Comunismo - Scintilla Rossa

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view post Posted: 2/5/2024, 09:50 Ucraina, scendono in campo gli Stati Uniti - Esteri
Pubblicato il 01/05/2024 da pennatagliente

Le armi speciali dell’Occidente non funzionano


I pennivendoli di “Repubblica”, “La Stampa” e altri propagandisti di guerra ci hanno raccontato per più di due anni che con le “armi speciali” inviate dall’Occidente Zelensky avrebbe riconquistato tutti i territori perduti inclusa la Crimea. “La Repubblica” di Elkann Agnelli, uno che di armi se ne intende perché le vende, un anno fa aveva intervistato un “grande esperto”, un certo Kurt Volket, che aveva profetizzato: “Mandare i carri armati è una mossa decisiva. Ora Zelensky può vincere la guerra.” Infatti abbiamo visto i potentissimi carri armati americani, inglesi e tedeschi bruciare nelle pianure del Donbass. Gli Stati Uniti hanno deciso addirittura di ritirare i carri armati Abrams. Michela Iaccarino ha chiesto a Gianandrea Gaiano, di “Analisi Difesa”, il motivo di questa decisione. Risposta: “Il ritiro dei carri Abrams indebolisce ancora di più le truppe di Kiev. Ma bisogna considerare che gli USA sono non solo il più grande produttore ma anche il maggior esportatore di armi. Se un’arma si dimostra dominante in in conflitto, ciò porta a contratti e vendite all’industria militare americana. Che invece subisce un danno se questi carri armati vengono distrutti da un drone da poche migliaia di dollari.

Gli Abrams come gli altri mezzi corazzati possono essere decimati dai droni russi.” Domanda: “Un lungo dibattito ha preceduto l’invio dei Leopard” – “I Leopard sono i diretti rivali degli Abrams sul mercato. Un buon numero di carri tedeschi sono andati distrutti durante la controffensiva ucraina. Anche i Challenger che avevano spedito i britannici sono spariti dal campo di battaglia dopo la distruzione di due esemplari. Adesso l’arma che viene presentata come “risolutiva” sono i missili balistici Atacms, che gli americani hanno fornito agli ucraini. Hanno 300 chilometri di raggio d’azione ma non apportano cambiamenti in prima linea, dove i russi avanzano e gli ucraini soffrono per inferiorità di uomini, armi e munizioni.” Domanda: – “Un’altra problematica va risolta. Mosca produce più armamenti di quanto NATO e U E possano spedire a Kiev”. “Per potenziare così tanto la nostra produzione ci vogliono armi e miliardi, è impossibile farlo in questo momento di recessione economica. Produrre armi vuol dire produrre acciaio. Il mese scorso la Turchia, in questo, ha superato la Germania perché a differenza dell’Europa continua a disporre di gas russo a bassissimo prezzo.

Ciò che l’Europa produce costa troppo in termini energetici.

È una problematica che non si supera con una guerra a oltranza sino all’ultimo ucraino”. Nei suoi ultimi video Nicolai Lilin ha mostrato centinaia di soldati ucraini che si arrendono ai russi.

Non soltanto si sono arresi, ma hanno chiesto di non essere scambiati con prigionieri russi.
view post Posted: 1/5/2024, 10:17 La strage di Lipa - Storia
https://www.editorialedomani.it/idee/cultu...sPA4JjUjbv4599W

La strage dimenticata. Così ottant’anni fa nazisti e fascisti uccisero centinaia di innocenti a Lipa



GIOVANNI GIOVANNETTI
29 aprile 2024
È un piccolo paesino croato, ma ai tempi era Italia. Durante la Seconda guerra mondiale, c’è stato un massacro di donne, vecchi e bambini. La storia ha perlopiù dimenticato il loro destino, ma sono sopravvissute anche delle foto. La storia è stata ricostruita in un romanzo, che contribuisce a riaccendere l’attenzione su uno dei grandi drammi del passato

Lipa è un piccolo borgo istriano poco distante da Fiume. Ora è Croazia, ma dal 1920 al 1947 (è l’anno del Trattato di Parigi, che consegnò buona parte dell’Istria alla Jugoslavia) era una frazione del comune Italiano di Elsane, oggi Slovenia.

Domenica 30 aprile 1944, ottant’anni fa, in questo villaggio si compì uno dei drammi meno avvicinabili e avvicinati della storia criminale dell’ultimo conflitto mondiale: 287 civili inermi, quasi solamente donne, vecchi e bambini, tutti cittadini italiani, furono passati per le armi o arsi vivi in replica terroristica a un attacco partigiano al vicino presidio fascista di Rupa e a un convoglio militare tedesco in transito lungo la strada che da Fiume porta a Trieste (due le vittime).

La strage di Lipa è tra le più crudeli compiute dai nazifascisti nell’Italia di allora, senza dubbio equiparabile ai massacri di Monte Sole in Emilia, di Sant’Anna di Stazzema in Toscana, o delle romane Fosse Ardeatine; eppure mai un’autorità pubblica italiana ha inteso ricordarla. Cancellata. Polvere tra le pieghe della storia.


Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, l’arresto di Mussolini e l’armistizio dell’8 settembre 1943, nell’incalzante susseguirsi degli eventi il 12 settembre Adolf Hitler firmò il decreto costitutivo dell’Alpenvorland (Alto Adige, comprendente le provincie di Trento, Bolzano e Belluno) e dell’Adriatisches Küstenland (Litorale adriatico), una vasta zona che sommava le provincie di Trieste, Udine, Gorizia, Pordenone, Lubiana, Istria, Quarnaro e le zone incorporate di Sussak, Buccari, Concanera, Castua e Veglia.

Sono territori che fino a vent’anni prima appartenevano all’impero austriaco; ora vengono sottratti all’amministrazione della Repubblica sociale e affidati all’ex Gauleiter di Klagenfurt, l’austriaco Friedrich Rainer (i Gau erano i distretti amministrativi del Terzo Reich) di stanza a Trieste e si prospettava, a fine guerra, se vinta dai tedeschi, un qualche accomodamento del Triveneto e dell’Alto Adige nella futuribile Grande Germania. Lo stesso Rainer, in una lettera del 15 novembre 1943 a Martin Bormann (era il segretario personale di Hitler), ha modo di ribadire che «per nessun motivo il governo italiano potrà esercitare in queste zone la sua sovranità». Con buona pace dei fascisti repubblichini, sodali dei tedeschi.

Temendo uno sbarco anglo-americano in Istria o in Friuli, da subito i nazisti si riaffacciarono aggressivi lungo la Pontebbana in Friuli e sul litorale adriatico. L’11 settembre 1943 una colonna motorizzata venne affrontata dagli insorti e da alcuni reparti di soldati italiani in una sanguinosa battaglia al bivio di Tizzano a sud del fiume Quieto, e di nuovo al canale di Leme e presso la zona carbonifera dell’Arsia. E sin qui la possiamo ritenere guerra fra combattenti.

Ma il 2 ottobre, guidati da “ascari” fascisti del posto, colonne tedesche partite da Trieste, Fiume e Pola sciamarono impietose nei villaggi dell’interno massacrando e bruciando (è la cosiddetta operazione Istrien o Wolkenbruch, Nubifragio, guidata dal generale delle SS Paul Hausser).


Villanova del Quieto, Grisignana, Pisino, Salambati, Albona, Gimino, Cresini... a Cresini (una frazione di Gimino) il 7 ottobre questi criminali in divisa rinchiusero in una casa tre madri con cinque bambini, poi gettarono una bomba dalla finestra e appiccarono il fuoco. Davanti al villaggio, due sorelle furono uccise e i loro corpi gettati su una pila di paglia e bruciati.

In un crudo documento del 28 gennaio 1944 di penna Ustaša (sono i fascisti croati amici di Hitler e di Mussolini), la narrazione dell’orrore non è da meno: si legge infatti che a Gimino i tedeschi «hanno ucciso 15 bambini al di sotto dei sette anni, 197 adulti e 29 sono morti sotto i bombardamenti, in totale 241 persone. Nella vicina Coppellania di Cere, che conta 1.300 abitanti, hanno ucciso due donne e sessantadue uomini. Non si sono mai preoccupati di accertare se qualcuno fosse partigiano o no, ma hanno fucilato a casaccio come a loro piaceva. In molte case hanno mangiato e bevuto abbondantemente e poi, andandosene, hanno ammazzato uno o due castigliani». Non mancano le cronache di violenze a donne e ragazzine, e l’annotazione che nel villaggio di Parizi gli unici sopravvissuti sono «due maschi, ottantenni».

Insomma, la sola operazione Wolkenbruch costò la vita ad almeno 3mila persone. E diversi partigiani fucilati dai tedeschi poi gettati in foiba passeranno per vittime della “violenza slava”.


A Lipa come a Sant’Anna e a Monte Sole: in Toscana e in Emilia i nazisti prima ammazzarono con bombe e mitraglia e poi bruciarono i cadaveri con i lanciafiamme; a Lipa i terroristi del battaglione Karstwehr (una unità antiguerriglia delle Waffen SS) hanno stipato gli abitanti in una casa del paese e poi le hanno dato fuoco.

Gli unici due sopravvissuti (Ivan Ivancich – un anziano che, pur ferito, si era finto morto – e Maria Africh, che si salverà grazie all’aiuto di uno sconosciuto carabiniere) dissero che i soldati parlavano in tedesco e in italiano. Infatti, all’eccidio di Lipa parteciparono attivamente le camicie nere italiane della caserma di Rupa: italiani come il ventiseienne tenente Aurelio Piesz del terzo reggimento della Milizia difesa territoriale (le camicie nere fasciste), comandante del presidio di Rupa a cui, in quel pomeriggio di fine aprile, un bambino che lo conosceva – raccontano i sopravvissuti – corse incontro per cercare aiuto e protezione e lui invece lo sospinse nel rogo, assieme ad altri 95 coetanei.

Come ci ricorda Claudia Cernigoi, «Piesz fu arrestato a Trieste nel maggio 1945; fu processato e condannato a morte, impiccato il 31 maggio al bivio di Rupa», ma in Italia questo delinquente passerà per infoibato dagli jugoslavi (Simona Sardi sul Giornale del 10 febbraio 2021) oppure meritevole di un riconoscimento alla memoria «nel nome dell’italianità, della civiltà e della libertà», come di Piesz ha scritto il deputato triestino di Alleanza nazionale Antonio Menia. Insomma, un altro italiano ucciso perché «colpevole solo di essere italiano».


Sul massacro di Lipa i tedeschi non stilarono rapporti ufficiali. Ma se ne conserva una clamorosa documentazione visiva nelle foto-ricordo di un soldato che vi prende parte. Una copia di queste immagini venne infatti segretamente stampata dal fotografo a cui quel militare aveva affidato il rullino: si vedono i carnefici sorridere a chi li riprende quasi fossero turisti in visita di piacere, come se ammazzare donne vecchi e bambini inermi fosse una cosa normale. Nella loro vita civile questi soldati erano forse contadini, artigiani, bottegai, con una famiglia da mantenere; ma ora sono lì a fare quello che fanno, a eseguire puntualmente gli ordini dei superiori.

A Lipa come in Slovenia come ad Auschwitz Birkenau come in Africa: le più crude testimonianze visive degli orrori delle guerre di Hitler e Mussolini si rivelano le “foto-ricordo” degli stessi soldati di Hitler e Mussolini.

«L’orrore ha un volto», scrive Giuseppe Vergara in epigrafe a Primavera di sangue (Conti, 2017), un romanzo che trae spunto da questa orrenda strage e dalle fotografie scattate a Lipa e altrove da uno sconosciuto soldato tedesco che, nella finzione letteraria, prende il nome di Martin Halder.


Ma una delle figure centrali di questo romanzo è reale, come reale è il contesto storico: si tratta di Mehdi Hüseynzade, il partigiano azero Mikhailo, un ex soldato dell’Armata rossa reduce dalla battaglia di Stalingrado che, dopo la cattura da parte dei tedeschi e l’arruolamento, diciamo fittizio, nella 162ª divisione turkmena della Wehrmacht, arrivato sul fronte italo-jugoslavo decise di unirsi ai partigiani sloveni della Terza brigata Ivan Gradnik del IX Korpus, divenendo il vice comandante del battaglione russo.

Assieme al connazionale Mirdaməd Seyidov (aliasIvan Ruskj) Mikhailo farà strage di soldati tedeschi in due attentati al cinema di Opicina e alla mensa ufficiali di palazzo Rittmeyer a Trieste. Questo coraggioso partigiano cadrà a Vittuglia (ora Vitovlje in Slovenia) il 2 novembre 1944, vittima di una imboscata, e l’Azerbaigian lo ha tra i suoi eroi nazionali.


Le sue intrepide gesta sono narrate in saggi come Dal Caucaso agli Appennini di Mikhail Talalay (Teti, 2013); in romanzi come Uzaq Sähillärdä (1954, Sulle rive lontane) degli azeri Imran Gasimov e Hasan Seyidbeyli; nell’omonimo film di Tofiq Tağızadənin del 1958; in documentari come Era soprannominato Mikhajlo di Tahir Aliyev del 2008. Nonché, in Italia, dal bel romanzo e in altri scritti di Vergara.

Anche dell’eccidio di Sant’Anna in Toscana si era tornati un poco a parlare, dopo decenni di oblio, grazie a un romanzo, Le ceneri rimosse di Francesco Belluomini, uscito da Newton nel 1989. E di nuovo a partire dal 1994, dopo il ritrovamento di un corposo dossier volutamente dimenticato in un armadio chiuso e con le ante rivolte verso la parete. È il cosiddetto “armadio della vergogna” di palazzo Cesi-Gaddi, contenente 2.274 dossier sulle stragi impunite compiute in Italia dai nazisti assieme ai loro sodali fascisti. Documenti che, per ragioni di opportunità, si era deciso di occultare.



Giovanni Giovannetti
GIOVANNI GIOVANNETTI
Giornalista, editore e fotografo, nel 1988 ha fondato l'agenzia fotografica Effigie, divenuta poi anche casa editrice.
view post Posted: 1/5/2024, 10:14 Saluti - Presentazioni
Benvenuto, vecchio come me.
view post Posted: 29/4/2024, 10:49 Saluti - Presentazioni
Sei benvenuto e, forse, nel posto giusto per formarti. ;)
view post Posted: 27/4/2024, 09:13 Antonio Gramsci - Discussioni varie
l 27 aprile 2024 ricorre l’87°anniversario della morte del compagno Antonio Gramsci, il capo della classe operaia del nostro paese assassinato dal fascismo che lo incarcerò e condannò, tramite il “Tribunale speciale per delitti contro la sicurezza dello Stato”, a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di galera.

Quando fu arrestato, l’8 novembre 1926, Gramsci, oltre ad essere il segretario del Partito Comunista d’Italia – sezione della Internazionale Comunista, era anche deputato eletto per la XXVII legislatura del Regno d’Italia. Godeva quindi dell’immunità parlamentare che il fascismo calpestò sfacciatamente.

L’elezione di Gramsci avvenne cento anni fa, nell’aprile 1924. Come e perché venne eletto deputato, per svolgere la lotta comunista anche dalla tribuna parlamentare, secondo le indicazioni di Lenin?

Riteniamo utile ripercorrere questa pagina di storia, poco conosciuta ma molto interessante.

Dal dicembre del 1923 Gramsci si trovava a Vienna, impossibilitato a tornare in Italia. Con l’avvento del regime fascista era stato infatti emesso un mandato di cattura anche nei suoi confronti. Il Comitato esecutivo dell’Internazionale Comunista, di cui Gramsci faceva parte in quanto rappresentante del Partito Comunista d’Italia (PCd’I), gli aveva perciò suggerito di trasferirsi nella città austriaca per seguire più da vicino la situazione e l’attività comunista in Italia, curare l’attività giornalistica e mantenere i collegamenti internazionalisti.

Alla vigilia delle elezioni politiche del 1924, che si svolsero con la famigerata legge-truffa “Acerbo”, la direzione del PCd’I propose, già nel gennaio 1924, un blocco di «unità proletaria», ai due partiti socialisti: il PSI di Turati e il PSU di Matteotti.

Il Partito Comunista nell’avanzare questa proposta escluse la possibilità di un accordo di carattere temporaneo, teso al solo scopo di una modifica numerica dei risultati delle elezioni, ma affermò la necessità di concludere un fronte unico permanente tra i partiti posti sul terreno della lotta di classe, interessati perciò non alla semplice affermazione elettorale, bensì al futuro abbattimento dello Stato borghese.

Vi erano dubbi nel PCd’I sull’opportunità di rivolgere la proposta in tali termini al PSU, pregiudizialmente contrario ad una negazione dei principi democratico-borghesi.

Ma tali dubbi vennero superati dalla convinzione che l’inesistenza in Italia di una possibile opposizione democratica e costituzionale poneva anche i riformisti di fronte al problema della lotta contro lo Stato.

È evidente in questa scelta il riavvicinamento del PCd’I alle direttive date, fin dal giugno 1921, dal III Congresso dell’Internazionale Comunista, alle quali si era opposta la direzione bordighista che, essendo ostile alla fusione con la frazione terzinternazionalista del PSI, considerava il fronte unico esclusivamente sul piano sindacale.

Venne, quindi preparata una lettera firmata da Togliatti, che fu inviata ai due partiti socialisti e comunicata alla stampa.

Nella dichiarazione comunista si posero tre pregiudiziali alla formazione del blocco elettorale.

Con la prima, si chiedeva che il blocco operaio accettasse l’indirizzo tattico comunista in quanto «considera la lotta elettorale come un momento dell’azione che il Partito comunista conduce per la formazione di un fronte unico per la difesa degli interessi economici e politici della classe lavoratrice».

Con la seconda, si «approva e conferma la deliberazione di partecipare alla lotta elettorale», ciò in qualunque condizione, escludendo così un’eventuale astensione del blocco proposto.

Con la terza, venne escluso a priori «lo scopo di una restaurazione pura e semplice delle libertà statutarie» respingendo cioè ogni criterio «volto unicamente ad ottenere uno spostamento nei risultati numerici delle elezioni», che partisse da preoccupazioni esclusivamente elettorali.

La ferma decisione partecipazionista dei comunisti rese problematica un’intesa fra i tre partiti, in quanto, sia per i massimalisti sia per gli unitari, la questione della partecipazione o meno, rimaneva invece aperta. Essi, infatti, ritenevano che a favore dell’astensione ci fossero due dati: la situazione nelle province, dove era impossibile la libera manifestazione di volontà, e la legge elettorale, che assicurava preventivamente il successo al governo.

Dopo il passo ufficiale compiuto tempestivamente dai comunisti, pur criticando la loro decisione partecipazionista, non restò alla direzione del PSI che dare mandato di invitare a Roma per il 26 gennaio le rappresentanze dei tre partiti per «prendere una decisione definitiva circa la formazione del blocco socialista di unità proletaria, sia nel senso dell’astensione, che della partecipazione».

Il PSU, invece, inviò al PCd’I una lettera dal tono piuttosto violento, firmata dal segretario Matteotti. Egli accusò i comunisti di aver voluto rendere impossibile un’intesa fissando le pregiudiziali, cioè imponendo l’adozione del partecipazionismo come tattica elettorale ed escludendo qualsiasi blocco di opposizione al fascismo volto alla restaurazione delle libertà statutarie, magari anche con l’appoggio di elementi non appartenenti ai tre partiti di classe. Matteotti rifiutò perciò l’incontro.

A seguito di contatti, venne convocata una nuova riunione per il 28 gennaio. Ma sia riformisti che comunisti, apparvero sempre più rigidi sulle rispettive pregiudiziali.

I riformisti, per bocca di Matteotti, ribadirono l’impossibilità di un blocco positivo e programmatico e posero una questione di principio: «Noi vogliamo lottare contro il fascismo in nome della libertà, voi in nome della dittatura…. Siete disposti a dichiarare che rinunciate alla dittatura, che siete contro tutte le dittature? Se sì, possiamo senz’altro far la lista comune; se no, ciascuno deve andare per la propria strada».

La loro diversa concezione della lotta di classe, il rifiuto della forza per la conquista del potere e la loro fiducia nella possibilità di accordi con gruppi borghesi antifascisti, impedirono di trovare un punto di incontro con i comunisti.

Il PCd’I dal canto suo, esigeva dai riformisti una scelta tra un blocco operaio classista e un blocco di opposizione costituzionale e borghese. Riproposero a questo scopo i quattro punti del blocco proletario: 1) Parola d’ordine: libertà del proletariato. 2) Blocco classista e proletario. 3) La lotta per la conquista della libertà pone il problema dell’abbattimento dello stato fascista. 4) Blocco non esclusivamente elettorale, ma azione comune in tutti i campi della lotta proletaria.

L’ultimo tentativo di accordo venne compiuto il 29 gennaio 1924, quando il PCd’I ripresentò in forma diversa le stesse proposte, naturalmente incontrando ancora l’opposizione del PSU.

Venne allora avanzata dai delegati massimalisti del PSI una mozione che doveva rappresentare il punto di incontro delle opposte tendenze. Pur auspicandovi, infatti, la formazione di un blocco proletario per la riconquista delle libertà politiche e sindacali e per l’abbattimento del regime fascista, vi era tuttavia contenuto il riconoscimento che tale accordo avrebbe potuto realizzarsi solo nel più assoluto rispetto del programma e della fisionomia dei partiti partecipanti.

Fu quindi proposto di dichiarare subito costituito il blocco, ma di riservare la formulazione del piano di azione immediata ed eventualmente successiva ad un Comitato composto dai delegati dei tre partiti.

La mozione però naufragò sul terreno programmatico, inoltre i comunisti non accettarono che la tattica possa essere astensionista, invece che partecipazionista.

A questo punto il PCd’I avanzò ai massimalisti del PSI una offerta di blocco a due, di cui venne naturalmente ribadito il carattere programmatico.

Il 2 febbraio giunse la definitiva risposta negativa della direzione massimalista riunitasi a Milano e che annunciò, subito dopo, la partecipazione alle elezioni con lista propria. L’Avanti continuò la polemica nei confronti dei comunisti. Naturalmente l’Unità ribatté, accusando gli astensionisti di vigliaccheria.

Il PSI, oltre ad essere travagliato dalla corrente astensionista contraria alle decisioni della direzione, è anche corroso dall’atteggiamento tenuto dai “terzini” (la corrente del PSI guidata da Lazzari, vicina alla Terza Internazionale comunista), i quali il 5 febbraio concordarono con il PCd’I una lista elettorale comune, denominata di «Unità proletaria», la quale ebbe come funzione, sia di sostituire agli occhi delle masse il mancato accordo con i socialisti, sia di permettere ai comunisti di presentare all’Internazionale Comunista un fronte unico, seppure con alleati deboli (però radicati nella Venezia Giulia, nelle Puglie, nella provincia di Siena e nel Lazio).

In conseguenza di tali decisioni la direzione del PSI, riunitasi a Roma il 10 febbraio, approvò un ordine del giorno di radiazione dai quadri del partito delle sezioni e dei singoli iscritti oppostisi alla tattica deliberata per le elezioni.

A questo provvedimento i “terzini” reagirono lanciando, attraverso le pagine dell‘Unità (il nome del giornale fu deciso due mesi prima proprio per fare l’unità con i “terzini”), un’esortazione ai loro compagni a non piegarsi al decreto della direzione e a ritirare ugualmente la tessera del partito per l’anno 1924 25.

Sarà proprio in questa lista di “Unità proletaria” con i “terzini” che Gramsci venne eletto deputato alle elezioni-truffa del 6 aprile 1924.

Gramsci ottenne 6.584 voti di preferenza su 41.059 voti di lista in Piemonte, e 1.856 su 32.383 in Veneto, risultando eletto deputato in quest’ultima circoscrizione.

I risultati delle liste di “Unità proletaria” mostrarono la conquista di importanti settori centro meridionali (dal 8,5% del 1921 al 12,09% nel 1924). I “terzini” confluirono nel PCd’I nell’agosto del 1924.

Nel mese di maggio Gramsci lasciò Vienna e poté rientrare in Italia, dopo due anni, grazie all’immunità parlamentare che lo avrebbe garantito dall’arresto; entrò nell’Esecutivo del Partito comunista d’Italia e si trasferì a Roma.

Nel mese di agosto, nella riunione del CC in cui tenne una relazione sulla lotta al fascismo, per lo sviluppo del processo rivoluzionario (si era aperta la crisi seguente all’assassinio di Matteotti), Antonio Gramsci venne eletto segretario del Partito Comunista d’Italia.

Di Antonio Gramsci deputato va ricordato il discorso sulla massoneria, pronunciato a nome del PCdìI alla Camera il 16 maggio 1925, che si concluse con le parole “Il movimento rivoluzionario vincerà il fascismo”. Un discorso che i compagni e le compagne dovrebbero leggere con attenzione.

27 aprile 2024

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia
view post Posted: 26/4/2024, 12:13 Fassino, chiedero' a suore e preti votare Pd - Off topic
https://pennatagliente.wordpress.com/2024/...bblichiamo-564/

L’ultima impresa di Piero Fassino



Tutti ricorderanno la sceneggiata di Piero Fassino in parlamento, quando sventolando la sua busta paga dichiàrava quasi piangendo che col misero stipendio da parlamentare non ce la fa a campare. Forse per dimostrare praticamente che col suo povero stipendio non si può permettere neanche di fare un regalino alla moglie, il 15 aprile nell’area commerciale dell’aeroporto di Fiumicino, s’è rubato un profumo del valore di circa cento euro

Beccato sul fatto dal sorvegliante, Fassino ha dichiarato che il profumo l’aveva semplicemente “appoggiato nella tasca della giacca”

Molti suoi colleghi hanno rubato milioni, ma lui è talmente miserabile da rubare un centinaio di euro. Ma quello di essere un ladruncolo non è il suo difetto peggiore. Ricordiamo che Fassino sostiene il boia Netanyahu e i nazisti ucraini. Molti non sanno che quando era segretario del PCI a Torino fu soprannominato “spione di questura” perché ogni mattina portava in questura i nomi degli “operai estremisti”, vale a dire di quelli che erano alla testa delle lotte nelle fabbriche torinesi. Diversi anni dopo fu insultato e cacciato dal corteo del primo maggio a Torino insieme col suo compagno di merende Fausto Bertinotti. Insomma, è proprio una merdaccia, come direbbe Paolo Villaggio…

Aldo Calcidese – Circolo Itinerante Proletario “Georges Politzer”
view post Posted: 26/4/2024, 12:10 Apre il “Canale Comunista (M-L)” - Partiti e movimenti comunisti
Apre il “Canale Comunista (M-L)”, un nuovo strumento di propaganda rivoluzionaria



La propaganda rivoluzionaria è il mezzo insostituibile per la diffusione dell’ ideologia della classe operaia, del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario, della linea politica, dei comunicati e delle opinioni dell’organizzazione comunista per indirizzare ed accelerare il processo rivoluzionario.

Essa affronta e denuncia da un punto di vista comunista gli avvenimenti, i casi di arbitrio e oppressione, le violenze e le ingiustizie, le guerre di rapina, e s’indirizza particolarmente agli operai e agli altri lavoratori sfruttati, ai giovani, per svilupparne la coscienza politica di classe, utilizzando i più diversi strumenti, inclusi quelli del nemico di classe.

Una delle funzioni proprie della propaganda comunista è lo sviluppo delle condizioni soggettive della rivoluzione proletaria, la più importante delle quali è la costituzione del Partito comunista.

Con queste premesse presentiamo un nuovo mezzo di propaganda da noi gestita in comune: il “Canale Comunista (M-L)” su Telegram:

LINK: Canale Comunista (M-L)

Seguite il Canale Comunista (M-L), iscrivetevi!

25 Aprile 2024

Militanza Comunista Toscana

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

Ps: Chi non ha installato la versione desktop di Telegram può aprire il link dal cellulare, oppure cercare in Telegram il nostro canale.
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