel tragico vortice della guerra, gli imperialisti americani proposero se stessi come i salvatori del sistema capitalistico dal comunismo. Gli Stati Uniti tornarono ad agitare lo spettro della "minaccia comunista" per nascondere la loro volontà d'egemonia mondiale e serrare le file della reazione per poi scatenarle contro il socialismo, contro lo sviluppo potente del movimento operaio e delle forze democratiche e progressive del mondo intero.
Truman lanciò nel 1946 la sua dottrina di "contenimento del comunismo" che costituì la base ideologica della "guerra fredda". Una dottrina incentrata sulla forza militare. La supremazia, in questo campo, era assicurata dall'arma atomica di cui gli USA erano gli unici detentori.
Il bombardamento atomico su Hiroshima e Nagasaki nell'agosto 1945, non fu certo imposto da necessità militari in una guerra già vinta. Fu, invece, la brutale quanto criminale ostentazione della superiorità bellica americana tesa a spaventare e soggiogare il mondo. Quel bombardamento fu, di fatto, il primo, tragico atto della "guerra fredda".
Nel giugno 1947 gli USA annunciarono il "piano Marshall". Formalmente questo piano venne presentato come uno strumento d'aiuto per promuovere la ricostruzione economica dell'intera Europa dalle distruzioni della guerra e fu proposto a tutti i paesi europei dell'ovest e dell'est e alla stessa URSS. In realtà, sfruttando la debolezza del capitalismo europeo, gli Stati Uniti si preparavano ad assumere un ruolo di predominio nel campo capitalistico, ad unire sotto la propria guida gli Stati capitalistici d'Europa e a riportare nell'alveo del capitalismo i paesi europei dell'est che, con decisione, si stavano incamminando sulla strada dello sviluppo socialista.
Non a caso gli Stati Uniti subordinavano la concessione di aiuti alla creazione di un "comitato direttivo per l'Europa", uno strumento attraverso cui gli americani si arrogavano il diritto d'ingerenza nella vita economica e politica dei singoli Stati aderenti al piano. Ciò fu quanto emerse, e che l'URSS smascherò, nella conferenza di Parigi tra i ministri degli esteri di Francia, Gran Bretagna e Unione Sovietica svoltasi dal 27 giugno al 2 luglio 1947 proprio per discutere del "piano Marshall". In quell'occasione l'URSS propose la creazione di un "comitato di collaborazione" che preparasse un piano di aiuti basato sulle richieste dei singoli Stati Europei da discutere su un piano di parità e reciprocità con il governo americano. Proposta che venne respinta dalla Francia e dall'Inghilterra che agivano esclusivamente sulla base delle imposizioni dettate da Washington.
Il "piano Marshall" fu varato nell'aprile del 1948, dopo l'approvazione che ne diede il Congresso americano. Per i paesi europei occidentali che vi aderirono significò la compromissione della loro reale autonomia economica e politica. In particolare gli Stati Uniti, condizionarono lo sviluppo economico e politico dell'Europa occidentale subordinandolo al loro piano strategico aggressivo contro l'URSS ed i paesi di democrazia popolare. Nei paesi che aderirono al piano fu privilegiato lo sviluppo dell'industria bellica, fu impedito il commercio con l'URSS e i paesi dell'est di tutta una serie di merci che il governo americano definì di "interesse strategico", fino a giungere alla creazione di un vero e proprio blocco militare aggressivo.
Il 4 aprile 1949 veniva infatti firmato a Washington il "Patto Atlantico". Nasceva così la NATO, la stretta alleanza militare aggressiva tra gli Stati Uniti, il Canada, e gli Stati capitalistici d'Europa diretta principalmente contro l'URSS e il campo socialista. L'Unione Sovietica denunciò subito la NATO come l'espressione di un blocco militare aggressivo guidato dagli USA e diretto ad instaurare il predominio mondiale anglo-americano; un blocco militare aggressivo contrario allo statuto dell'ONU e nato in aperta violazione dei trattati precedentemente conclusi tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica.
Espressione diretta del bellicismo americano fu anche la smisurata crescita del riarmo negli Stati Uniti. Truman tra il 1945 e il 1950 destinò alle spese militari più risorse di quante ne avevano complessivamente utilizzate le amministrazioni succedutesi in un secolo e mezzo di storia americana prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Risorse utilizzate, tra l'altro, per costruire a ridosso dei confini sovietici, ma non solo, basi militari dotate di armamento atomico.
Il monopolio degli Stati Uniti sull'arma atomica fu spezzato dall'URSS nel settembre 1949. L'URSS fu costretta a dotarsi dell'armamento atomico a garanzia della propria sicurezza. Ma, fino al 1953, anno della morte di Stalin, l'Unione Sovietica non smise mai di tentare ogni possibile accordo con gli USA, e nell'intero consesso internazionale, non solo per l'interdizione, ma anche per la cessazione totale della produzione di armi atomiche.
In un'intervista alla "Pravda" rilasciata il 6 ottobre 1951, Stalin si espresse in questi termini riguardo all'arma atomica: "Le personalità americane non possono ignorare che l'Unione Sovietica è non soltanto contraria all'impiego dell'arma atomica, ma altresì favorevole alla sua interdizione e alla cessazione della sua produzione. Come è noto, l'Unione Sovietica ha più volte chiesto l'interdizione dell'arma atomica, ma ha incontrato ogni volta il rifiuto delle potenze del blocco atlantico. Ciò significa che nel caso di un attacco degli Stati Uniti contro il nostro paese i circoli governativi statunitensi impiegheranno la bomba atomica. È proprio questa circostanza che ha costretto l'Unione Sovietica ad avere l'arma atomica, al fine di affrontare gli aggressori pienamente preparata.
Certo, gli aggressori vogliono che l'Unione Sovietica sia disarmata in caso di un loro attacco contro di essa. L'Unione Sovietica però non è d'accordo su questo punto, e pensa che l'aggressore bisogna affrontarlo pienamente preparati.
Ne consegue che, se gli Stati Uniti non hanno intenzione di attaccare l'Unione Sovietica, l'allarme delle personalità americane deve essere considerato infondato e falso, poiché l'Unione Sovietica non intende attaccare né gli Stati Uniti né alcun altro paese.
Le personalità americane sono scontente perché il segreto della bomba atomica è posseduto non solo dagli Stati Uniti, ma anche da altri paesi, innanzitutto dall'Unione Sovietica. Esse vorrebbero che gli Stati Uniti avessero il monopolio della produzione della bomba atomica, vorrebbero che gli Stati Uniti avessero l'illimitata possibilità di intimidire e ricattare gli altri paesi. Ma quale fondamento e quale diritto essi hanno per pensare così? L'interesse del mantenimento della pace richiede, forse, un tale monopolio? Non sarebbe più esatto dire che le cose stanno proprio all'opposto e che proprio l'interesse del mantenimento della pace richiede anzitutto l'eliminazione di un tale monopolio e, poi, anche l'incondizionato divieto dell'arma atomica? Io penso che i fautori della bomba atomica possano accettare l'interdizione dell'arma atomica solo se vedono che non ne sono più i monopolisti...
L'Unione Sovietica è per l'interdizione dell'arma atomica e per la cessazione della produzione di tale arma. L'Unione Sovietica è per l'istituzione di un controllo internazionale, affinché la decisione di vietare l'arma atomica, di cessarne la produzione e di utilizzare le bombe atomiche già prodotte unicamente per scopi civili, sia attuata rigorosamente e coscienziosamente. L'Unione Sovietica è proprio per questo genere di controllo.
Le personalità americane parlano anch'esse di 'controllo', ma il loro 'controllo' presuppone non la cessazione della produzione dell'arma atomica, bensì la continuazione di una tale produzione in misura proporzionata alla quantità delle materie prime a disposizione dei singoli paesi. Pertanto il 'controllo' americano presuppone non già l'interdizione dell'arma atomica, ma la legalizzazione e la legittimazione di essa. Il base ad esso il diritto dei provocatori di guerra ad annientare mediante l'arma atomica decine e centinaia di migliaia di pacifici cittadini verrebbe legalizzato. Non è difficile comprendere che questo non è un controllo, ma una beffa di controllo, è un inganno alle pacifiche aspirazioni dei popoli. È chiaro che un simile controllo non può soddisfare i popoli amanti della pace i quali esigono l'interdizione dell'arma atomica e la cessazione della sua produzione".150


Il tradimento di Tito

Accanto alla pressione ideologica, accanto all'espansione del controllo economico, accanto alle nuove scelte strategiche militari che costituivano i tre aspetti intrinsecamente legati sui cui si sviluppava la "guerra fredda", l'aggressione dell'imperialismo contro l'URSS e il campo socialista si servì anche del revisionismo moderno, di quegli elementi, cioè, opportunisti e ostili segretamente al marxismo-leninismo che iniziarono la loro azione disgregatrice dall'interno dello stesso movimento comunista internazionale.
Il primo a smascherarsi, quale strumento dell'imperialismo, fu il rinnegato revisionista Tito che spinse la Jugoslavia a rompere con il campo socialista, tradendo così gli ideali della gloriosa lotta partigiana jugoslava contro il nazi-fascismo e le aspirazioni al socialismo della classe operaia e del popolo jugoslavi che ben presto furono sottomessi dal feroce regime poliziesco instaurato nel paese da Tito e dalla sua cricca opportunista.
Il Partito Comunista Jugoslavo - PCJ - era stato tra gli aderenti al Cominform, costituitosi nel 1947. Erano passati quattro anni da quando nel giugno 1943 si era sciolto il Comintern per decisione unanime di tutti i partiti comunisti ad esso aderenti. La III Internazionale, l'Internazionale Comunista, era nata dopo la fine della prima guerra mondiale con lo scopo essenziale di favorire i collegamenti tra i neocostituiti e ancora deboli partiti comunisti, di consolidare i legami allora inesistenti tra le classi operaie dei diversi paesi e di contribuire alla formazione dei dirigenti espressi e riconosciuti dal movimento operaio internazionale. Questa funzione fu portata a termine positivamente. Nel corso degli anni di attività dell'Internazionale Comunista, infatti, si è consolidato il legame del movimento operaio internazionale, la sua capacità di elaborazione teorica, la crescita e l'influenza dei singoli partiti comunisti nei rispettivi paesi. Ciò, esaurì di fatto la funzione del Comintern che fu sciolto, come detto, nel giugno 1943 facendo anche piazza pulita di tutte le calunnie e le falsità secondo le quali l'Internazionale Comunista non era nient'altro che uno strumento d'ingerenza dell'URSS nella vita politica di altri Stati sovrani.
Negli anni immediatamente successivi allo scioglimento del Comintern i partiti comunisti dei diversi paesi aumentarono ulteriormente la loro influenza in molti paesi dell'Europa e dell'Asia. Assunsero un ruolo dirigente nei paesi dell'Europa dell'est dando vita alla costruzione degli Stati di democrazia popolare, ma si rafforzarono anche negli Stati che avevano subito il pesante fardello del dominio fascista e dell'occupazione nazista tedesca. Accanto a questi aspetti positivi ne emersero, tuttavia, altri negativi che evidenziarono carenze, dovute in parte alla mancanza di informazioni sulle attività nei singoli paesi ed anche all'assenza di un efficace coordinamento nella risposta all'attacco aggressivo che andava sviluppandosi a livello internazionale con la "guerra fredda".
Mentre le forze borghesi e socialdemocratiche si compattavano e mettevano in piedi le loro strutture di collegamento - si pensi alla ricostituzione, ad esempio, dell'Internazionale socialista - i comunisti dei diversi paesi evitavano perfino d'incontrarsi per non rinfocolare le ipocrite e menzognere asserzioni propagandistiche di queste forze circa il presunto assoggettamento ai voleri dell'URSS.
Proprio per ovviare a questi aspetti negativi e a queste carenze fu decisa la creazione del Cominform, l'Ufficio d'Informazione composto dai rappresentanti di nove partiti comunisti dell'Europa e, segnatamente, i partiti comunisti di Bulgaria, Cecoslovacchia, Francia, Italia, Jugoslavia, Polonia, Romania, Ungheria e Unione Sovietica. La prima Conferenza del Cominform si tenne in Polonia nel settembre del 1947. Non solo, dunque, il PCJ fu tra gli aderenti al Cominform, ma la capitale jugoslava, Belgrado, divenne la sede della sua attività e della redazione del suo organo d'informazione, il periodico "Per una pace stabile, per una democrazia popolare". Era questo il segno della considerazione e del rispetto di cui godevano gli jugoslavi all'interno del movimento operaio internazionale. Ciò non fece che accrescere lo sconcerto per le posizioni e le azioni assunte ed intraprese dai dirigenti revisionisti jugoslavi. Posizioni ed azioni che evidenziarono un distacco marcato dalla teoria marxista-leninista, dalla pratica e concreta costruzione del socialismo nell'economia e nella società jugoslave e che si espressero attraverso una serie crescente di attacchi sibillini e striscianti soprattutto contro Stalin e l'Unione Sovietica e la riproposizione dietro un'altisonante fraseologia di sinistra di vecchie concezioni nazionalistiche-borghesi e trotzkiste. Azioni che manifestarono un antisovietismo del tutto simile, nelle forme e nei contenuti a quello espresso dai peggiori reazionari.
Quali furono nel concreto queste azioni? Innanzi tutto il crescere di un'attività ostile e denigratoria sia nei confronti dei consiglieri militari sovietici, sia degli specialisti sovietici presenti in Jugoslavia. Contro di loro iniziò una vera e propria campagna offensiva e diffamatoria. Contemporaneamente fu posta alla loro attività una serie di limitazioni fino ad arrivare alla sorveglianza da parte degli organi della "sicurezza statale" jugoslava, sorveglianza a cui fu sottoposto perfino il rappresentante del PC(b) dell'URSS nel Cominform, Judin. Tutto questo provocò una situazione chiaramente insostenibile ed invivibile per il personale civile e militare sovietico che, è bene ricordare, si trovava in Jugoslavia in base a precise richieste avanzate dal governo di quel paese e non certo imposte ad esso da Mosca.
Il 18 e 19 marzo del 1948 l'Unione Sovietica decise di porre termine a tale situazione richiamando in patria il proprio personale militare e civile che si trovava in Jugoslavia, motivando questa decisione alle autorità jugoslave, appunto con l'ostilità e la denigrazione di cui erano oggetto. Peraltro il governo sovietico non rese di pubblico dominio questa decisione, manifestando, con questo suo comportamento, la volontà e l'auspicio di risolvere positivamente i problemi che stavano evidenziandosi nel rapporto fra i due partiti e i due paesi.
Tito cercò di giustificare gli atteggiamenti contro i consiglieri militari sovietici come manifestazioni causate dalla diversità esistente nel trattamento economico dei militari sovietici rispetto a quelli jugoslavi, e dalla difficoltà a reperire i fondi necessari al pagamento di questi loro stipendi. Argomentazione questa, del tutto pretestuosa e respinta dal governo di Mosca. "È possibile - afferma il CC del PC(b) dell'URSS nella sua lettera del 4 maggio 1948 diretta a Tito, Kardelj e al CC del PCJ - che le spese per i generali sovietici in Jugoslavia siano gravi per il bilancio jugoslavo ma in questo caso il governo jugoslavo avrebbe dovuto rivolgersi tempestivamente al governo sovietico e proporre che esso si assumesse parte delle spese. Certamente il governo sovietico avrebbe acconsentito. Invece gli jugoslavi hanno seguito un'altra via: in luogo della soluzione amichevole di questa questione essi hanno cominciato a svergognare i nostri consiglieri militari, a definirli fannulloni, a screditare l'Armata Sovietica. Il governo jugoslavo si è rivolto al governo sovietico solo dopo che attorno ai consiglieri militari sovietici si era formata una atmosfera di inimicizia. È comprensibile che il governo sovietico non potesse essere d'accordo con una simile situazione".151
Oltre alle questioni relative ai consiglieri militari e agli specialisti civili in Jugoslavia, altre e più gravi questioni dimostravano i reali propositi di Tito e della maggioranza dei dirigenti jugoslavi. Questioni che i bolscevichi sovietici esternarono in maniera diretta e franca al PCJ in uno scambio epistolare svoltosi tra il marzo e il maggio del 1948. Tali questioni riguardavano, tra l'altro, il trattamento riservato all'ambasciatore sovietico in Jugoslavia, le critiche jugoslave circa lo "snaturamento" del PC(b), lo "sciovinismo" dell'URSS, il tentativo di "controllo" sovietico sui partiti fratelli attraverso il Cominform.
Si legge nella già citata lettera del 4 maggio 1948 del CC del PC(b) al CC del PCJ: "Riguardo l'ambasciatore sovietico in Jugoslavia e lo Stato sovietico. Nella loro lettera del 13 aprile 1948, i compagni Tito e Kardelj scrivono: 'Noi riteniamo che egli (l'ambasciatore sovietico) non abbia, quale ambasciatore, il diritto di domandare a chicchessia relazioni sul lavoro del nostro Partito. Non è questo il suo lavoro'. Noi riteniamo che questa affermazione dei compagni Tito e Kardelj sia fondamentalmente errata, antisovietica. Come si vede, essi identificano l'ambasciatore sovietico, comunista responsabile, che rappresenta in Jugoslavia il governo comunista dell'URSS presso il governo comunista jugoslavo, con un qualunque ambasciatore borghese, con un qualunque impiegato dello Stato borghese, il cui compito è di minare le fondamenta dello Stato jugoslavo...
A titolo di informazione dei compagni Tito e Kardelj bisogna dir loro che, contrariamente allo schema jugoslavo, noi non consideriamo l'ambasciatore jugoslavo a Mosca quale semplice impiegato, non lo identifichiamo con gli inviati borghesi e non gli neghiamo 'il diritto di chiedere a chicchessia relazioni sul lavoro del nostro Partito'. Diventando ambasciatore, egli non ha cessato di essere comunista. E noi ci comportiamo nei suoi confronti come verso un compagno e un lavoratore comunista. Egli ha conoscenti e amici tra gli uomini sovietici. 'Raccoglie' egli dati sul lavoro del nostro Partito? Verosimilmente sì. E li 'raccolga' pure. Noi non abbiamo motivi per nascondere ai compagni le deficienze del nostro lavoro. Noi stessi le individuiamo per poterle liquidare.
Noi riteniamo che un simile atteggiamento da parte dei compagni jugoslavi nei confronti dell'ambasciatore sovietico non può venir considerato casuale. Esso deriva dalla posizione generale del governo jugoslavo, posizione per cui spesso i dirigenti jugoslavi non fanno differenza fra la politica estera dell'URSS e la politica estera degli anglo-americani, identificando la politica estera sovietica con la politica estera degli inglesi e americani, e ritengono che la Jugoslavia debba fare, nei confronti dell'Unione Sovietica, quella stessa politica che essa fa nei confronti degli Stati imperialisti, la Gran Bretagna e gli USA. È, in questo senso, stranamente caratteristico il discorso tenuto dal compagno Tito a Lubiana, alla fine del maggio 1945, nel quale dichiarava: 'Si è detto che questa guerra è una guerra giusta e noi l'abbiamo ritenuta tale. Ma noi domandiamo anche una giusta fine, noi chiediamo che ciascuno sia padrone nel suo; noi non vogliamo pagare i conti altrui, noi non vogliamo essere moneta di pagamento; noi non vogliamo che ci si immischi in una qualche politica di sfere di interessi'. Ciò veniva detto in relazione al problema di Trieste. Come è noto, dopo una serie di concessioni territoriali a favore della Jugoslavia strappate dall'Unione Sovietica agli anglo-americani, questi, insieme con i francesi, hanno respinto la proposta dell'URSS di consegnare Trieste alla Jugoslavia e si sono impossessati della città con le loro truppe che si trovavano in Italia. Dopo che tutti gli altri mezzi erano stati esauriti, all'Unione Sovietica, per far consegnare Trieste alla Jugoslavia, non rimaneva nient'altro che iniziare una guerra con gli anglo-americani per Trieste e per conquistarla con la forza. Ai compagni jugoslavi doveva essere noto che l'URSS, dopo una guerra così dura, non poteva entrare in una nuova guerra. Ciò nonostante questo caso ha provocato il malcontento dei compagni jugoslavi, cosa che si è riflessa anche nel discorso del compagno Tito.
La dichiarazione del compagno Tito a Lubiana, che la Jugoslavia 'non vuole pagare i conti altrui' e non vuole diventare moneta di pagamento, di non volere che la Jugoslavia 'venga immischiata in una politica di sfere di interessi', era diretta non solo contro gli Stati imperialisti ma anche contro l'URSS. In questo caso l'atteggiamento del compagno Tito verso l'URSS, nel fatto determinato, non si è differenziato per niente dal suo atteggiamento verso gli Stati imperialisti, perché non ha riconosciuto qui la differenza fra l'URSS e gli Stati imperialisti. Noi vediamo in questa posizione antisovietica del compagno Tito, che non ha incontrato resistenza da parte dell'Ufficio politico del CC del PCJ, la base della propaganda calunniosa dei dirigenti del PCJ (che si fa in un cerchio ristretto di quadri jugoslavi di Partito) sulla 'degenerazione' dell'URSS in Stato imperialista che 'cerca di conquistare economicamente la Jugoslavia', la base della campagna calunniosa dei dirigenti del PCJ sulla 'degenerazione' del PC(b) dell'URSS, che cerca di 'conquistare, tramite l'Ufficio di Informazione, gli altri partiti' e che 'il socialismo nell'URSS ha cessato di essere rivoluzionario'.
Il governo sovietico è stato costretto, a suo tempo, ad attirare l'attenzione del governo jugoslavo sull'intollerabilità di una simile dichiarazione del compagno Tito... Proprio da questa posizione antisovietica del compagno Tito nei confronti dello Stato sovietico proviene l'atteggiamento dei dirigenti jugoslavi nei confronti dell'ambasciatore sovietico, atteggiamento che identifica l'ambasciatore sovietico in Jugoslavia con gli inviati borghesi. I dirigenti jugoslavi pensano evidentemente di rimanere anche in seguito su queste posizioni antisovietiche. Ma i compagni jugoslavi devono sapere che rimanere su queste posizioni significa seguire la via della negazione dei rapporti amichevoli con l'Unione Sovietica, la via del tradimento del fronte unico socialista dell'Unione Sovietica e delle Repubbliche democratiche popolari. Essi devono pure prendere in considerazione il fatto che, rimanendo su queste posizioni, si privano del diritto di richiedere aiuto materiale o di altra specie all'Unione Sovietica, poiché l'Unione Sovietica deve porgere aiuto solo agli amici".152
Oltre a ciò il Partito bolscevico esternò al CC del PCJ la propria preoccupazione per la situazione politico-organizzativa in cui si trovava il PCJ e nella quale veniva lasciato dalla sua dirigenza. Situazione drammaticamente espressa dalla mancanza di pubblicizzazione nel paese dell'attività del PCJ, dall'esistenza di un CC che nella sua maggioranza era cooptato e non eletto, dalla mancanza di una vita democratica all'interno del partito e dalla totale assenza della pratica concreta della critica e dell'autocritica, dall'inammissibile controllo esercitato sul partito dal ministero della sicurezza statale, nonché dall'affievolimento della politica della lotta di classe.
Infine, il PC(b) si dichiarò assai preoccupato per la presenza e la permanenza nell'apparato del ministero degli Affari esteri jugoslavo del signor Velebit e di altri personaggi sospettati di essere spie inglesi. A questo proposito nella lettera inviata dal CC bolscevico al CC del PCJ del 4 maggio 1948 si afferma: "Su Velebit e le altre spie nell'apparato del ministero degli Affari esteri di Jugoslavia. Inesatta è la dichiarazione dei compagni Tito e Kardelj che i compagni Kardelj e Djilas, in occasione del loro incontro con il compagno Molotov, si siano limitati, nei loro dubbi circa Velebit, solo all'osservazione che non è loro 'tutto chiaro su Velebit'. In effetti, nella loro conversazione con il compagno Molotov si è detto che si sospetta Velebit di essere una spia inglese. È molto strano che i compagni Tito e Kardelj identifichino l'espulsione di Velebit dall'apparato del ministero degli Affari esteri con la sua rovina. Perché non si può eliminare Velebit dall'apparato del ministero degli Affari esteri senza rovinarlo? Strana è pure la dichiarazione dei compagni Tito e Kardelj sui motivi per i quali Velebit viene mantenuto nelle funzioni di primo aiutante del ministro degli Affari esteri: sembra che Velebit non sia stato tolto dalle funzioni di primo aiutante del ministro degli Affari esteri perché si trova sotto inchiesta.
Non sarebbe forse più giusto togliere a Velebit la menzionata funzione proprio perché si trova sotto inchiesta? Donde questa delicatezza nei confronti di una spia inglese che nutre, inoltre, inconciliabile inimicizia per l'Unione Sovietica? Ma Velebit non è la sola spia nell'apparato del ministero degli Affari esteri. I rappresentanti sovietici hanno parlato più volte ai dirigenti jugoslavi dell'inviato jugoslavo a Londra, Leontic', come di una spia inglese. Non è chiaro il motivo per il quale questa patentata spia inglese sia rimasta finora nell'apparato del ministero degli Affari esteri di Jugoslavia.
Al governo sovietico è noto che lo spionaggio inglese, oltre che da Leontic', è servito da altri tre collaboratori dell'Ambasciata jugoslava a Londra, i cui cognomi non sono ancora identificati. Il governo sovietico si assume piena responsabilità di questa dichiarazione. È parimenti incomprensibile perché l'inviato degli USA a Belgrado si comporti in Jugoslavia come in casa sua e perché i suoi 'informatori', il cui numero va aumentando, circolino in libertà. Incomprensibile è anche che gli amici e i parenti del carnefice dei popoli jugoslavi, Nedic', si siano sistemati, così facilmente e comodamente, nell'apparato dello Stato e del Partito della Jugoslavia.
È chiaro che il governo sovietico, se il governo jugoslavo sarà testardo nel non dimostrare il desiderio di ripulire l'apparato del ministero degli Affari esteri dalle spie, sarà costretto ad astenersi dal corrispondere apertamente col governo jugoslavo tramite il ministero degli Affari esteri di Jugoslavia".153
La questioni poste dal PC(b) dell'URSS così come le sue critiche erano, come si vede, precise e documentate. Ma l'atteggiamento assunto da Tito di fronte ad esse fu non sincero e arrogante. Egli non lesinò roboanti affermazioni circa la fedeltà al marxismo-leninismo, la fiducia e i sentimenti di profonda amicizia con l'URSS e il PC(b), ma, nel concreto, anziché affrontare le questioni, le negò. Non solo. All'interno del PCJ attuò uno stretto giro di vite repressivo, sbarazzandosi di tutti gli oppositori. Il 19 aprile del 1948 il CC del PCJ espulse Hebrang e Zujovic dagli organi dirigenti del partito. Alcuni giorni dopo, i due, furono arrestati. La stessa sorte subiranno, nei mesi successivi, migliaia di sinceri comunisti jugoslavi.
Questo clima portò a un ulteriore aggravamento dei rapporti tra il PC(b) dell'URSS e il PCJ. Fu a questo punto che il PC(b) informò della situazione creatasi i Comitati Centrali dei partiti comunisti aderenti al Cominform, proponendo che la questione fosse discussa dall'Ufficio di Informazione. Tito e Kardelj per conto del CC del PCJ rifiutarono la proposta. Il 17 maggio 1948 scrissero a Stalin e Molotov: "Noi non rifuggiamo dall'essere criticati in questioni di principio ma in questa questione ci sentiamo messi in una tale condizione di inferiorità che ci è impossibile accettare in questo momento di risolvere questa questione innanzi al Cominform".154
Il 28 giugno 1948 il Cominform decretò l'espulsione del PCJ dalle sue file. Nella Risoluzione in otto punti approvata all'unanimità si affermava: "L'Ufficio Informazioni, composto dai rappresentanti del Partito operaio (comunista) bulgaro, del Partito operaio rumeno, del Partito dei lavoratori ungherese, del Partito comunista (bolscevico), del Partito comunista francese, del Partito comunista della Cecoslovacchia, del Partito comunista italiano, del Partito operaio polacco; dopo aver discusso la situazione esistente nel Partito comunista della Jugoslavia ed aver constatato che i rappresentanti del Partito comunista della Jugoslavia si sono rifiutati di prendere parte alla sessione dell'Ufficio Informazioni, ha votato all'unanimità la seguente risoluzione:

1. L'Ufficio Informazioni constata che la direzione del Partito comunista della Jugoslavia conduce negli ultimi tempi, nelle questioni fondamentali della politica estera e interna, una linea sbagliata che si traduce nella deviazione dal marxismo-leninismo. In relazione a ciò l'Ufficio Informazioni approva l'atteggiamento del CC del PC(b), il quale ha preso l'iniziativa di smascherare la politica sbagliata del CC del PC della Jugoslavia e, innanzitutto, la politica sbagliata dei compagni Tito, Kardelj, Djilas e Rankovic'.
2. L'Ufficio Informazioni constata che i dirigenti del PCJ conducono una politica ostile nei confronti dell'Unione Sovietica e del PC(b). In Jugoslavia viene tollerata una indegna politica di diffamazione degli specialisti militari sovietici e di discredito dell'Armata Sovietica. Per i cittadini sovietici specialisti in Jugoslavia era stato creato un regime speciale, in base al quale essi erano stati posti sotto il controllo degli organi della Sicurezza di Stato della Jugoslavia e pedinati. Sono stati oggetto di pedinamento e di controllo da parte della Sicurezza di Stato Jugoslava anche il rappresentante del PC(b) nell'Ufficio Informazioni, compagno Judin, e vari altri rappresentanti ufficiali dell'URSS in Jugoslavia.
Tutti questi fatti e altri analoghi dimostrano che i dirigenti del PCJ hanno assunto un atteggiamento indegno di comunisti e su questa base i dirigenti jugoslavi hanno cominciato a immedesimare la politica estera dell'URSS con la politica delle potenze imperialiste, comportandosi nei confronti dell'URSS alla stessa maniera come verso gli Stati borghesi.
Proprio in seguito a queste posizioni antisovietiche, adottate dal Comitato centrale del PCJ, si è diffusa una propaganda calunniosa, presa a prestito dall'arsenale del trotzkismo controrivoluzionario, sulla 'degenerazione' del PC(b), sulla 'degenerazione' dell'URSS eccetera. L'Ufficio Informazioni condanna queste concezioni antisovietiche dei dirigenti del PCJ poiché sono inconciliabili con il marxismo-leninismo e si addicono unicamente a dei nazionalisti.
3. Nella loro politica interna i dirigenti del PCJ abbandonano le posizioni della classe operaia e rompono i ponti con la teoria marxista delle classi e della lotta di classe. Essi negano il fatto che nel loro paese crescono gli elementi capitalisti e che in conseguenza di ciò si inasprisce la lotta di classe nelle campagne jugoslave. Questa negazione scaturisce dal punto di vista opportunistico secondo il quale - contrariamente all'insegnamento del marxismo-leninismo - nel periodo di transizione dal capitalismo al socialismo la lotta di classe non si inasprisce, bensì si estingue, come affermarono gli opportunisti tipo Bukharin i quali predicavano la teoria del pacifico inserimento del capitalismo nel socialismo.
I dirigenti jugoslavi conducono una politica sbagliata nelle campagne, ignorando la differenziazione di classe nelle campagne e considerando i cittadini individuali come un qualcosa di unitario, nonostante l'insegnamento marxista-leninista sulle classi e la lotta di classe, nonostante il noto insegnamento di Lenin che la piccola proprietà privata produce il capitalismo e la borghesia in continuazione, giorno per giorno, ora per ora, spontaneamente e in dimensioni di massa.
Purtroppo la situazione politica nelle campagne jugoslave non dà alcun diritto di essere compiaciuti e tranquilli. Nelle condizioni della Jugoslavia, dove predomina la proprietà contadina, non esiste la nazionalizzazione della terra, esistono la proprietà privata della terra e il sistema di compravendita della terra, dove notevoli possedimenti terrieri sono concentrati nelle mani dei kulaki, si applica il lavoro salariato eccetera, il Partito non può essere educato nello spirito dell'attenuazione della lotta di classe e della conciliazione delle contraddizioni di classe senza rimanere, con ciò stesso, disarmato di fronte alle difficoltà della edificazione socialista.
I dirigenti del PCJ deviano dalla strada marxista-leninista e imboccano la strada di un partito populista di kulaki nella questione del ruolo dirigente della classe operaia; infatti essi affermano che i contadini 'sono la più solida base dello Stato jugoslavo'. Lenin insegna che il proletariato, quale unica classe rivoluzionaria fino in fondo nella società contemporanea, 'deve essere la guida egemone nella lotta di tutto il popolo per la completa trasformazione democratica, nella lotta di tutti i lavoratori e degli sfruttati contro gli oppressori e gli sfruttatori'. I dirigenti jugoslavi violano questo principio del marxismo-leninismo. Per quanto riguarda i contadini, la loro maggioranza, e cioè i contadini poveri e medi, possono allearsi o sono già alleati, alla classe operaia ma in questa alleanza la direzione rimane a quest'ultima. La concezione dei dirigenti jugoslavi viola questi presupposti del marxismo-leninismo. Come si vede, questa concezione esprime punti di vista che si addicono a dei nazionalisti piccolo-borghesi e non a dei marxisti-leninisti.
4. L'Ufficio di Informazione ritiene che la direzione del PCJ attua una revisione dell'insegnamento marxista-leninista sul Partito. Secondo la teoria del marxismo-leninismo il Partito è la forza fondamentale che dirige e indirizza le forze del paese, la forza che ha un proprio speciale programma e non si diluisce nella massa dei senza-partito. Il Partito è la più alta forma organizzativa e l'arma più importante della classe operaia. In Jugoslavia, invece, non viene considerata forza dirigente fondamentale del paese il Partito comunista, bensì il Fronte popolare. I dirigenti jugoslavi sminuiscono il ruolo del Partito comunista, diluiscono di fatto il Partito nel Fronte popolare apartitico che comprende elementi di classi eterogenee (operai, piccoli contadini, lavoratori in proprio, contadini ricchi, commercianti, proprietari di piccole fabbriche, intellettuali borghesi), nonché svariati gruppi politici, ivi compresi alcuni gruppi borghesi...
È un fatto che sulla scena politica jugoslava si presenta solo il Fronte popolare, mentre il Partito e le sue organizzazioni non si mostrano apertamente e non si presentano in proprio... di fronte al popolo; e ciò non soltanto sminuisce il ruolo del Partito nella vita politica del paese ma mina il Partito stesso quale forza politica autonoma chiamata a conquistarsi la fiducia sempre più larga delle masse popolari e ad abbracciare, con la sua influenza, strati sempre più vasti del popolo lavoratore attraverso un'aperta attività politica, un'aperta propaganda delle sue posizioni e del suo programma.
L'Ufficio Informazioni ritiene che tale politica del CC del PCJ minaccia l'esistenza stessa del PCJ e, alla fin fine, nasconde in sé il pericolo di snaturare la Repubblica popolare jugoslava.
5. L'Ufficio Informazioni è del parere che il regime burocratico creato in seno al Partito dai dirigenti jugoslavi è dannoso per la vita e lo sviluppo del PCJ. Nel Partito manca la democrazia interna di partito, mancano la critica e l'autocritica. Il CC del PCJ, nonostante le vuote assicurazioni dei compagni Tito e Kardelj, è composto in maggioranza non da membri eletti ma cooptati. Il Partito comunista si trova, di fatto, in una situazione semilegale. Le riunioni di Partito non si tengono oppure si tengono in segreto e questo indebolisce l'influenza del Partito sulle masse. Tale tipo di organizzazione del PCJ non può essere definito altrimenti che settario-burocratico. Esso conduce alla liquidazione del Partito quale organismo autonomo attivo. Nel Partito si coltivano metodi militari di direzione, simili ai metodi che instaurò a suo tempo Trotzki. È completamente inammissibile che nel PCJ vengano calpestati i più elementari diritti dei membri del Partito e che, anche alla più lieve critica delle deficienze esistenti nel Partito, si reagisca con feroci rappresaglie.
L'Ufficio Informazioni considera vergognosi episodi quali l'espulsione dal Partito e l'arresto dei membri del CC del PCJ, compagni Zujovic' e Hebrang, per essersi permessi di criticare le concezioni antisovietiche dei dirigenti del PCJ e per essersi dichiarati a favore dell'amicizia della Jugoslavia con l'URSS...
6. L'Ufficio Informazioni è dell'opinione che la critica mossa al CC del PCJ dal parte del CC del PC(b) sovietico e dai Comitati centrali degli altri Partiti comunisti, nonché il fraterno aiuto offerto da essi al Partito comunista della Jugoslavia, offrano ai suoi dirigenti tutte le condizioni necessarie per una rapida eliminazione degli errori commessi. Purtroppo i dirigenti del PCJ, affetti da smisurata ambizione, da superbia e da presunzione, invece di accettare onestamente questa critica e di avviarsi sulla strada della correzione degli errori con spirito bolscevico, hanno reagito alla critica con animosità, hanno assunto nei suoi confronti un atteggiamento ostile, hanno imboccato la via antipartito della negazione in blocco dei propri errori, trasgredendo l'insegnamento marxista-leninista sul modo di comportarsi di un partito politico verso i propri errori e con ciò hanno aggravato i loro errori contro il Partito.
Impotenti di fronte alla critica del PC(b) sovietico e dei Comitati centrali degli altri Partiti fratelli, i dirigenti jugoslavi hanno imboccato la strada dell'inganno diretto del proprio Partito e del popolo, hanno tenuto nascosta al Partito comunista della Jugoslavia la critica mossa alla politica sbagliata del Comitato centrale, tenendo inoltre nascosti al Partito e al popolo i reali motivi della resa dei conti con i compagni Zujovic' e Hebrang.
Negli ultimi tempi, in seguito alla critica degli errori dei dirigenti jugoslavi fatta dal CC del PC(b) sovietico e dai Partiti fratelli, i dirigenti jugoslavi hanno tentato di decretare una serie di nuovi provvedimenti legislativi di sinistra.
In gran fretta i dirigenti jugoslavi hanno varato nuovi provvedimenti legislativi per la normalizzazione della piccola industria e del piccolo commercio, per la cui attuazione non è stato fatto alcun preparativo e che, data la fretta, possono unicamente aggravare la situazione del settore degli approvvigionamenti della popolazione jugoslava.
Con la stessa fretta essi hanno imposto ai contadini una nuova legge sulla tassa sul grano; anche a questa legge è mancata la preparazione e perciò essa potrà unicamente disorganizzare l'approvvigionamento della popolazione urbana in fatto di cereali. Infine i dirigenti jugoslavi, in modo completamente inatteso e con rumorose dichiarazioni verbali, hanno recentemente proclamato il loro amore e la loro fedeltà all'URSS sebbene sia ben noto che, fino ad oggi, nella prassi, è stata condotta una politica ostile nei confronti dell'URSS. E non basta.
I dirigenti del PCJ vanno annunciando negli ultimi tempi, con grande sicurezza di sé, una politica di liquidazione degli elementi capitalistici in Jugoslavia. Nella lettera inviata al CC del PC(b) sovietico, il 13 aprile di quest'anno, Tito e Kardelj scrivono che 'il Plenum del CC ha approvato misure, proposte dal Politburo del CC, che si prefiggono di liquidare residui capitalistici nel paese'. In armonia con tale concezione Kardelj ha dichiarato, nel suo discorso all'Assemblea nazionale della RPFJ del 25 aprile: 'Nel nostro paese i giorni sono contati per tutti i residui del sistema di sfruttamento dell'uomo sull'uomo'.
Siffatto orientamento dei dirigenti del PCJ sulla liquidazione degli elementi capitalistici nelle attuali condizioni della Jugoslavia e quindi sulla liquidazione dei contadini ricchi (kulaki) quale classe, non può essere altrimenti definito che come avventuristico, antimarxista. Infatti tale problema non può essere risolto dal momento che nel paese predomina la proprietà individuale contadina, la quale inevitabilmente produce il capitalismo; non può essere risolto fino a quando non saranno state create le condizioni per la collettivizzazione in massa dell'agricoltura e fino a quando la maggioranza dei contadini lavoratori non si convincerà dei benefici del sistema collettivizzato dell'economia.
L'esperienza del PC(b) sovietico testimonia che soltanto sulla base della collettivizzazione in massa dell'agricoltura è possibile la liquidazione dell'ultima e più numerosa classe sfruttatrice, la classe dei kulaki e che la liquidazione dei kulaki come classe è parte inscindibile e organica della collettivizzazione dell'agricoltura.
Per poter attuare con successo la liquidazione dei kulaki come classe, e quindi anche la liquidazione degli elementi capitalistici nelle campagne, il Partito ha il dovere di compiere in precedenza un lungo lavoro preparatorio per la limitazione degli elementi capitalistici nelle campagne, per il rafforzamento dell'alleanza della classe operaia e dei contadini sotto la guida della classe operaia, per sviluppare l'industria socialista e metterla in grado di organizzare la produzione delle macchine necessarie alla conduzione di un'agricoltura collettivizzata. La fretta, in queste cose, può provocare soltanto danni irreparabili. Solo sulla base di tali provvedimenti, accuratamente preparati e conseguentemente attuati, è possibile il passaggio dalla fase della limitazione degli elementi capitalistici nelle campagne alla fase della loro liquidazione. Qualsiasi tentativo dei dirigenti jugoslavi di risolvere tale questione in fretta e con decreti stilati in ufficio significa o l'avventura a priori condannata al fallimento oppure un vuoto pavoneggiarsi in fumose dichiarazioni demagogiche.
L'Ufficio Informazioni è del parere che, con tale tattica sbagliata e demagogica, i dirigenti jugoslavi intendono dimostrare non soltanto di non stare sul terreno della lotta di classe ma di andare oltre le richieste che si possono fare al Partito comunista jugoslavo nel settore della limitazione degli elementi capitalistici dal punto di vista delle possibilità reali. L'Ufficio Informazioni è del parere che siffatti decreti e siffatte dichiarazioni di sinistra dei dirigenti jugoslavi sono a tal punto demagogici, e nel momento attuale irrealizzabili, da potere unicamente compromettere la bandiera dell'edificazione socialista della Jugoslavia. Perciò l'Ufficio Informazioni valuta tale tattica avventuristica come una manovra indegna e un gioco politico inammissibile. Come si vede, le citate misure e dichiarazioni demagogiche di sinistra dei dirigenti jugoslavi tendono a mascherare il loro rifiuto di ammettere i propri errori e di ripararli onorevolmente.
7. Considerata la situazione venuta a crearsi nel PCJ e nel tentativo di fornire ai dirigenti del PCJ la possibilità di uscire da questa situazione, il CC del PC(b) sovietico e gli altri Comitati centrali dei Partiti fratelli avevano proposto che alla sessione dell'Ufficio Informazioni venisse esaminata la situazione del PCJ sulla base degli stessi normali principi di partito applicati per l'esame dei lavori degli altri Partiti comunisti nella prima riunione dell'Ufficio Informazioni. Invece, alle ripetute proposte dei Partiti comunisti fratelli di discutere la situazione del PCJ nell'Ufficio Informazioni, i dirigenti jugoslavi hanno opposto un rifiuto. Nello sforzo di sfuggire alla giusta critica dei Partiti fratelli dell'Ufficio Informazioni, i dirigenti jugoslavi hanno inventato la tesi secondo la quale sarebbero venuti a trovarsi in 'una posizione di ineguaglianza'. Va detto che in questa tesi non c'è una sola briciola di verità. È a tutti noto che i Partiti comunisti, mettendo in piedi l'Ufficio Informazioni, sono partiti dal principio inoppugnabile che ciascun Partito ha diritto di criticare gli altri Partiti...
8. Tenuto presente quanto è stato fin qui esposto, l'Ufficio Informazioni concorda con la valutazione della situazione nel PCJ, con la critica degli errori del CC del PCJ e con l'analisi politica di questi errori come sono esposti nelle lettere inviate dal CC del PC(b) sovietico al CC del PCJ, dal marzo al maggio 1948.
L'Ufficio Informazioni è giunto alla unanime conclusione che i dirigenti del PCJ, con i loro punti di vista antipartito e antisovietici inconciliabili con il marxismo-leninismo, con tutto il loro modo di agire e con il loro rifiuto di partecipare alla sessione dell'Ufficio Informazioni, si sono opposti ai Partiti comunisti che fanno parte dell'Ufficio Informazioni, hanno imboccato la via del tradimento della solidarietà internazionale del popolo lavoratore e la via del passaggio sulle posizioni del nazionalismo.
L'Ufficio Informazioni condanna questa politica antipartito e l'atteggiamento del CC del PCJ. L'Ufficio Informazioni constata che, in seguito a quanto esposto, il CC del PCJ si è autoespulso e ha espulso il Partito comunista della Jugoslavia dalla famiglia dei Partiti comunisti fratelli, dal fronte unitario comunista e, pertanto, dalle fila dell'Ufficio Informazioni.
L'Ufficio Informazioni è del parere che, alla base di tutti questi errori dei dirigenti del PCJ, sta l'innegabile fatto che nella direzione del PCJ hanno prevalso apertamente, negli ultimi cinque o sei mesi, gli elementi nazionalisti che vi si trovavano già prima mascherati, che la direzione del PCJ ha rotto i ponti con le tradizioni internazionaliste del PCJ e ha imboccato la via del nazionalismo...
I dirigenti jugoslavi, orientandosi con difficoltà nella situazione internazionale e spaventati dalle minacce ricattatorie degli imperialisti, pensano di poter conquistare le loro simpatie con una serie di concessioni agli Stati imperialisti, pensano di potersi accordare con loro sull'indipendenza della Jugoslavia e di potere gradualmente indurre i popoli jugoslavi a orientarsi verso quei paesi, cioè verso il capitalismo. In proposito essi partono proditoriamente dalla nota tesi borghese-nazionalista secondo cui 'gli Stati capitalisti rappresentano un pericolo minore, per l'indipendenza della Jugoslavia, rispetto al pericolo dell'URSS'. I dirigenti jugoslavi probabilmente non capiscono o fanno finta di non capire, che una simile concezione nazionalista può portare unicamente alla degenerazione della Jugoslavia in una semplice repubblica borghese, alla perdita dell'indipendenza della Jugoslavia, alla trasformazione della Jugoslavia in colonia dei paesi imperialisti".155

L'eroica lotta della classe operaia e del popolo jugoslavi fu resa vana dal tradimento della cricca revisionista di Tito che cambiò la natura del potere politico del paese. Il PCJ finì sotto il controllo totale dei revisionisti e Tito, nel 1952, ne mutò anche il nome creando la Lega dei comunisti jugoslavi. 200 mila militanti saranno espulsi dal PCJ. Di essi circa 30 mila saranno arrestati e rinchiusi nelle galere e nei campi di concentramento del regime revisionista poliziesco titino. Questo mentre i rinnegati preparavano la grande amnistia liberando e riammettendo nel paese decine di migliaia di traditori, di collaborazionisti del periodo di guerra e di controrivoluzionari.
La degenerazione revisionista in Jugoslavia bloccò praticamente sul nascere la costruzione del sistema socialista, restaurando nel paese il dominio capitalistico. Nelle campagne la riforma agraria iniziatasi nel primo dopoguerra aveva cominciato a sviluppare il movimento cooperativo agricolo, primo passo per il superamento dell'economia individuale e della proprietà privata e la creazione di un sistema basato sulla collettivizzazione in agricoltura. Questo processo fu interrotto da Tito che attaccò sul piano pratico e teorico la collettivizzazione agricola, iniziò a sciogliere le cooperative fino a farle sparire del tutto, ridando vigore all'espansione del capitalismo nelle campagne. La proprietà privata e l'economia individuale furono incoraggiate e tutelate da una serie di leggi che garantirono la compravendita della terra, il libero affitto di essa, la possibilità per i proprietari di assumere mano d'opera. Fu inoltre garantito e incoraggiato il libero commercio privato dei prodotti agricoli e di conseguenza abrogato il sistema di acquisto pianificato.
Uguale sostegno fu dato al capitale privato nell'industria jugoslava. Attraverso tutta una serie di leggi e regolamenti varati nel corso degli anni, vennero legalizzati l'industria privata, la libera assunzione di mano d'opera e l'acquisto da parte dei privati di beni appartenenti allo Stato. Accanto allo sviluppo dell'industria capitalistica privata, si sviluppò negli anni anche un'industria capitalistica di Stato direttamente controllata dalla cricca revisionista di Tito e dal suo apparato burocratico di potere. Quest'industria capitalistica di Stato era formata dalle imprese cosiddette di "autogestione operaia" i cui profitti erano destinati essenzialmente a mantenere in vita il regime revisionista poliziesco di Tito, il suo apparato repressivo e di controllo, la sua politica di collaborazione e subordinazione economico-politica all'imperialismo americano.
Quello dell'"autogestione operaia" fu il più grande inganno tentato da Tito e dalla sua ideologia revisionista-borghese. Spacciato come il modello più alto di organizzazione politico-economica socialista, esso fu in realtà la negazione totale del socialismo, un attacco frontale e diretto contro tutti i principi del marxismo-leninismo scaturiti dal suo sviluppo teorico e dall'esperienza concreta di edificazione della società socialista.
L'industria di "autogestione operaia", così come l'industria privata, operava in un contesto dominato dall'incondizionato sviluppo della libera concorrenza e dalla soppressione di ogni tentativo di pianificazione economica; i rapporti tra le imprese erano basati sulla competizione per l'affermazione sul mercato di libera concorrenza e non certamente sullo sviluppo di una cooperazione tesa a raggiungere gli obiettivi indicati da un piano di Stato; scopo principale della produzione era la realizzazione di profitto e non il soddisfacimento di bisogni dei lavoratori e della società. Nulla vi era di socialista nel sistema politico-economico della Jugoslavia messo in piedi dal regime revisionista di Tito. Era, invece, un sistema capitalistico dalla testa ai piedi. Tito, inoltre, abolì anche il monopolio statale del commercio estero, spalancando così le porte della Jugoslavia al capitale monopolistico dell'imperialismo.
Rifiutando il confronto aperto e leale con il Cominform, Tito e Kardelj avevano scritto: "noi dimostreremo in atto che le accuse rivolteci sono ingiuste. Edificheremo, cioè, tenacemente il socialismo e resteremo fedeli all'Unione Sovietica, resteremo fedeli all'insegnamento di Marx, di Engels, di Lenin e di Stalin. Il futuro mostrerà, come ha già dimostrato il passato, che metteremo in atto quanto Vi promettiamo".156
Ebbene, il "futuro" ha mostrato chiaramente il completo tradimento della cricca revisionista di Tito. Ha mostrato inequivocabilmente l'instaurazione in Jugoslavia di un feroce regime poliziesco espressione del dominio della borghesia. Ha mostrato inoppugnabilmente l'asservimento della Jugoslavia agli interessi dell'imperialismo. Un asservimento comprato a suon di dollari. Dopo la rottura con il campo socialista, Tito si è rivolto agli Stati capitalisti per ottenere l'appoggio necessario a mantenere in sella il suo regime. Ha "normalizzato" i rapporti con gli Stati confinanti, Italia e Austria, dando un colpo di spugna alle sue pretese territoriali. Ha chiesto e ottenuto crediti e merci di vario genere e la formazione di specialisti militari e civili jugoslavi. Ha chiesto e ottenuto armi per potenziare un esercito forte di 300 mila uomini che ha sottratto immense risorse economiche che avrebbero potuto essere utilizzate per ben altri scopi e, soprattutto, per migliorare il tenore di vita dei popoli jugoslavi. Tutto questo in un rapporto sempre più stretto e privilegiato con Gran Bretagna e Stati Uniti.
Nel decennio 1949-1959 il regime di Tito ottenne aiuti e prestiti pari a due miliardi e quattrocento milioni di dollari che seppe ben ripagare. Nello stesso periodo, infatti, appoggiò gli imperialisti anglo-americani e i fascisti greci a soffocare la rivoluzione greca, impedendo ai partigiani ellenici il transito in territorio jugoslavo e concedendolo invece ai fascisti; difese l'aggressione imperialista alla Corea e votò all'ONU l'embargo contro Cina e Corea; calunniò la lotta del popolo vietnamita e i governi di Unione Sovietica e Cina che questa lotta appoggiavano; attuò una serie crescente di provocazioni, anche armate, contro l'Albania socialista; sostenne Nagy e la sua cricca nel tentativo controrivoluzionario attuato in Ungheria nel 1956 e si potrebbe continuare a lungo nell'elenco.


Togliatti capofila dei moderni revisionisti

Tito fu il primo dei revisionisti moderni a uscire allo scoperto per attaccare frontalmente il marxismo-leninismo, riuscendo a strappare la Jugoslavia al socialismo. Ma non era certo l'unico revisionista che si annidava nelle file del movimento operaio internazionale. Tra i capofila del revisionismo moderno che, per anni, come un camaleonte era riuscito a ben mimetizzarsi coprendosi dietro la III Internazionale e dietro Stalin, vi era anche Togliatti.
Rientrato in Italia dopo lo scioglimento dell'Internazionale Comunista, Togliatti riprese a lavorare con decisione per consolidare quella linea riformista borghese imposta al partito non solo dalla sua direzione revisionista, ma anche da quanti il partito comunista italiano lo avevano fatto nascere e diretto prima di lui, Bordiga prima e Gramsci poi in testa.
Peculiarità negativa del PCI fu, infatti, di essere stato fin dalla sua nascita un partito revisionista borghese e non, invece, un partito proletario rivoluzionario; con una guida politica ideologicamente, organizzativamente e programmaticamente idealista, antimarxista e controrivoluzionaria. Togliatti in particolare fu l'alfiere e il principale teorico delle cosiddette "vie nazionali" al socialismo. Da grande opportunista qual era, Togliatti, rivendicando ad ogni paese un proprio, "autonomo", cammino di trasformazione sociale, elaborò, pianificò e applicò coscientemente la sua strategia della "via italiana al socialismo", vero e proprio tradimento storico, tesa all'accettazione e al consolidamento del capitalismo e del suo ordinamento politico e istituzionale. Attraverso questa strategia elaborata in poco più di un decennio i revisionisti togliattiani gettarono la maschera, manifestando la loro contrarietà alla rottura completa con il sistema capitalistico e alla lotta per la costruzione del socialismo in Italia. Ciò significava innanzi tutto non porre al centro della propria strategia politica la questione centrale della conquista del potere da parte della classe operaia, l'abbattimento del capitalismo sull'esempio dell'Ottobre e l'instaurazione della dittatura del proletariato.
La "democrazia progressiva" divenne la parola d'ordine del revisionismo in Italia. Una strategia politica tutta incentrata sull'attuazione di un processo di riforme graduali da realizzarsi attraverso l'unità delle principali "correnti di pensiero" e forze organizzate della società italiana, quelle: "comunista", socialista, cattolica e liberale.
Accanto alla "via nuova" per realizzare il socialismo, il togliattismo ovviamente teorizzò anche un "nuovo" modello di partito: il partito di massa. Un partito quindi aperto a tutti, interclassista, sostanzialmente deideologizzato, la cui unica discriminante era costituita dall'antifascismo. Il partito "nuovo", il partito di massa divenne lo strumento d'attuazione di questa strategia politica diretta in modo sempre più marcato ed esclusivo al solo campo elettorale, parlamentare e istituzionale.
Nei quasi due anni di partecipazione del PCI ai governi di unità democratica-nazionale - dal 21 giugno 1945 formazione del ministero Parri al 31 maggio 1947 crisi del 3° ministero De Gasperi - il PCI non agì mai con determinazione e forza in direzione dell'attuazione di uno stretto legame tra lotta di massa e azione di governo favorendo, al contrario, l'allentamento della capacità di incidere del movimento operaio e popolare sulle scelte e sul controllo del governo. Mentre sottovalutava la forza del movimento operaio, il PCI non valorizzava appieno neanche il movimento partigiano, accettando supinamente l'allontanamento dei partigiani dalle forze armate e dai principali settori di direzione dello Stato e della società, così come il subitaneo scioglimento dei Comitati di Liberazione Nazionale. Il PCI accettò supinamente finanche la sua esclusione dal governo, reagendo ad essa attraverso sterili articoli sulla stampa, ma guardandosi bene dal mobilitare le masse, organizzare ed attuare una decisa lotta operaia e popolare nel paese.
L'incapacità, quando la non volontà, a far sviluppare appieno potenzialità e crescita del movimento popolare, a ricercare nell'azione politica il corretto equilibrio nel rapporto tra lotta di massa e azione parlamentare e di governo provocarono sin dal primo dopoguerra, in Italia, l'indebolimento del movimento operaio e popolare che si era temprato nel fuoco della gloriosa lotta di liberazione nazionale contro i nazifascisti, ma anche un indebolimento dello stesso partito revisionista e il suo declino anche sul piano elettorale. Proprio quest'aspetto dell'indebolimento del movimento di massa, rappresentò uno degli argomenti principali di critica alle posizioni sostenute da Togliatti e Thorez - segretario del Partito comunista francese - nel corso della prima Conferenza dell'Ufficio d'Informazione dei Partiti comunisti. Altre critiche contro gli errori evidenziati nell'azione e nella strategia dei partiti comunisti italiano e francese, furono quelle della mancata realizzazione di una giusta combinazione fra lotta parlamentare e lotta extraparlamentare, di una sostanziale quanto errata equiparazione della situazione dei paesi dell'Europa occidentale e orientale, fino alla più importante che indicava l'idea di una "via pacifica e parlamentare" per la conquista del socialismo. Questa era una teoria assai pericolosa e totalmente estranea al marxismo-leninismo.
Nella sua parte conclusiva il rapporto di Zdanov alla prima Conferenza del Cominform, affermava: "Alcuni compagni avevano creduto che lo scioglimento del Comintern significasse la liquidazione di tutti i collegamenti e di ogni contatto tra i partiti comunisti fratelli. Frattanto l'esperienza ha dimostrato che un simile isolamento dei partiti comunisti non è giusto, è nocivo e sostanzialmente innaturale. Il movimento comunista si sviluppa nella cornice nazionale, ma nello stesso tempo vi sono compiti e interessi comuni ai partiti comunisti dei diversi paesi... I comunisti, anche di quei paesi che hanno rapporti di alleanza si sentono impacciati a stabilire tra di loro rapporti di amicizia. Non c'è dubbio che una simile situazione, se si prolungasse sarebbe gravida di conseguenze molto nocive per lo sviluppo del lavoro dei partiti fratelli. Questa esigenza di consultarsi e di coordinare volontariamente l'azione dei diversi partiti è maturata soprattutto adesso, che il protrarsi di questo isolamento potrebbe condurre a un indebolimento della comprensione reciproca e talvolta anche a seri errori...
Il pericolo principale per la classe operaia consiste attualmente nella sottovalutazione delle proprie forze e nella sopravvalutazione delle forze dell'avversario. Come nel passato la politica di Monaco ha incoraggiato l'aggressione hitleriana, anche oggi le concessioni alla nuova politica degli Stati Uniti d'America e del campo imperialista, possono rendere i suoi ispiratori ancora più insolenti e aggressivi. Perciò, i partiti comunisti devono mettersi alla testa della resistenza ai piani imperialisti d'espansione e d'aggressione in tutti i campi: governativo, politico, economico, ideologico. Essi devono serrare le file, unire i loro sforzi sulla base di una piattaforma anti-imperialista e democratica comune e raccogliere attorno a sé tutte le forze democratiche e patriottiche del popolo.
Ai partiti comunisti fratelli della Francia, dell'Italia, dell'Inghilterra e di altri paesi spetta un compito particolare. Essi devono prendere nelle loro mani la bandiera della difesa dell'indipendenza nazionale e della sovranità dei rispettivi paesi. Se i partiti comunisti resteranno saldi sulle loro posizioni, se non si lasceranno intimidire e ricattare, se staranno coraggiosamente a guardia di una pace solida e della democrazia popolare, a guardia della sovranità nazionale, della libertà e dell'indipendenza dei loro paesi, se nella loro lotta contro i tentativi di asservimento economico e politico dei loro paesi sapranno mettersi alla testa di tutte le forze, pronte a difendere la causa dell'onore e dell'indipendenza nazionale, nessun piano di asservimento dell'Europa potrà essere realizzato". 157
Con il loro consueto atteggiamento falso e opportunistico Togliatti e la sua cricca revisionista finsero di accettare le critiche mentre proseguivano ostinatamente con la loro politica fallimentare e di aperto tradimento.

Capitolo 24
Il socialismo edificato va costantemente difeso


Le elezioni sovietiche del 1946

Nel febbraio del 1946 si svolsero in URSS le elezioni per il rinnovo del Soviet Supremo che segnarono uno splendido successo per il partito bolscevico ed il governo sovietico. Stalin, in un suo intervento rivolto agli elettori della Circoscrizione "Stalin" di Mosca, che ne avevano proposto la candidatura a deputato del Soviet Supremo, tracciò il bilancio della guerra e i nuovi compiti che stavano di fronte al Partito.
"Sono passati - disse Stalin - otto anni dalle ultime elezioni al Soviet supremo. È stato questo un periodo ricco di avvenimenti decisivi. I primi quattro anni trascorsero nel lavoro intenso compiuto dai cittadini sovietici per realizzare il terzo piano quinquennale. L'ultimo quadriennio comprende gli avvenimenti della guerra contro gli aggressori tedeschi e giapponesi, gli avvenimenti della seconda guerra mondiale. Senza dubbio la guerra è stata il momento saliente del periodo trascorso.
Sarebbe errato pensare che la seconda guerra mondiale sia scoppiata casualmente o in seguito a errori di questo o quell'uomo di Stato, sebbene errori certamente ve ne siano stati. In realtà la guerra è scoppiata come risultato inevitabile dello sviluppo delle forze economiche e politiche mondiali sulla base dell'odierno capitalismo monopolistico. I marxisti hanno dichiarato più volte che il sistema capitalistico dell'economia mondiale cela nel suo seno gli elementi di una crisi generale e di conflitti armati; che, quindi, lo sviluppo del capitalismo mondiale della nostra epoca avviene non come un movimento in avanti armonico e regolare, ma attraverso crisi e catastrofi belliche. È un fatto che l'ineguale sviluppo dei paesi capitalistici porta abitualmente, con il passare del tempo, a una brusca rottura dell'equilibrio nell'interno del sistema mondiale del capitalismo; e il gruppo dei paesi capitalistici che si considera meno provvisto di materie prime e di mercati di sbocco, tenta solitamente di modificare la situazione a proprio vantaggio e di procedere a una nuova ripartizione delle 'sfere di influenza', facendo ricorso alla forza armata. Si ha allora come risultato la divisione del mondo capitalistico in due campi avversi e la guerra...
Così scoppiò la prima guerra mondiale, come risultato della prima crisi del sistema capitalistico dell'economia mondiale.
Risultato della seconda crisi fu lo scoppio della seconda guerra mondiale. Ciò non vuol dire naturalmente che la seconda guerra mondiale sia stata una copia della prima. Al contrario la seconda guerra mondiale per il suo carattere differisce sostanzialmente dalla prima. Si deve tener presente che, prima di attaccare i paesi alleati, i principali Stati fascisti, la Germania, il Giappone, l'Italia, avevano distrutto nei loro paesi gli ultimi resti delle libertà democratiche borghesi, avevano instaurato nei loro paesi un brutale regime di terrore, avevano calpestato il principio della sovranità e del libero sviluppo dei piccoli paesi, avevano proclamato che la politica di conquista delle terre altrui era la loro politica, avevano gridato ai quattro venti che essi volevano l'egemonia mondiale e l'estensione del regime fascista al mondo intero. Inoltre, con l'invasione della Cecoslovacchia e delle regioni centrali della Cina, gli Stati dell'asse avevano dimostrato di essere pronti a mettere in atto la loro minaccia di asservire tutti i popoli amanti della libertà. Per questo la seconda guerra mondiale contro gli Stati dell'asse, a differenza della prima guerra mondiale, assunse fin dall'inizio il carattere di una guerra antifascista, liberatrice, uno degli obiettivi della quale era anche il ristabilimento delle libertà democratiche. L'entrata in guerra dell'Unione Sovietica contro gli Stati dell'asse non poteva che accentuare, e accentuò realmente, il carattere antifascista e liberatore della seconda guerra mondiale.
Su questo terreno si formò la coalizione antifascista, composta dall'Unione Sovietica, dagli Stati Uniti d'America, dalla Gran Bretagna e dagli altri Stati amanti della libertà, coalizione che ebbe in seguito una funzione decisiva nella disfatta delle forze armate degli Stati dell'asse...
Ma la guerra non fu soltanto una maledizione. Essa fu al tempo stesso una grande scuola in cui tutte le forze del popolo furono messe alla prova e collaudate. La guerra mise a nudo tutti i fatti e gli avvenimenti delle retrovie e del fronte, strappò implacabilmente tutti i veli e le maschere che dissimulavano il vero volto degli Stati, dei governi, dei partiti e li espose sulla scena senza maschera, senza orpelli, con tutti i loro difetti e i loro pregi. La guerra sottopose a una specie di esame il nostro regime sovietico, il nostro Stato, il nostro governo, il nostro partito comunista e stese il bilancio del loro lavoro, come per dirci: 'Eccoli i vostri uomini e le vostre organizzazioni, le loro opere e i giorni; esaminateli attentamente e date a ciascuno secondo i suoi atti'...
Qual è dunque il bilancio della guerra?
Vi è un risultato principale dal quale derivano tutti gli altri. Questo risultato è che con la fine della guerra i nemici sono stati sconfitti, mentre noi, insieme con i nostri alleati, siamo risultati vincitori. Abbiamo terminato la guerra con una piena vittoria sui nemici: questo è il risultato principale della guerra. Ma è un risultato troppo generale e noi non possiamo fermarci qui...
Come dobbiamo dunque interpretare la nostra vittoria sui nemici? Che cosa può significare questa vittoria dal punto di vista dello stato e dello sviluppo delle forze interne del nostro paese?
La nostra vittoria significa in primo luogo che il nostro regime sociale sovietico ha vinto, che il regime sociale sovietico ha superato con successo la prova del fuoco della guerra e ha dimostrato la sua piena vitalità.
Come è noto, nella stampa estera si è scritto più volte che il regime sociale sovietico era un 'esperimento arrischiato', condannato al fallimento, che il regime sovietico era un 'castello di carte' senza radici nella vita e imposto al popolo dalla Ceka, che sarebbe bastata una piccola spinta dal di fuori perché questo 'castello di carte' crollasse.
Ora noi possiamo dire che la guerra ha confutato tutte queste affermazioni della stampa estera, come affermazioni infondate. La guerra ha dimostrato che il regime sociale sovietico è un regime veramente popolare, scaturito dal popolo e che del popolo gode il potente appoggio; che il regime sociale sovietico è una forma di organizzazione della società pienamente vitale e stabile... il regime sociale sovietico si è rivelato più vitale e più stabile del regime sociale non sovietico, il regime sociale sovietico è una forma di organizzazione sociale migliore di qualsiasi altro regime sociale non sovietico.
La nostra vittoria significa, in secondo luogo, che il nostro regime statale sovietico ha vinto, che il nostro Stato sovietico plurinazionale ha resistito a tutte le prove della guerra e ha dimostrato la sua vitalità...
La guerra ha dimostrato che il regime dello Stato sovietico plurinazionale ha resistito con successo alla prova, che esso si è maggiormente rafforzato durante la guerra e si è rivelato un regime statale del tutto vitale... perché il nostro Stato plurinazionale è sorto non su una base borghese, che stimola i sentimenti di diffidenza e di odio nazionale, ma sulla base sovietica che, al contrario, promuove i sentimenti di amicizia e di collaborazione fraterna fra i popoli del nostro Stato...
Ora si riconosce che il regime statale sovietico è un sistema di organizzazione statale dove la questione nazionale e il problema della collaborazione delle nazioni sono stati risolti meglio che in qualsiasi altro Stato plurinazionale.
La nostra vittoria significa, in terzo luogo, che le forze armate sovietiche hanno vinto, che ha vinto il nostro Esercito rosso, che l'Esercito rosso ha resistito eroicamente a tutte le avversità della guerra, ha debellato gli eserciti dei nostri nemici ed è uscito vincitore dalla guerra...
La guerra ha dimostrato che l'Esercito rosso non è 'un colosso dai piedi di argilla', ma un esercito moderno di prim'ordine dotato di un armamento assolutamente moderno, di quadri espertissimi e di alte qualità morali e combattive. Non bisogna dimenticare che l'Esercito rosso è lo stesso che ha sconfitto quell'esercito tedesco che ancora ieri incuteva terrore agli eserciti degli Stati europei...
Dopo le fulgide vittorie dell'Esercito rosso a Mosca e a Stalingrado, a Kursk e a Bielgorod, a Kiev e a Kirovograd, a Minsk e a Brobuisk, a Leningrado e a Tallin, a Iassy e a Leopoli, sulla Vistola e sul Niemen, sul Danubio e sull'Oder, a Vienna e a Berlino, dopo tutto ciò è impossibile non riconoscere che l'Esercito rosso è un esercito di prim'ordine, dal quale si possono imparare molte cose.
Così noi spieghiamo concretamente la vittoria del nostro paese sui suoi nemici.
Tale, in sostanza, il bilancio della guerra.
Sarebbe un errore credere che una simile storica vittoria sarebbe stata possibile senza la preparazione preliminare di tutto il paese alla difesa attiva. Non meno errato sarebbe supporre che una simile preparazione avrebbe potuto essere effettuata in un breve periodo di tempo, nel giro di tre o quattro anni. Più errato ancora sarebbe affermare che noi abbiamo vinto unicamente grazie al coraggio delle nostre truppe... Per tener testa ai colpi di un tale nemico, per resistergli e infliggergli quindi una disfatta completa, bisognava avere, oltre al coraggio senza pari delle nostre truppe, un armamento assolutamente moderno e in quantità sufficiente, e approvvigionamenti ben organizzati, anch'essi in quantità sufficiente. Ma per questo bisognava avere, e in quantità sufficiente, delle materie prime, come l'acciaio per produrre le armi, l'equipaggiamento e le attrezzature per le aziende; il combustibile per assicurare il funzionamento delle officine e dei trasporti; il cotone per confezionare il vestiario; il grano per approvvigionare l'esercito.
Possiamo noi affermare che alla vigilia della seconda guerra mondiale il nostro paese possedeva già il minimo indispensabile di risorse materiali occorrenti per soddisfare radicalmente questi bisogni? Credo lo si possa affermare. Per la preparazione di questa opera grandiosa era stato necessario realizzare tre piani quinquennali di sviluppo della nostra economia nazionale. E proprio questi tre piani quinquennali ci aiutarono a creare queste risorse materiali...
Se confrontiamo le cifre del 1940 - vigilia della seconda guerra mondiale - con le cifre del 1913 - vigilia della prima guerra mondiale - avremo il quadro seguente:
Nel 1913 erano state prodotte nel nostro paese 4 milioni e 220 mila tonnellate di ghisa, 4 milioni e 230 mila tonnellate di acciaio, 29 milioni di tonnellate dei carbone, 9 milioni di tonnellate di petrolio, 21 milioni e 600 mila tonnellate di cereali mercantili, 740 mila tonnellate di cotone grezzo.
Queste erano le risorse materiali con le quali il nostro paese entrò nella prima guerra mondiale.
Questa era la base economica che la vecchia Russia poteva utilizzare per la guerra.
Per ciò che concerne il 1940, il nostro paese produsse nel corso dell'anno 15 milioni di tonnellate di ghisa, cioè quasi quattro volte di più che nel 1913; 18 milioni e 300 mila tonnellate di acciaio, cioè quattro volte e mezzo di più che nel 1913; 166 milioni di tonnellate di carbone, cioè cinque volte e mezzo di più che nel 1913; 31 milioni di tonnellate di petrolio, cioè tre volte e mezzo di più che nel 1913; 38 milioni e 300 mila tonnellate di cereali mercantili, cioè 17 milioni di tonnellate in più che nel 1913; 2 milioni e 700 mila tonnellate di cotone grezzo, cioè tre volte e mezzo di più che nel 1913.
Queste erano le risorse materiali con le quali il nostro paese entrò nella seconda guerra mondiale.
Questa era la base economica che l'Unione Sovietica poteva utilizzare per la guerra.
La differenza, come vedete, è colossale.
Questo aumento senza precedenti della produzione non può essere considerato come un semplice e ordinario sviluppo di un paese che passa da uno stato di arretratezza al progresso. Fu un balzo mediante il quale la nostra patria si è trasformata da paese arretrato in paese d'avanguardia, da paese agricolo in paese industriale.
Questa trasformazione storica è stata compiuta nel corso di tre piani quinquennali, a partire dal 1928, primo anno del primo piano quinquennale. Fino allora noi avevamo dovuto occuparci della ricostruzione dell'industria distrutta, avevamo dovuto sanare le ferite della prima guerra mondiale e della guerra civile. E se, oltre a ciò, si considera che il primo piano quinquennale fu eseguito in quattro anni e che la realizzazione del terzo piano quinquennale fu interrotta dalla guerra nel corso del quarto anno, ne risulta che per la trasformazione del nostro paese da agricolo in industriale occorsero soltanto tredici anni circa.
Non si può non riconoscere che tredici anni costituiscono un periodo estremamente breve per realizzare un'opera così grandiosa"
Passando ad esporre i compiti per l'immediato futuro Stalin disse: "I compiti essenziali del nuovo piano quinquennale consistono nel ricostruire le regioni devastate del paese, nel ristabilire il livello prebellico dell'industria e dell'agricoltura e nel superarlo quindi in misura più o meno considerevole. Senza parlare del fatto che prossimamente sarà abolito il tesseramento, un'attenzione particolare sarà accordata all'aumento della produzione degli articoli di largo consumo, all'elevamento del tenore di vita dei lavoratori mediante il ribasso sistematico dei prezzi di tutte le merci, e a una vasta creazione di istituti di ricerche scientifiche di ogni tipo che permettano alla scienza di sviluppare tutte le sue forze.
Non dubito che, se noi daremo ai nostri scienziati l'aiuto necessario, essi sapranno non solo raggiungere, ma anche superare nel prossimo avvenire i successi conseguiti dalla scienza oltre i confini del nostro paese.
Per quanto concerne i piani per un periodo più lungo, il partito intende promuovere una nuova potente ascesa dell'economia nazionale, che ci permetta di elevare il livello della nostra industria, ad esempio, del triplo in confronto al livello dell'anteguerra. Noi dobbiamo fare in modo che la nostra industria possa produrre annualmente circa 50 milioni di tonnellate di ghisa, circa 60 milioni di tonnellate di acciaio, circa 500 milioni di tonnellate di carbone, circa 60 milioni di tonnellate di petrolio. A questa sola condizione noi possiamo ritenere la nostra patria garantita contro qualsiasi eventualità. Ciò richiederà forse ancora tre piani quinquennali, se non più. Ma questo lavoro può essere compiuto e noi dobbiamo compierlo.
Questo è il mio breve resoconto sull'attività del partito comunista nel recente passato e sui piani del suo lavoro per l'avvenire.
Sta a voi giudicare in quale misura il nostro partito ha lavorato e lavora bene, e se non avrebbe potuto lavorare meglio.
Si dice che i vincitori non si giudicano, che non bisogna criticarli né controllarli. Non è vero. I vincitori si possono e si devono giudicare. Si possono e si devono criticare e controllare. Ciò è utile non soltanto alla causa, ma agli stessi vincitori: vi sarà meno presunzione e più modestia. Io penso che la campagna elettorale sia il giudizio che gli elettori danno del partito comunista come partito di governo. I risultati delle elezioni saranno il verdetto degli elettori. Il partito comunista del nostro paese non varrebbe gran che, se temesse la critica e il controllo. Il partito comunista è pronto ad accettare il verdetto degli elettori".158


La ricostruzione in URSS

Nella durissima e decisiva lotta di liberazione contro il nazifascismo l'URSS ha indubbiamente pagato il tributo più grande. Le distruzioni e i vandalismi perpetrati dalle truppe hitleriane d'occupazione hanno inferto al paese dei soviet terribili devastazioni. Il bilancio delle perdite umane e materiali dell'Unione Sovietica alla fine della seconda guerra mondiale, non ha eguali nella storia dell'umanità: oltre venti milioni di morti, tra i soldati dell'Esercito rosso e la popolazione civile, e danni materiali che furono quantificati in duemilaseicento miliardi di rubli. Tutti i settori produttivi erano stati pesantemente colpiti. Alla fine del 1945 i livelli di produzione rispetto al periodo prebellico erano diminuiti sia nell'industria, sia nel settore dell'energia. La produzione agricola aveva subito un calo del 40%. Trentasette milioni di ettari di terre coltivate erano stati distrutti e gli allevamenti avevano perso più di sette milioni di capi di bestiame. Danni ingenti avevano subito anche i settori delle infrastrutture e dell'edilizia abitativa. Nonostante questo drammatico bilancio i popoli delle varie nazionalità dell'URSS, il governo sovietico e il partito bolscevico avviarono e completarono con successo la ricostruzione postbellica.
Tutto il paese si mobilitò con slancio e abnegazione in questa nuova impresa. Già il 21 agosto 1943, in piena guerra quindi, il CC del PC(b) emanò una risoluzione sulle misure urgenti da intraprendere per restaurare l'economia nelle zone liberate. L'opera di ricostruzione iniziò, dunque, a mano a mano che il territorio sovietico si liberava dall'occupazione nazista, per essere poi completata grazie al quarto piano quinquennale (1946-1950) varato nel marzo 1946 dal Soviet Supremo dell'URSS. Il quarto piano quinquennale non solo riparò alle ferite della guerra, ma diede un nuovo ed importante impulso alla crescita di tutti i settori produttivi e all'ulteriore sviluppo dell'economia socialista del paese.
A rendere possibile la ricostruzione furono il ricorso all'esperienza, alle risorse e alle capacità tecniche e umane acquisite nella edificazione socialista; i notevoli investimenti predisposti dal governo e, non ultimo, l'aiuto reciproco che i popoli e le diverse Repubbliche dell'Unione Sovietica si sono dati tra loro in uno spirito di fratellanza e di amicizia marxista-leninista. Alla realizzazione degli obiettivi di ricostruzione e di nuovo sviluppo predisposti dal partito, dal governo e dagli organismi dello Stato sovietico, la classe operaia, i contadini e l'intero popolo concorsero in maniera determinante superando con impegno e sacrificio ogni difficoltà, sviluppando un impetuoso movimento basato sull'impegno lavorativo e un alto livello di coscienza collettivo.
L'Unione Sovietica, pur così pesantemente colpita dalla guerra, fu grazie al suo sistema socialista l'unico paese che in cinque anni seppe di fatto completare nelle linee essenziali la sua ricostruzione e porre le basi di un ulteriore, possente sviluppo della sua crescita economica, dell'aumento del tenore di vita e del soddisfacimento dei bisogni culturali degli operai e dei lavoratori e del raggiungimento di nuove conquiste sociali per il popolo sovietico. A partire dal 1949 accanto a un aumento dei salari operai si registrò la diminuzione dei prezzi dei generi alimentari di più largo consumo e di altri prodotti di prima necessità. Migliorò anche la situazione inerente l'assistenza sanitaria per i lavoratori e il sistema delle pensioni sociali. Furono attuati i provvedimenti in favore degli invalidi militari e civili, quelli per le famiglie delle vittime di guerra e per le famiglie numerose.


Il XIX Congresso del PC(b): bilancio e prospettive del socialismo in URSS

Nell'ottobre del 1952 si tenne a Mosca il XIX Congresso del PC(b) dell'URSS. Un congresso importante, svoltosi dopo la vittoriosa conclusione della guerra contro la criminale aggressione hitleriana e dopo aver ultimato nel suo complesso e con successo la ricostruzione postbellica.
"L'indice principale dell'aumento del benessere del popolo sovietico - si legge nel Rapporto che fu presentato al Congresso su incarico del CC da Malenkov - è nella continua ascesa del reddito nazionale. Dal 1940 fino a tutto il 1951, il reddito nazionale dell'Unione Sovietica è aumentato dell'83%. Contrariamente a quanto avviene nei paesi capitalistici, dove oltre la metà del reddito nazionale viene intascata dalle classi sfruttatrici, nell'Unione Sovietica l'intero reddito nazionale è patrimonio dei lavoratori. Circa tre quarti del reddito nazionale sono impiegati per soddisfare i bisogni personali, sia materiali che culturali, dei lavoratori dell'URSS: il resto è impiegato per allargare la produzione socialista e per soddisfare altri bisogni generali dello Stato e sociali.
Il principale fattore dell'aumento del salario reale degli operai e degli impiegati e dei redditi reali dei contadini è costituito dalla politica di riduzione dei prezzi dei generi di largo consumo effettuata in modo conseguente dal governo. In seguito alle cinque riduzioni dei prezzi statali al minuto effettuate nel 1947-1952, i prezzi dei prodotti alimentari e industriali sono oggi in media inferiori del 50% rispetto al quarto trimestre del 1947.
Come è noto, gli operai e gli impiegati del nostro paese ricevono, a spese dello Stato, i sussidi delle assicurazioni sociali, le pensioni della previdenza sociale, usufruiscono gratuitamente o con forti riduzioni di posti di soggiorno nelle case di cura e di riposo e dispongono di istituti per i loro figli, e hanno ferie annuali pagate. Tutti i lavoratori delle città e delle campagne beneficiano della assistenza medica gratuita. Lo Stato paga nelle città e nelle campagne assegni alle madri di famiglia numerosa e alle madri nubili; esso assicura l'istruzione gratuita nelle scuole elementari e settennale e conferisce stipendi agli studenti. Nel 1940 è stata pagata la somma di 40 miliardi e 800 milioni di rubli per i suddetti sussidi e assegni ai lavoratori della città e delle campagne. Nel 1951, la somma destinata a questo scopo è stata di 125 miliardi di rubli.
In seguito all'aumento dei salari nominali degli operai e degli impiegati, dei redditi dei contadini in denaro e in natura, in seguito alla riduzione dei prezzi dei generi di largo consumo e all'aumento degli altri sussidi di Stato alla popolazione, i redditi reali degli operai e degli impiegati sono aumentati per ogni lavoratore, nel 1951, di circa il 57% nei confronti del 1940, e i redditi reali per ogni contadino di circa il 60%.
Il progetto di direttive per il quinto piano quinquennale prevede un aumento di almeno il 60% del reddito nazionale dell'URSS, durante il quinquennio, un aumento di almeno il 35% degli stipendi e dei salari reali, tenendo conto delle riduzioni dei prezzi al minuto, e un aumento di almeno il 40% dei redditi dei colcosiani in denaro e in natura, valutati in termini monetari.
La costruzione di alloggi e di edifici pubblici viene condotta nel nostro paese su vasta scala. Soltanto negli anni del dopoguerra, nelle città e nei quartieri operai sono state costruite nuove abitazioni per un totale di oltre 155 milioni di metri quadrati di superficie abitabile, ed oltre 3 milioni e 800 mila case nelle località rurali. Sono state costruite abitazioni particolarmente nei circondari che hanno subito l'occupazione durante la guerra. Ma nonostante il gran numero di alloggi costruiti, nel nostro paese si avverte ancora un'acuta scarsezza di abitazioni. Molti ministeri e soviet locali non attuano annualmente i piani stabiliti per la costruzione di alloggi, ed i fondi stanziati dallo Stato a questo scopo non vengono completamente utilizzati.
Nel corso degli ultimi due anni, in seguito al mancato adempimento del programma di costruzioni di alloggi, oltre 4 milioni di metri quadrati di abitazioni non sono stati forniti alla popolazione. Noi abbiamo ancora dirigenti economici e di partito che considerano il problema degli alloggi per i lavoratori come una questione secondaria, e che non prendono misure per eseguire i piani di costruzione e di riparazione degli alloggi. Il compito è di intensificare la costruzione di alloggi con ogni mezzo. Il progetto di direttive per il quinto piano quinquennale prevede un aumento approssimativo di due volte degli investimenti statali per la costruzione di alloggi rispetto al quarto piano quinquennale.
Il partito ed il governo hanno sempre dimostrato e continuano a dimostrare una grande sollecitudine per la salute del nostro popolo. Le spese dello Stato per la sanità pubblica, incluse le somme spese a tale scopo dalle assicurazioni sociali, sono aumentate, da 11 miliardi e 200 milioni di rubli nel 1940, a 26 miliardi e 400 milioni di rubli nel 1951. Su questa base, sono stati ottenuti ulteriori miglioramenti ed una estensione della rete dei servizi sanitari e medici per la popolazione. Nel 1951, nelle città e nelle località rurali il numero dei posti letto superava del 30% quello del 1940. Il numero delle case di cura è aumentato. Il numero dei medici è aumentato nel paese dell'80%.
In seguito al miglioramento del tenore di vita materiale e culturale del popolo e dei servizi sanitari, la mortalità del nostro paese è diminuita. Negli ultimi tre anni l'aumento assoluto della popolazione è stato di 9.500.000.
Le spese per l'istruzione sono salite da 22 miliardi e 500 milioni di rubli nel 1940, a 57 miliardi e 300 milioni di rubli nel 1951, cioè sono aumentate di oltre due volte e mezzo. Nei soli anni del dopoguerra, sono state costruite 23.500 scuole. Il numero delle persone che frequentano le scuole nell'URSS è ora di 57 milioni, cioè quasi 8 milioni in più del 1940. L'insegnamento scolastico settennale e decennale è stato considerevolmente esteso; fra il 1940 e il 1951 compreso, il numero degli allievi dalla quinta alla decima classe è aumentato del 25%; il numero degli allievi nelle scuole tecniche secondarie e nelle altre scuole secondarie specializzate è aumentato del 40%; il numero degli studenti che frequentano gli istituti superiori è aumentato del 67%. Soltanto nel 1952, presso gli istituti superiori si sono laureati 221.000 giovani specialisti per le varie branche dell'economia nazionale, mentre agli stessi istituti si sono iscritti 375.000 nuovi studenti. Oggi nell'Unione Sovietica lavorano approssimativamente 5.500.000 specialisti muniti di diplomi delle scuole superiori e delle scuole secondarie specializzate, cioè 2,2 volte di più di prima della guerra.
Prendendo in questione la sempre crescente importanza della scienza nella vita della nostra società, il partito manifesta una sollecitudine quotidiana per il suo sviluppo. Lo Stato sovietico ha dato grande impulso alla costruzione e all'attrezzatura di una vasta rete di istituti di ricerche scientifiche ed ha creato le più favorevoli condizioni al rigoglioso sviluppo della scienza; esso ha assicurato la preparazione su vasta scala di personale scientifico. Il numero degli istituti di ricerche, laboratori ed altri istituti scientifici è salito nell'URSS da 1.560 nel 1939 a 2.900 all'inizio del 1952. Il numero dei lavoratori scientifici è quasi raddoppiato durante lo stesso periodo. Le spese dello Stato per promuovere lo sviluppo della scienza nel periodo 1946-1951 sono state di 47,2 miliardi di rubli.
Durante il periodo passato in rassegna, la rete degli istituti culturali e di istruzione nelle città e nelle località rurali è stata estesa su vasta scala. Attualmente, il paese ha 368.000 biblioteche di vario tipo. Dal 1939 il numero delle biblioteche è aumentato di oltre 120.000. La tiratura annuale dei libri ha raggiunto gli 800 milioni di copie; un aumento di 1,8 volte nei confronti del 1939. Dal 1939 il numero degli impianti cinematografici sonori nelle città e nei villaggi è stato quasi triplicato.
Elementi quanto mai importanti e inseparabili della cultura sovietica sono la letteratura e l'arte. Noi abbiamo conseguito successi della più grande importanza nel progresso della letteratura sovietica, delle arti figurative, del teatro e della cinematografia".159
Il XIX fu l'ultimo Congresso del partito al quale Stalin partecipò. Durante l'Assise Stalin, date le sue non buone condizioni di salute, svolse un breve seppur significativo intervento nel quale sottolineò l'importanza del reciproco sostegno che deve svilupparsi tra i partiti comunisti fratelli; la loro unione con i popoli del mondo nella salvaguardia degli interessi comuni, primo fra tutti quello della pace; la tenacia con la quale i comunisti dei paesi ancora sotto il dominio capitalistico devono lottare per instaurare nei loro paesi il potere della classe operaia, forti dell'esempio e degli insegnamenti acquisiti attraverso l'esperienza dell'URSS. Disse in particolare Stalin:
"Compagni!
Permettetemi di esprimere a nome del nostro congresso a tutti i partiti e raggruppamenti fratelli, i cui rappresentanti hanno onorato il nostro congresso con la loro presenza o che hanno fatto pervenire al congresso messaggi di saluto, il ringraziamento per gli amichevoli saluti, per gli auguri di successo, per la loro fiducia.
Ci è particolarmente cara questa fiducia, che significa da parte loro decisa volontà di appoggiare il nostro partito nella sua lotta per un luminoso avvenire dei popoli, nella sua lotta contro la guerra, nella sua lotta per il mantenimento della pace.
Sarebbe un errore pensare che il nostro partito, divenuto una forza potente, non abbia più bisogno di appoggio. Questo non è vero. Il nostro partito, il nostro paese sempre ebbero e avranno bisogno della fiducia, della simpatia e dell'appoggio dei popoli fratelli degli altri paesi. La particolarità di questo appoggio consiste nel fatto che ogni appoggio alle pacifiche aspirazioni del nostro partito nel suo sforzo per il mantenimento della pace da parte di qualsiasi partito fratello, significa, nel medesimo tempo, un appoggio dato da quello stesso partito al proprio popolo nella sua lotta per il mantenimento della pace...
Il carattere particolare di questo appoggio reciproco si spiega con il fatto che gli interessi del nostro partito non solo non sono in contraddizione, ma al contrario si fondono con gli interessi dei popoli amanti della pace. Per quanto concerne l'Unione Sovietica, i suoi interessi sono inseparabili in generale dalla causa della pace in tutto il mondo...
Una particolare attenzione meritano quei partiti comunisti, democratici, operai e contadini che non sono ancora giunti al potere e continuano a lavorare sotto il tallone delle draconiane leggi borghesi. Per essi, evidentemente, il lavoro è molto più difficile. Tuttavia il loro lavoro non è così difficile come fu per noi, comunisti russi, sotto il regime zarista, quando il più piccolo movimento in avanti veniva considerato come il più grave dei delitti. Tuttavia i comunisti russi hanno tenuto duro, non hanno avuto paura delle difficoltà e hanno ottenuto la vittoria. La stessa cosa avverrà per questi partiti.
Perché il lavoro di questi partiti non sarà così difficile come quello dei comunisti russi all'epoca dello zarismo?
In primo luogo perché essi hanno di fronte a sé l'esempio di lotte e di successi come quelli dell'Unione Sovietica e delle democrazie popolari. Di conseguenza possono trarre insegnamento dagli errori e dai successi di questi paesi e rendere così più facile il proprio lavoro".160
Il XIX Congresso discusse e approvò le direttive per la realizzazione del quinto piano di sviluppo pacifico dell'URSS per il quinquennio 1951-1955 e indicò nell'elevamento del livello di vita del popolo sovietico e nel miglioramento del suo benessere materiale e culturale, l'obiettivo da raggiungere nella politica interna del Partito.
"Per andare avanti con passo sicuro, - affermò Molotov nel discorso d'apertura del Congresso - dobbiamo combattere ancor più risolutamente le deficienze che esistono nel nostro lavoro; dobbiamo eliminare gli atteggiamenti di compiacenza e sufficienza burocratica, ovunque si manifestino, ricordando che la critica e l'autocritica costituiscono l'arma indispensabile di lotta dei comunisti, che esse rappresentano il nostro metodo, il metodo sovietico, per sviluppare l'iniziativa delle masse.
Le decisioni del congresso spingeranno il partito e tutto il popolo sovietico, non soltanto ad adempiere, ma a superare gli obiettivi del nuovo piano quinquennale. Ciò produrrà un ulteriore e generale rafforzamento della potenza dello Stato sovietico ed un ulteriore, considerevole elevamento del tenore di vita materiale e culturale del popolo, della classe operaia, dei contadini colcosiani, degli intellettuali sovietici. In tal modo, nel realizzare il piano quinquennale, il popolo sovietico conseguirà nuovi importanti successi sulla via del passaggio graduale dal socialismo al comunismo".161
Proprio alla necessità dell'ulteriore potenziamento della società socialista e all'approfondimento delle sue caratteristiche e particolarità, così come al permanere delle contraddizioni nella società socialista e all'analisi della questione del passaggio dal socialismo al comunismo, Stalin ha dedicato l'ultima sua grande opera teorica scritta nel 1952 alla vigilia proprio del XIX Congresso del PC(b) dell'URSS.
"I problemi economici del socialismo nell'URSS" ha rappresentato anch'essa, come molti altri scritti di Stalin, un'opera di fondamentale importanza nell'analisi, nella comprensione e nell'arricchimento della teoria scientifica marxista-leninista. "Costantemente, a ogni nuova svolta della storia, - affermò Malenkov avviandosi a concludere il Rapporto sull'attività del CC presentato al Congresso - Lenin e Stalin hanno applicato il marxismo ai compiti specifici pratici del momento, dimostrando, con la loro interpretazione creativa della dottrina di Marx e di Engels, che il marxismo non è un dogma morto, ma una guida viva per l'azione.
La teoria marxista-leninista è stata oggetto di instancabile attenzione da parte del compagno Stalin. In tutti questi ultimi anni, l'attività del compagno Stalin nel campo della teoria si è concentrata su problemi di importanza storica mondiale: lo sviluppo dell'economia socialista e il graduale passaggio al comunismo. Il compagno Stalin, arricchendo e sviluppando creativamente la scienza del marxismo-leninismo, fornisce al partito e al popolo sovietico un'arma ideologica nella lotta per il trionfo della nostra causa. L'Opera del compagno Stalin, Problemi economici del socialismo nell'URSS, pubblicata recentemente, ha la massima importanza per la teoria marxista-leninista e per tutto il nostro lavoro pratico. Quest'opera contiene una profonda analisi delle leggi della produzione socialista e della distribuzione delle ricchezze materiali nella società socialista, definisce i principi scientifici dello sviluppo dell'economia socialista, indica le vie del passaggio graduale dal socialismo al comunismo. Con la sua elaborazione dei problemi della teoria economica, il compagno Stalin ha fatto progredire notevolmente l'economia politica marxista-leninista.
Il compagno Stalin ha tracciato i principi programmatici relativi alle principali premesse che preparano il passaggio al comunismo...
Il compagno Stalin ammonisce insistentemente a non correre avanti troppo rapidamente e senza riflettere e a non passare a forme economiche superiori, senza prima aver creato le condizioni necessarie per un tale passaggio.
Il compagno Stalin ha dato la soluzione scientifica di grandi problemi sociali e di questioni programmatiche del comunismo, come l'eliminazione del contrasto tra città e campagna, tra lavoro fisico e lavoro intellettuale, ed ha parimenti elaborato una questione nuova nella scienza marxista: la liquidazione delle differenze sostanziali ancora esistenti tra questi elementi nella società socialista.
Perciò i piani del partito per il futuro, che definiscono le prospettive e le vie del nostro movimento in avanti si basano sulla conoscenza delle leggi economiche, sulla scienza della edificazione della società comunista elaborata dal compagno Stalin.
Grande importanza di principio ha la dimostrazione, data dal compagno Stalin, del carattere obiettivo delle leggi economiche. Il compagno Stalin ci insegna che le leggi dello sviluppo economico, le leggi dell'economia politica - sia che si consideri il capitalismo, sia che si consideri il socialismo - sono leggi obiettive che rispecchiano il processo dello sviluppo economico che si attua indipendentemente dalla volontà degli uomini. Gli uomini possono scoprire queste leggi, conoscerle, applicarle nell'interesse della società, ma non possono distruggere le leggi economiche esistenti e crearne delle nuove...
La negazione dell'esistenza di leggi economiche obiettive in regime socialista condurrebbe al caos e alla casualità: tale negazione condurrebbe a liquidare l'economia politica come scienza, perché la scienza non può vivere e svilupparsi se non tiene conto delle leggi obiettive e non le studia.
La negazione del carattere obiettivo delle leggi economiche è la base ideologica dell'avventurismo nella politica economica e dell'assoluto arbitrio nella pratica della direzione dell'economia...
Il compagno Stalin ha dimostrato che lo scopo del modo socialista di produzione non è il profitto, ma l'uomo e le sue esigenze, il soddisfacimento delle sue esigenze materiali e culturali. Assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società: questo è l'obiettivo della produzione socialista, mentre il continuo aumento e perfezionamento della produzione socialista sulla base di una tecnica superiore sono il mezzo per raggiungere tale scopo.
L'azione di questa legge conduce all'ascesa delle forze produttive della società, alla sua prosperità e al continuo aumento del benessere materiale e del livello culturale dei lavoratori...
Nelle sue opere sui problemi economici del socialismo nell'URSS, il compagno Stalin ha illustrato tutta la complessità dei compiti che dovremo assolvere nella lotta contro le difficoltà, superando le contraddizioni che sorgono nel processo di edificazione del comunismo.
Il compagno Stalin ha scoperto la legge economica obiettiva della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione con il carattere delle forze produttive e ha precisato l'enorme funzione, chiarificatrice e trasformatrice, di questa legge. Analizzando acutamente i processi della nostra economia, il compagno Stalin ha mostrato quanto profondamente erronee siano le opinioni secondo le quali nel socialismo non vi sarebbero contraddizioni tra i rapporti di produzione e le forze produttive della società. Le contraddizioni indiscutibilmente esistono ed esisteranno, poiché lo sviluppo dei rapporti di produzione resta e resterà indietro allo sviluppo delle forze produttive. Naturalmente, nella società socialista le cose non giungono di solito ad un conflitto tra i rapporti di produzione e le forze produttive, ma sarebbe pericoloso non accorgersi che le contraddizioni tra di loro esistono e possono esistere. Noi abbiamo l'obbligo di individuare queste contraddizioni in tempo utile, e, seguendo una politica giusta, di superarle tempestivamente, in modo che i rapporti di produzione possano assolvere la loro funzione di forza principale e decisiva che determina un potente sviluppo delle forze produttive".162


Difendere l'unità e l'integrità politica e ideologica marxista-leninista del Partito

Stalin rimase attento fino alla fine alla salvaguardia dell'unità del Partito, al legame del Partito con la classe operaia, al mantenimento del Partito sulla strada maestra del marxismo-leninismo. Il CC del PC(b) dell'URSS guidato da Stalin non smise mai di porre in evidenza le deficienze che, in tutti i campi e ai vari livelli, condizionavano negativamente l'attività del Partito, la sua vita democratica, la capacità di direzione della società e dello Stato, per rafforzarne e migliorarne la coesione, la sua natura di reparto d'avanguardia della classe operaia, il suo legame di massa. La necessità di individuare e superare queste deficienze, di individuare e combattere gli errori e gli atteggiamenti sbagliati costituì uno degli aspetti più importanti sottolineati dal Rapporto presentato al XIX Congresso.
Analizzando le questioni inerenti il Partito, il Rapporto del CC al Congresso sosteneva che l'unità "conquistata nell'aspra lotta contro i nemici del leninismo, è il tratto più caratteristico della situazione in seno al partito e della sua vita interna. Questa è la fonte della forza e dell'invincibilità del nostro partito.
L'unità delle file del partito è stata la condizione decisiva che ha determinato la vittoria del popolo sovietico nella Grande guerra patriottica...
Annientando l'attività clandestina dei trotzkisti-bukhariniani, che erano il centro di attrazione di tutte le forze antisovietiche del paese, epurando le nostre organizzazioni di partito e dei soviet dai nemici del popolo, il partito ha distrutto tempestivamente ogni possibilità di comparsa nell'URSS di una 'quinta colonna', ed ha preparato politicamente il paese alla difesa attiva. Non è difficile capire che, se questo non fosse stato fatto tempestivamente, ci saremmo trovati presi tra due fuochi e avremmo potuto perdere la guerra.
Innanzitutto al nostro capo e maestro, compagno Stalin, il quale ha sostenuto l'unità leninista del partito, il partito deve la incrollabile unità delle sue file... la situazione creata dalla guerra aveva richiesto certi metodi particolari di direzione del partito e al tempo stesso aveva generato grandi deficienze nel lavoro degli organi e delle organizzazioni del partito. Ciò si è manifestato soprattutto nel fatto che gli organismi del partito hanno dato una minore attenzione al lavoro di organizzazione e al lavoro ideologico del partito: come conseguenza, in molte organizzazioni del partito questo lavoro è stato trascurato. Si è creato un certo pericolo, e cioè che gli organismi del partito si staccassero dalle masse e si trasformassero da organi di direzione politica, da organizzazioni combattive e con iniziativa propria, in una specie di istituzioni amministrative buone solo a dare ordini e incapaci di opporsi alle manifestazioni di campanilismo, di ristrettezza burocratica e ad altre tendenze contrarie agli interessi dello Stato, non vedendo le deformazioni aperte della politica del partito nell'edificazione economica, il danno arrecato agli interessi dello Stato...
Il Comitato Centrale ha posto al centro dell'attenzione delle organizzazioni del partito il compito di applicare in modo conseguente la democrazia interna del partito e sviluppare la critica e l'autocritica, di rafforzare su questa base il controllo da parte delle masse del partito sull'attività degli organismi del partito, poiché in questo risiede la chiave per l'ascesa di tutto il lavoro del partito, la chiave per elevare l'attività e l'iniziativa delle organizzazioni e dei membri del partito. Le misure applicate dal partito per sviluppare la democrazia interna del partito e l'autocritica hanno aiutato le organizzazioni del partito a superare in notevole misura le deficienze nel lavoro politico, hanno avuto una funzione seria nella sua ascesa...
Tuttavia, sarebbe un errore non vedere che il livello del lavoro politico del partito è ancora indietro rispetto alle esigenze della vita, ai compiti posti dal partito. Bisogna riconoscere che nel lavoro delle organizzazioni del partito esistono deficienze e errori, che nelle nostre organizzazioni di partito esistono non pochi fenomeni negativi e talvolta anche malsani che noi dobbiamo conoscere, vedere, denunciare al fine di eliminarli, di superarli e di garantire la marcia vittoriosa in avanti.
In che cosa consistono queste deficienze, questi errori, queste manifestazioni malsane, e quali sono, di conseguenza, i compiti del partito?
1) L'autocritica e soprattutto la critica dal basso sono lungi dall'essere divenute, in piena misura e in tutte le organizzazioni del partito, il metodo principale per scoprire e correggere i nostri errori e le nostre deficienze, le nostre debolezze e i nostri mali.
Nelle organizzazioni del partito si costata ancora una sottovalutazione della funzione della critica e dell'autocritica nella vita del partito e dello Stato, si commettono persecuzioni e vessazioni per la critica. Si possono incontrare sovente dei funzionari di partito che non cessano di proclamare la loro fedeltà al partito, ma che in pratica non tollerano la critica dal basso, la soffocano e si vendicano di coloro che li criticano. Sono noti non pochi casi in cui l'atteggiamento burocratico verso la critica e l'autocritica è stato di grave pregiudizio alla causa del partito, ha soffocato le iniziative delle organizzazioni del partito, ha minato il prestigio della direzione fra le masse del partito e in alcune organizzazioni del partito ha instaurato abitudini antipartito da burocrati, nemici giurati del partito.
Il partito non può non tener conto del fatto che là dove la critica e l'autocritica sono relegate in secondo piano, dove il controllo delle masse sull'attività delle organizzazioni e delle istituzioni è diventato più debole, appaiono inevitabilmente deformità come il burocratismo, la putrefazione e persino la disgregazione di certi settori del nostro apparato... se queste malattie pericolose non si sono diffuse gravemente è soltanto perché il partito, servendosi dell'arma della critica e dell'autocritica, le ha apertamente e audacemente scoperte a tempo debito, ha assestato colpi decisivi alle manifestazioni concrete di presunzione, di burocratismo e di putrefazione. La saggezza della direzione consiste precisamente nel saper discernere il pericolo quando esso è ancora in embrione e impedirgli di estendersi fino a diventare una minaccia.
La critica e l'autocritica sono un'arma provata del partito nella lotta contro le deficienze, gli errori e i fenomeni malsani che minano l'organismo sano del partito. La critica e l'autocritica non indeboliscono, ma consolidano lo Stato sovietico, il regime sociale sovietico, e questo è un indice della sua forza e della sua vitalità...
In seguito alla fine vittoriosa della guerra e ai grandi successi economici nel periodo postbellico, si è sviluppato in seno al partito un atteggiamento non critico verso le deficienze e gli errori nel lavoro delle organizzazioni del partito, economiche ed altre. I fatti provano che i successi hanno talvolta generato nelle file del partito uno stato d'animo di autosufficienza, la tendenza a considerare che tutto va per il meglio, il quieto vivere piccolo-borghese, il desiderio di dormire sugli allori e di vivere dei meriti del passato. Si sono visti apparire numerosi funzionari di partito i quali considerano che 'noi possiamo far tutto', che 'nulla ci può arrestare', che 'gli affari vanno bene' e che è inutile complicarsi la vita in sgradevoli occupazioni come ricercare le deficienze e gli errori nel lavoro, lottare contro i fenomeni negativi e malsani nelle nostre organizzazioni. Questi stati d'animo, nocivi per le loro conseguenze, si sono impadroniti di una parte dei quadri mal preparati e instabili dal punto di vista di partito. Vi sono dirigenti di organizzazioni del partito, dei soviet e di organizzazioni economiche i quali non di rado trasformano le assemblee, le riunioni dell'attivo, le sessioni e le conferenze in una parata, in un luogo dove ci si può autoincensare, così che gli errori e le deficienze nel lavoro, i mali e le debolezze non sono denunciati e criticati, ciò che rafforza la tendenza alla presunzione e alla compiacenza. Uno stato d'animo di indolenza è penetrato nelle organizzazioni del partito. Si osservano tra i funzionari del partito, delle organizzazioni economiche, dei soviet e altri, casi di rilassamento della vigilanza, casi di negligenza, di divulgazione dei segreti del partito e dello Stato. Certi funzionari sono tanto presi dagli affari e dai successi economici che cominciano a dimenticare che l'accerchiamento capitalista esiste ancora e che i nemici dello Stato sovietico si sforzano ostinatamente di introdurre tra di noi i loro agenti, di utilizzare per i loro ignobili scopi gli elementi instabili della società sovietica...
La partecipazione attiva delle grandi masse dei lavoratori alla lotta contro le deficienze nel lavoro e contro i fenomeni negativi nella vita della nostra società è la viva testimonianza della vera democrazia del regime sovietico e dell'alto grado di coscienza politica degli uomini sovietici. La critica dal basso è l'espressione dell'iniziativa creatrice di milioni di lavoratori, della loro sollecitudine per il consolidamento dello Stato sovietico. Quanto più saranno sviluppate l'autocritica e la critica dal basso, tanto più si manifesteranno le forze creatrici e le energie delle masse, e tanto più grande e più forte sarà la consapevolezza del nostro popolo di essere padrone del paese.
È sbagliato credere che la critica dal basso possa svilupparsi da sé, spontaneamente. Essa può svilupparsi ed estendersi soltanto a condizione che ogni persona che sollevi una critica sana possa essere certa di trovare l'appoggio delle nostre organizzazioni e che le deficienze denunciate saranno effettivamente eliminate...
Tutti i dirigenti, e soprattutto i funzionari del partito, hanno il dovere di creare condizioni tali da permettere a tutti i cittadini sovietici onesti di criticare arditamente e senza timore le deficienze nel lavoro delle nostre organizzazioni e istituzioni. Le assemblee, le sessioni plenarie, le riunioni degli attivi e le conferenze indette da tutte le organizzazioni debbono divenire in pratica una larga tribuna per la critica ardita e acuta delle deficienze...
Ogni membro del partito ha il dovere, se sa che questa o quella organizzazione non funziona come dovrebbe, se viene arrecato danno agli interessi del partito e dello Stato, di portare a conoscenza degli organi dirigenti del partito, fino al Comitato Centrale, tutte le deficienze, senza riguardi personali. Questo è il dovere di ogni comunista, il suo più importante dovere verso il partito. Alcuni dirigenti pensano che se funzionari da loro dipendenti fanno conoscere le deficienze al Comitato Centrale del partito, ostacolano il loro lavoro di direzione e minano il loro prestigio. Noi dobbiamo porre energicamente fine a queste opinioni dannose e profondamente contrarie al partito...
La conseguente attuazione della parola d'ordine della critica e dell'autocritica richiede una lotta risoluta contro tutti coloro che ostacolano lo sviluppo della critica e contro tutti coloro che perseguitano e soffocano la critica. I funzionari che non promuovono la critica e l'autocritica sono un ostacolo per il nostro progresso. Essi non sono maturi per la funzione di dirigenti e non possono contare sulla fiducia del partito.
2) La disciplina di partito e di Stato è ancora debole fra alcuni funzionari di partito, dei soviet, di organizzazioni economiche ed altre...
Un atteggiamento formale nei confronti delle decisioni del partito e del governo, un atteggiamento passivo nei riguardi della loro attuazione, sono mali che dobbiamo sradicare nel modo più implacabile. Il partito non ha bisogno di funzionari fossilizzati e che hanno un atteggiamento passivo, di uomini che pongono la loro tranquillità personale al di sopra degli interessi della causa, ma di uomini che pongano gli interessi dello Stato al di sopra di ogni altra cosa e che siano disposti a lottare con abnegazione e tenacemente per la realizzazione delle direttive del partito e del governo.
Una delle trasgressioni più pericolose e nocive della disciplina del partito e di Stato è il fatto che alcuni funzionari nascondono il vero stato delle cose nelle aziende e negli uffici loro affidati, ed esagerano i risultati del loro lavoro.
Il Comitato Centrale e il governo hanno accertato che alcuni funzionari hanno posto i loro ristretti interessi burocratici e campanilistici al disopra degli interessi generali dello Stato e, con il pretesto di provvedere alle esigenze delle aziende loro affidate, hanno nascosto allo Stato le risorse materiali di cui disponevano, trasgredendo così le leggi del partito e dello Stato.
È anche noto che alcuni dirigenti dei settori economici, con la tolleranza delle organizzazioni del partito, avanzano richieste di materie prime e materiali intenzionalmente superiori al fabbisogno e, non riuscendo a realizzare i piani produttivi, danno informazioni inesatte nelle loro relazioni sull'andamento della produzione. Vi sono stati non pochi funzionari i quali hanno dimenticato che le aziende affidate alla loro cura e alla loro direzione sono aziende di Stato e che cercano di trasformarle in loro domini privati nei quali questa sorta di dirigenti, se così possono essere chiamati, fa tutto ciò che 'è deciso dal loro piede sinistro'. Un gran male consiste nel fatto che noi abbiamo non pochi funzionari i quali credono che le decisioni del partito e le leggi sovietiche non siano impegnative per loro, i quali credono cha da noi esistano due discipline: una per i gregari e l'altra per i dirigenti. Tali 'dirigenti' credono che tutto sia loro permesso, credono di poter trasgredire le leggi sovietiche, abbandonarsi ad eccessi e commettere arbitrii...
Ogni inganno nei confronti del partito e dello Stato, sotto qualsiasi forma, ogni tentativo di ingannare nascondendo o alterando la verità, non può essere considerato altrimenti che come il più grave delitto nei confronti del partito. È tempo ormai di capire che da noi, nel partito, non c'è che una disciplina, sia per i membri di base che per i dirigenti, che le leggi sovietiche sono egualmente obbligatorie per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione. Non bisogna tenere in alcun conto la posizione occupata dai dirigenti che si siano resi colpevoli di disonestà nell'attuazione delle decisioni del partito e del governo e che commettano illegalità e arbitrii.
Si tratta di porre fine risolutamente alle trasgressioni della disciplina del partito e dello Stato, alle manifestazioni di irresponsabilità, di disgregazione, di formalismo nell'adempimento delle decisioni del partito e del governo, di elevare costantemente il sentimento del dovere verso il partito e lo Stato in tutti i nostri funzionari, di estirpare implacabilmente la mancanza di sincerità e di onestà. I funzionari che tentano di nascondere la verità al partito e di ingannarlo sono indegni di militare nelle file del partito. L'assoluta osservanza degli interessi della nostra patria, la lotta attiva ed incessante per l'attuazione delle decisioni del partito e del governo sono il primo dovere di ogni funzionario del partito e dello Stato.
3) L'indicazione del grande Lenin, secondo cui l'elemento principale nel lavoro organizzativo è la giusta scelta dei quadri e il controllo dell'esecuzione, è ancora applicata in modo insoddisfacente.
I fatti dimostrano che la giusta scelta dei quadri e il controllo dell'esecuzione non sono finora divenuti la principale attività direttiva delle organizzazioni centrali e locali del partito, dei soviet ed economiche...
L'esperienza dimostra che persino buoni funzionari, abbandonati a se stessi, senza controllo né verifica della loro attività, cominciano a peggiorare e burocratizzarsi.
Compito essenziale del partito è di intensificare al massimo il controllo e la verifica dell'esecuzione in tutto il sistema di direzione, nel lavoro di tutte le organizzazioni e le istituzioni, dall'alto in basso. A questo scopo bisogna elevare la responsabilità personale dei dirigenti di tutte le organizzazioni e degli enti per controllare l'esecuzioni delle decisioni del partito e del governo, migliorare seriamente il lavoro dell'apparato di controllo e d'ispezione tanto al centro che alla periferia, assicurargli quadri efficienti in modo tale che questo incarico sia affidato a uomini autorevoli, sperimentati e politicamente perspicaci, capaci di vigilare scrupolosamente sugli interessi dello Stato...
I quadri sono la forza decisiva nella direzione del partito e dello Stato. Senza la giusta scelta e la formazione dei quadri è impossibile realizzare con successo la linea politica del partito. Il compito principale nella scelta dei quadri è di migliorare con tutti i mezzi le qualità dei dirigenti, di rafforzare le nostre organizzazioni di partito, statali ed economiche con uomini devoti agli interessi del partito e dello Stato, competenti nel loro lavoro e capaci di farlo progredire...
Oggi che tutti i settori dell'economia sono attrezzati con la tecnica d'avanguardia e che il livello culturale del popolo sovietico si è immensamente elevato, sono cambiate, sono aumentate le esigenze nei confronti dei quadri. A dirigere l'industria e l'agricoltura, nell'apparato del partito e dello Stato, debbono trovarsi uomini colti, che conoscano bene il loro lavoro, capaci di infondere nuove energie, di promuovere tutto ciò che è avanzato e progressivo e di svilupparlo in modo costruttivo. Noi abbiamo quanto è necessario per ottenere questo, poiché la base per scegliere e fare avanzare i quadri dirigenti, che soddisfino tali esigenze, è divenuta più larga di una volta.
L'ulteriore consolidamento della composizione dei quadri dirigenti dipende oggi principalmente dalla giusta organizzazione dello studio e della scelta dei funzionari: perciò è necessario eliminare in primo luogo le deficienze, gli errori e le storture nel lavoro relativo ai quadri. E in questo campo abbiamo non poche deficienze.
La principale deficienza è determinata dal fatto che alcuni dirigenti non sono guidati nella scelta del personale dalle qualità politiche e professionali, ma da considerazioni di parentela, di amicizia, di comunanza del paese d'origine. Accade spesso che lavoratori onesti, che conoscono bene il loro lavoro ma che sono perspicaci e non tollerano le deficienze e che perciò arrecano disturbo alla direzione, vengono licenziati con vari pretesti e sostituiti con persone di dubbio valore o addirittura incapaci per quel lavoro, ma che sono però comode e utili a certi dirigenti. In seguito a queste deviazioni dalla linea del partito nella scelta e nell'avanzamento dei quadri, in alcune organizzazioni si forma un ristretto circolo di persone che si proteggono reciprocamente e che pongono gli interessi del loro gruppo al di sopra di quelli del partito e dello Stato. Nessuna meraviglia che una tale situazione conduca di solito alla disgregazione e al disfacimento...
Una lotta implacabile deve essere condotta contro lo spirito di gruppo e contro il sistema delle protezioni reciproche, e bisogna por fine all'impostazione burocratica dello studio e della scelta dei quadri. L'attività degli organi del partito per lo studio e la scelta dei quadri deve essere portata ad un livello più alto, e deve essere considerevolmente rafforzato il controllo del partito sulla situazione esistente nei soviet e nelle organizzazioni economiche per quanto riguarda il problema dei quadri.
Bisogna far sì che la scelta degli uomini ed il controllo dell'esecuzione occupino effettivamente il posto principale nell'attività direttiva degli organismi centrali e locali di partito, dei soviet e delle organizzazioni economiche. Occorre ricordare che il controllo dell'esecuzione ha innanzitutto lo scopo di scoprire le deficienze, di portare alla luce le illegalità, di aiutare i quadri onesti con consigli, di punire gli incorreggibili e di assicurare l'attuazione delle decisioni adottate, di far tesoro dell'esperienza e, sulla sua base, assicurare la più giusta, vantaggiosa ed economica soluzione del compito dato. Non deve essere permesso che si formi una tendenza a considerare burocraticamente il controllo dell'esecuzione. Non dobbiamo temere di annullare o di rettificare una decisione già presa, se essa si rivela sbagliata o imprecisa. Il controllo dell'esecuzione è inseparabilmente legato al compito di eliminare le deficienze nella scelta dei quadri; secondo i risultati del controllo, i quadri inefficienti, inadatti, arretrati, non coscienziosi debbono essere rimossi e sostituiti con elementi migliori, più adatti, più avanzati, più onesti; il controllo dell'esecuzione deve facilitare l'avanzamento di nuovi quadri, capaci di fare andare avanti bene le cose, solleciti degli interessi dello Stato.
4) In numerose organizzazione del partito si costata una sottovalutazione del lavoro ideologico, per cui il lavoro rimane indietro rispetto ai compiti fissati dal partito e in numerose organizzazioni regna la trascuratezza.
Il lavoro ideologico è il compito principale del partito, e la sottovalutazione di questo lavoro potrebbe causare un danno irreparabile agli interessi del partito e dello Stato. Noi dobbiamo tenere a mente sempre che ogni qualvolta si indebolisce l'influenza dell'ideologia socialista, si rafforza l'influenza dell'ideologia borghese...
Nel nostro paese domina l'ideologia socialista, il cui incrollabile fondamento è il marxismo-leninismo. Nondimeno, noi abbiamo ancora residui dell'ideologia borghese, sopravvivenze della psicologia e della morale della proprietà privata. Queste sopravvivenze non si estinguono da sole; esse sono molto tenaci e suscettibili di sviluppo, e contro di esse va condotta una lotta risoluta. Noi non siamo inoltre garantiti dalla penetrazione di opinioni, di idee e di sentimenti estranei a noi, provenienti, sia dall'estero dagli Stati capitalistici, che dall'interno, da parte di gruppi ostili al potere sovietico che il partito non ha ancora messo nell'impossibilità di nuocere. Non si può dimenticare che i nemici dello Stato sovietico cercano di diffondere, incoraggiare e riaccendere ogni specie di sentimenti malsani, cercano di corrompere ideologicamente gli elementi vacillanti della nostra società.
Alcune nostre organizzazioni di partito, troppo spesso prese dalle questioni economiche, dimenticano i problemi ideologici, li lasciano da parte. Persino in organizzazioni avanzate del partito, come per esempio quella di Mosca, il lavoro ideologico non viene sufficientemente curato. Questo si sconta a caro prezzo. Laddove si verifica un rilassamento dell'attenzione per le questioni ideologiche, si crea un terreno favorevole al risorgere di opinioni e concetti a noi ostili.
Elementi a noi estranei, provenienti dai residui della feccia antileninista sconfitta dal nostro partito, cercano di allungare le mani su quei settori del lavoro ideologico che per un motivo o per l'altro sono trascurati dalle organizzazioni di partito e dove la direzione e l'influenza del partito si sono indebolite, allo scopo di utilizzare questi settori per introdurre di soppiatto la loro linea, per far rinascere e diffondere ogni sorta di 'opinioni' e di 'idee' non marxiste.
La sottovalutazione del lavoro ideologico è in larga misura il risultato del fatto che una certa parte dei nostri quadri dirigenti non si preoccupa di migliorare il proprio livello ideologico, non arricchisce le sue cognizioni in materia di marxismo-leninismo, non fa tesoro dell'esperienza storica del partito. Senza tutto questo non è possibile divenire dei dirigenti maturi e completi. Colui che resta indietro ideologicamente e politicamente, colui che vive di formule imparaticce e non è sensibile a ciò che è nuovo, è incapace di orientarsi giustamente nella situazione interna ed internazionale, non può essere alla testa del movimento e non ne è degno. Presto o tardi la vita lo metterà da parte. Soltanto un dirigente che lavora costantemente per migliorare la propria formazione, che acquista una conoscenza feconda del marxismo-leninismo, che acquista e perfeziona in sé le qualità di dirigente del tipo leninista-staliniano, può essere all'altezza dei compiti del nostro partito...
L'approfondimento delle cognizioni politiche dei membri effettivi e dei membri candidati del partito è una condizione imprescindibile per rafforzare la loro funzione di avanguardia in tutti i campi della vita, per attivizzare ulteriormente le masse del partito e migliorare il lavoro delle sue organizzazioni...
Tutti i nostri quadri, senza eccezione, hanno il dovere di elevare il loro livello ideologico e assimilare la ricca esperienza politica del partito, per non staccarsi dalla vita ed essere all'altezza dei compiti del partito. Le organizzazioni di partito debbono condurre tra i membri effettivi e i membri candidati del partito un lavoro costante per elevare il loro livello ideologico, insegnare loro il marxismo-leninismo, facendone dei comunisti coscienti, politicamente preparati".163
Così come aveva fatto Lenin, anche Stalin dedicò sempre grande impegno ed attenzione al lavoro necessario a far sì che nel partito bolscevico crescesse e si rafforzasse un alto spirito rivoluzionario, un'alta coscienza marxista-leninista e una grande coesione nel raggiungimento della vittoria del socialismo. Queste doti e queste qualità nel partito della classe operaia non sono mai acquisite una volta per tutte, ma devono essere costantemente perseguite e conquistate studiando ed applicando il marxismo-leninismo, praticandone nella vita e nell'attività quotidiane il suo stile e il suo metodo di lavoro. Il glorioso partito bolscevico di Lenin e di Stalin rimase sempre decisamente e fermamente orientato su questi principi e su questi insegnamenti.
Purtroppo, con la scomparsa di Stalin, "i residui della feccia antileninista" rimasti annidati e nascosti nelle file dei comunisti sovietici uscirono allo scoperto dando un nuovo e decisivo impulso alla loro azione disgregatrice e controrivoluzionaria fino alla restaurazione del capitalismo in Urss. Tra la "feccia antileninista" vi erano anche diversi alti dirigenti del Partito e dello Stato, gli stessi che al XIX congresso avevano esaltato la figura, l'opera e la politica di Stalin.
Restano però, e rimarranno incancellabili, per i sinceri rivoluzionari e i marxisti-leninisti di ogni parte del mondo, gli alti insegnamenti lasciati da Stalin.


La morte di Stalin

Il 4 marzo 1953 alle otto del mattino la radio sovietica interruppe le sue trasmissioni. I popoli dell'URSS ascoltarono sgomenti questo comunicato: "Il Comitato centrale del partito comunista dell'Unione Sovietica e il Consiglio dei ministri dell'URSS annunciano la sciagura che ha colpito il partito e il popolo, la grave malattia del compagno Stalin. Durante la notte fra l'1 e il 2 marzo, mentre si trovava nel suo appartamento di Mosca, il compagno Stalin ha avuto un'emorragia cerebrale che ha leso zone vitali del cervello. Il compagno Stalin ha perduto coscienza ed è rimasto paralizzato al braccio e alla gamba destri. È seguita la perdita della parola. Si sono riscontrati seri disturbi nel funzionamento del cuore e dell'apparato respiratorio". 164
Dopo una lunga e sofferta agonia, Stalin morì alle 21 e 50 del 5 marzo 1953.
Quando fu dato l'annuncio ufficiale della morte di Stalin non solo l'Unione Sovietica, ma il mondo intero venne attraversato dal sincero e profondo dolore di masse sterminate di milioni di uomini, manifestato in un numero incalcolabile di commemorazioni pubbliche svoltesi nei diversi paesi, da un capo all'altro del pianeta. Tutto il proletariato internazionale e tutta l'umanità progressiva piansero la perdita del loro amato dirigente e maestro, la scomparsa del grande costruttore del socialismo in Urss, il grande maestro del proletariato internazionale.


Il pensiero e l'opera politica di Stalin sono parte essenziale e insostituibile del marxismo-leninismo

Commemorando Stalin all'indomani della sua morte Mao affermò:
"Il compagno Josif Vissarionovic Stalin ci ha lasciati per sempre: il più grande genio dell'epoca contemporanea, il maestro del movimento comunista internazionale, il compagno di lotta dell'immortale Lenin. L'attività sia teorica sia pratica di Stalin è un contributo incalcolabile alla nostra epoca. Il compagno Stalin rappresenta un'intera epoca nuova. Grazie alla sua attività il popolo sovietico e i lavoratori di tutto il mondo hanno cambiato la situazione internazionale. Ciò significa che la causa della giustizia, della democrazia popolare e del socialismo ha vinto su vasta scala, e cioè su un terzo della popolazione mondiale, più di 800 milioni di uomini. L'azione di questa vittoria si diffonde di giorno in giorno in tutti gli angoli del mondo. La morte del compagno Stalin ha suscitato nei lavoratori di tutto il mondo un dolore che non ha eguali, ha toccato profondamente i cuori degli uomini onesti di tutto il mondo. Ciò dimostra che la causa del compagno Stalin e delle sue idee hanno coinvolto larghe masse popolari, diventando una forza invincibile. Questa forza guida i popoli già vincitori di vittoria in vittoria e farà anche sì che tutti coloro i quali gemono sotto il giogo del vecchio mondo capitalista impantanato nelle miserie, possano coraggiosamente levarsi contro i nemici del popolo".165
Oggi come ieri la lotta per il socialismo, per la sua affermazione e per la sua realizzazione non possono in alcun modo prescindere da Stalin, dalla sua vita e dalla sua opera rivoluzionaria marxista-leninista.
Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, ha scritto: "I meriti di Stalin sono incalcolabili, sia in riferimento alla Rivoluzione russa sia in riferimento alla rivoluzione mondiale. Finché è stato vivo Lenin gli ha fatto modestamente da spalla considerandosi un semplice suo allievo. Quando egli è morto ne ha ereditato il pensiero e l'opera in maniera attiva e militante, mettendoli a frutto, difendendoli e sviluppandoli sulla base delle nuove situazioni interne e internazionali.
Per quasi trenta anni, egli ha diretto con mano ferma e magistrale il Partito, l'URSS, il movimento comunista internazionale, il campo socialista e la rivoluzione mondiale. Nel contempo egli ha arricchito il tesoro comune del marxismo-leninismo in ciascuna delle sue tre parti costitutive, ossia il socialismo scientifico, la filosofia e l'economia politica. Un'opera gigantesca e immortale che continua ancora adesso a dare i suoi frutti, nonostante i rovesci storici e i grandi tradimenti dei revisionisti che sono avvenuti nel frattempo.
Il merito più grande è quello di aver salvato il Partito e lo Stato dagli assalti dei revisionisti di destra e di "sinistra" (Bucharin, Trotzki, Kamenev, Zinoviev e altri) che, approfittando della morte di Lenin, volevano restaurare il capitalismo in URSS. Nella lotta contro questi agenti della borghesia egli ha regalato al movimento operaio internazionale degli insegnamenti fondamentali anzitutto sui piani ideologico e teorico per quanto concerne l'origine, la natura, gli scopi e la funzione del revisionismo di destra e di "sinistra". È proprio nel corso di questa lotta che Stalin ha sistematizzato e sviluppato il leninismo per quanto concerne il Partito, l'edificazione di un paese socialista, la questione nazionale, la strategia e la tattica della rivoluzione socialista, la lotta contro il revisionismo.
Il pensiero e l'opera di Stalin racchiudono quindi una esperienza essenziale della storia del movimento operaio internazionale, della lotta di classe, della lotta tra socialismo e capitalismo e tra marxismo-leninismo e revisionismo. Un'esperienza che non possiamo né ignorare, né sottovalutare, né tantomeno disperdere se non vogliamo cadere nel campo della borghesia e della controrivoluzione.
È come se Stalin corrispondesse a un dito di una mano, dove le altre quattro dita sono costituite da Marx, Engels, Lenin e Mao. Se ci privassimo di una qualsiasi di queste dita la mano perderebbe la sua completezza e l'interezza delle sue funzioni.
Naturalmente il pensiero di Stalin, come del resto quello degli altri quattro maestri, non va interpretato letteralmente, perché il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non è un dogma ma una guida per l'azione, va applicato correttamente nelle nostre condizioni specifiche e concrete, tenendo presenti gli sviluppi che a questo pensiero ha apportato Mao. In particolare per quanto concerne l'edificazione del Partito e dello Stato socialista, la lotta contro il revisionismo per evitare la restaurazione capitalista, e la strategia e la tattica della rivoluzione nei paesi coloniali e semicoloniali del Terzo mondo...
Non c'è dubbio che Stalin abbia commesso degli errori. Alcuni dei quali da egli stesso denunciati successivamente, sulla base dell'esperienza e di una analisi marxista-leninista più attenta, accurata e dialettica. Vedi, per esempio, le autocritiche che egli fa nella prefazione al primo volume delle sue opere complete scritte nel gennaio 1946 per quanto riguarda la questione agraria e la vittoria della rivoluzione socialista, e nell'opera "Problemi economici del socialismo nell'Urss" scritta nel settembre '52 per quanto concerne l'esistenza delle classi e della lotta di classe nel socialismo. Altri suoi errori sono stati rilevati da Mao e da noi marxisti-leninisti italiani condivisi.
C'è perciò una differenza profonda tra gli errori di Stalin che rileviamo noi marxisti-leninisti e gli errori presunti denunciati dai nemici di classe e dai loro lacché. Noi li rileviamo per salvaguardare la purezza della linea marxista-leninista, essi lo fanno per attaccare, stravolgere e abbattere tale linea e per far deviare il proletariato dalla via maestra dell'Ottobre.
Il problema vero allora non è tanto di sapere se Stalin abbia o no commesso degli errori, quanto di sapere individuare gli errori veri da quelli presunti, quanto di saper ricercare le cause degli errori per imparare la lezione e per evitare di ricommetterli, quanto di sapere se sono stati commessi in buona fede o con l'intenzione malevola di nuocere alla causa del proletariato e del socialismo.
Per noi è fuor di dubbio che gli errori commessi da Stalin sono unicamente da addebitarsi essenzialmente alla mancanza di esperienza. Ricordiamoci che nessuno prima di lui, tranne Lenin ma per nemmeno sette anni, aveva guidato l'edificazione di uno Stato socialista in una situazione di completo accerchiamento imperialista e avendo sulle spalle le responsabilità e i problemi della direzione del movimento comunista internazionale...
In ogni caso gli errori commessi da Stalin non sminuiscono la sua figura, il suo pensiero e la sua opera. Rimane pur sempre un gigante del pensiero e dell'azione rivoluzionari, un grande maestro dei marxisti-leninisti e del proletariato internazionale.
I fatti in URSS, in Italia e nel mondo hanno ampiamente dimostrato che seguendo Stalin si avanza speditamente e con sicurezza sulla via dell'Ottobre, del socialismo e dell'emancipazione dell'umanità. Mentre seguendo Bucharin, Trotzki, Krusciov, Breznev, Gorbaciov ed Eltsin, e quindi Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta, Occhetto, D'Alema, Cossutta e Bertinotti, il capitalismo, l'imperialismo e il fascismo hanno completo campo libero e il proletariato rimane subalterno alla borghesia e non riesce a conquistare il potere politico.
Teniamo allora sempre alta la grande bandiera rossa di Stalin, sicuri che coi maestri vinceremo!
Gloria eterna a Stalin, grande maestro dei marxisti-leninisti e del proletariato internazionale!".166
 
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compagno-catanzarese
view post Posted on 24/3/2009, 15:37




posso avere un informazione: perchè alla fine di questo interessantissimo testo, c'è una chiara nota a Gramsci, considerato al pari di uomini come D'Alema, e altri. Cioè, cosa è stato contestato del suo pensiero?
 
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mao tse tung
view post Posted on 24/3/2009, 16:29




CITAZIONE
Mentre seguendo Bucharin, Trotzki, Krusciov, Breznev, Gorbaciov ed Eltsin, e quindi Gramsci

continuiamo cosi', facciamoci del male...
 
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view post Posted on 24/3/2009, 20:01
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compagno

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La pecca su Gramsci effettivamente è grave.
E soprattutto è un vero peccato che sia presente in un testo per molti versi di prim'ordine.
 
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view post Posted on 5/3/2014, 15:23

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